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La mobilità è un valore, ma l’Europa non ne approfitta

L’Europa ha un’alta densità demografica, ottime comunicazioni, alta urbanizzazione, vaste aree integrate e industrializzate, forti disuguaglianze economiche tra stati: tutte condizioni, osserva Massimo Livi Bacci, che favoriscono, anziché frenare, la mobilità interna. Ma questa rimane assai bassa, per ragioni di natura legale, amministrativa e, in particolare, linguistiche.

Se l’Europa – quella dei 28, includendo per ora la Gran Bretagna nel conto – fosse un solo paese, nazionale o federale, sarebbe davvero una grande potenza. Per popolazione sarebbe il terzo paese al mondo, dopo Cina e India e prima degli Stati Uniti; per superficie sarebbe il settimo, dopo l’Australia ma prima dell’India; per il prodotto il secondo, a poca distanza dagli Stati Uniti. Altre graduatorie – scienza, tecnologia, arte, cultura, attrattività – la vedrebbero in posizioni di testa. Ma purtroppo l’Europa è unita da un tessuto debole e sfilacciato, e questi confronti sono improponibli. L’Europa non è, nei fatti, una grande potenza anche se potrebbe esserlo. Questa banale considerazione riguarda anche la forza di lavoro, quasi un quarto di miliardo di donne e uomini, con alte competenze, una capacità produttiva potenziale enorme, un capitale umano ricco e vario.

La libera circolazione, un pilastro non troppo solido

L’articolo 18 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) prescrive che “Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri…”, e questo è un pilastro sul quale poggia la costruzione dell’Europa; ma purtroppo la frase continua così: “… fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi.” Purtroppo il “fatte salve” significa un intrico di disposizioni che intralciano gli spostamenti intraeuropei e soffocano quei vantaggi che una fluida mobilità apporterebbe all’economia e alla società di un continente così vario e progredito. La mobilità interna – cioè l’insieme dei movimenti di cittadini europei (appartenenti a uno dei 28 paesi) da un paese all’altro – risulta molto modesta. Un confronto, peraltro imperfetto, può farsi con gli Stati Uniti, dove annualmente 3 appartenenti alla forza lavoro su 100 si spostano da uno stato all’altro¹. Nella UE, i dati ci dicono che gli spostamenti di forza lavoro (al netto dei frontalieri) da uno stato all’altro, sono stati (2017) appena 1,1 milioni, pari allo 0,5% del totale, una frequemza pari ad un sesto di quella americana.

Qualche dato sulla mobilità intraeuropea

Annualmente, Eurostat – l’ufficio statistico della UE – pubblica un rapporto sulla mobilità intraeuropea, dal quale si desumono dati aggiornati e pertinenti considerazioni². La figura 1 riporta le variazioni annue nella numerosità dello stock della forza di lavoro migrante intraeuopea (cioè persone attive di 20-64 anni nate in uno dei 28 paesi e residente in un paese diverso della UE-28). Lo stock è cresciuto, nella media, del 4% all’anno, con picchi del 7% nel 2008 e nel 2014-16, un minimo dell’1% nell’anno di crisi 2010. Si tratta di un valore medio abbastanza elevato, se si considera che l’intera forza di lavoro europea si sviluppa con velocità assai inferiore all’1%. Tuttavia va anche tenuto presente che questo stock di attivi “mobili”, sempre nel 2017, è di appena 9,5 milioni di unità, pari al 4% del totale della forza lavoro (la figura 2 ne riporta la distribuzione territoriale, con riferimento al 2016).

Il bilancio relativo al 2017 dice che i “Long term EU 28 movers” (cioè lo stock dei cittadini europei di ogni età nati in uno dei 28 paesi e residente, per almeno un anno, in uno degli altri 27) è pari a 17 milioni (3,3% della popolazione totale); di questi, 11,5 milioni sono in età attiva (tra i 20 e i 65 anni), dei quali 9,5 come già detto, sono attivi (occupati o disoccupati), pari al modesto 4% della forza di lavoro totale della UE di cui sopra si è detto. A questi vanno aggiunti i lavoratori frontalieri (1,4 milioni, 0,7% della forza di lavoro UE), e un numero imprecisato di lavoratori “distaccati” dalle imprese in un altro dei 28 paesi. Si tenga conto, per inciso, che lo stock totale degli stranieri nella UE, includendo anche gli stranieri extracomunitari (o TCN, “Third Countries Nationals” che sono 21 milioni), è pari a 38 milioni (tabella 1).

La crescita dello stock di attivi migranti, riportato nella figura 1, sembrerebbe, invero, assai dinamica. Ma a prescindere dal fatto che lo stock è numericamente esiguo, va ricordato che alla crescita della migrazione intraeuropea hano contribuito fortemente i paesi dell’est di recente accesso (in particolare Polonia, Romania e Bulgaria), economicamente assai svantaggiati rispetto al resto dell’Unione. Ma poiché il loro benessere (Polonia in testa) tende a convergere con quello del resto dell’Unione, e la loro demografia è debolissima, la spinta all’emigrazione è destinata ad esaurirsi. Inoltre l’uscita dall’Unione della Gran Bretagna (il paese che, dopo la Germania, è il maggiore polo di attrazione di migranti intraeuropei) costituirà un’ulteriore freno alla mobilità del continente.

Intralci normativi e barriere linguistiche

L’Europa ha un’alta densità demografica, ottime comunicazioni, alta urbanizzazione, vaste aree fortemente industrializzate, e forti disuguaglianze economiche tra stati: tutte condizioni che favoriscono, anziché comprimere, la mobilità interna. Ma questa rimane assai bassa. Le ragioni della bassa mobilità sono di natura legale e amministrativa e, in particolare, linguistiche. Ci sono difficoltà e lungaggini per il riconoscimento dei titoli di studio o delle professionalità; barriere all’ingresso delle professioni; condizionalità imposte al riconoscimento della residenza; disparità per quanto riguarda il recepimento dei benefici del sistema di welfare; difficoltà circa la portabilità dei diritti pensionistici. Insomma, spostarsi da Roma a Berlino, o da Milano a Parigi, comporta maggiori difficoltà che non spostarsi tra Milano e Roma o tra Parigi e Lione. Tuttavia questi intralci possono essere eliminati, circoscritti o attenuati, e la UE lavora in questa direzione. La barriera linguistica, invece, è assai più difficile ad eliminarsi anche perché l’inglese, lingua veicolare mondiale – ammesso che tutti la pratichino con scioltezza (e non è così) – non può sostituirsi alle lingue locali. Uno studio del 2015³ha esaminato cinque casi riguardanti i lavoratori frontalieri (cross border) in un gruppo di paesi dell’Europa centrale (Austria, Belgio, Cechia, Francia, Germania, Lussemburgo, Olanda, Polonia e Slovacchia), nei quali è stata posta a confronto la mobilità frontaliera verso paesi confinanti aventi la stessa lingua (o lingua molto simile), con la mobilità verso altri paesi con lingua diversa. Come da attese, è risultato che – al netto di fattori economici o di altra natura – la mobilità nel primo caso è nettamente più alta che nel secondo.

In un libero mercato, la mobilità è un valore; permette alle persone di cogliere opportunità o allontanarsi da situazioni avverse; facilita l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; asseconda l’utile scambio di esperienze e il trasferimento di conoscenze. All’interno dell’Europa, la mobilità è sì, in crescita, ma resta su livelli molto bassi. Si è anche arrestata – speriamo non per molto – la spinta ideale; sono sorte limitazioni, formalmente temporanee, alla libera circolazione interna; la Gran Bretagna sta uscendo dalla comunità, anche per limitare l’immigrazione di altri paesi europei; la torsione nazionalista minaccia di porre nuovi ostacoli agli spostamenti interni, accampando la necessità di mantenere intatta la coesione sociale e culturale. Insomma quella spinta allo sviluppo che dovrebbe sprigionarsi dal principio della libera circolazione rimane debole.

Note

¹ Il confronto Europa-America è assai rozzo: sulla mobilità interstatale – oltre a tanti fattori economici e sociali – influisce anche la dimensione demografica e spaziale degli stati stessi: più popolosi, in media, quelli Europei, più estesi, sempre in media, i 50 degli USA..

² European Commission, 2018 Annual Report on Intraeuropean mobility, Final Report, December 2018

³ European Commission, 2017 Annual Report on Intra- EU Mobility. Final Report January 2018, p. 15

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