L’accelerazione dell’immigrazione in Italia a partire dagli anni ’90 ha spiegazioni complesse, tra le quali ha un posto centrale la debolezza demografica del Paese. Gianpiero Dalla Zuanna e Asher Colombo individuano nello squilibrio per titolo di studio tra le generazioni una causa, finora poco studiata, della crescente domanda di manodopera poco qualificata e, al contempo, dell’aumento dell’emigrazione dei giovani italiani.
Le migrazioni non forzate dipendono – in larga misura – da fattori economici, in particolare dagli squilibri di sviluppo e prospettive fra la zona di partenza e quella di arrivo. Tuttavia, fra i fattori di attrazione migratoria, sono importanti anche quelli demografici. Una zona tende a diventare attrattiva quando i lavoratori in uscita sono più numerosi dei nuovi potenziali lavoratori, ossia quando la popolazione in età 20-24 è meno numerosa rispetto a quella in età 60-64. In Italia ciò è avvenuto a partire dalla fine del XX secolo. Oggi in Italia, ogni anno, ci sono meno di 80 nuovi potenziali lavoratori ogni 100 potenziali pensionati.
Lo squilibrio per titolo di studio fra generazioni
Perché, allora, le migrazioni dall’estero verso l’Italia hanno iniziato ad essere consistenti già a partire dagli anni Novanta, quando ancora i neo-pensionati erano più numerosi dei nuovi potenziali lavoratori? Perché oggi la disoccupazione giovanile è ancora così elevata? E perché – infine – in questi ultimi anni sono aumentate le emigrazioni dei giovani verso l’estero? La risposta completa e articolata a domande come queste esige un’analisi socio-economica e demografica complessa, che tenga conto anche degli effetti della crisi e delle innovazioni legislative¹. Qui esaminiamo solo gli effetti sulle migrazioni di un aspetto ancora poco studiato, ossia lo squilibrio per titolo di studio fra le diverse generazioni.
Nel giro di novanta generazioni (nate fra il 1907 e il 1996), in Italia la proporzione di donne con un titolo superiore alla terza media o all’avviamento professionale (da ora in poi diplomate) è rapidamente e continuamente aumentato, passando dal 3 all’85% (figura 1). La crescita è concentrata specialmente nelle generazioni che sono state adolescenti dopo la seconda guerra mondiale. Le diplomate sono il 10% fra le “nonne” (nate nel 1932-36), il 50% fra le “mamme” (nate nel 1962-66), l’85% fra le “figlie” (nate nel 1992-96).
Il ricambio del mercato del lavoro e l’istruzione
Questi rapidi cambiamenti han fatto sì che, nell’ultimo quarantennio il ricambio del mercato del lavoro sia stato del tutto diverso per non diplomati e diplomati (uomini e donne). Nel decennio 2002-11, lo squilibrio annuo del mercato del lavoro dei non diplomati è stato superiore a 400 mila unità. Tale squilibrio è iniziato a diventare rilevante a metà degli anni Ottanta, proprio quando sono iniziate le immigrazioni dall’estero, ed è iniziato a diminuire – pur restando elevato – solo dopo il 2011. Nel primo decennio del XXI secolo, la potenziale carenza di manodopera non qualificata generatesi ogni anno sul mercato del lavoro è stata dello stesso ordine di grandezza dei saldi migratori con l’estero (positivi mediamente per 400 mila unità all’anno); i saldi migratori con l’estero sono stati più moderati prima del 2000, quando la carenza di manodopera non qualificata era meno drammatica. Dopo il 2011, anche se la carenza di non diplomati diminuisce di poco, i saldi migratori si riducono drasticamente, a causa della distruzione di lavoro, anche non qualificato, generata dalla crisi (vedi figura 2).
Negli stessi anni, l’arrivo sul mercato del lavoro di migliaia di giovani neo-diplomati o neo-laureati non è stato compensato dal pensionamento di persone con il loro titolo di studio. Fino all’inizio della crisi, il crescente numero di neo-diplomate e di neo-diplomati è stato assorbito dalla impetuosa crescita degli impiegati pubblici e delle professioni qualificate generate dallo sviluppo economico del Centro-Nord, che ha attratto anche molti giovani neo-diplomati provenienti dal Mezzogiorno. Nel decennio di crisi successivo al 2008, questo fattore è invece diventato un importante fattore di espulsione per le emigrazioni verso l’estero di giovani italiani, a causa anche del sostanziale blocco del turn over nella Pubblica Amministrazione.
Istruzione e segmentazione del mercato del lavoro
Alla luce di questi dati, non stupisce che quasi tutti gli stranieri che lavorano in Italia siano impiegati in professioni poco qualificate. Nel 2011-16, il 33% del “personale non qualificato” in Italia era straniero (il 18% nel Mezzogiorno, addirittura il 40% nel Centro-Nord – dati Istat dell’indagine campionaria delle Forze di Lavoro). All’opposto, fra le “professioni tecniche e qualificate” gli stranieri sono meno del 2%. I giovani italiani, invece, in gran maggioranza diplomati o laureati, fanno il possibile per evitare i lavori sporchi, faticosi e mal pagati, mentre sgomitano alla ricerca di un posto di lavoro dove far valere il loro titolo di studio. Spesso non lo trovano, perché il loro diploma è poco spendibile sul mercato, o perché – specialmente nel Mezzogiorno – il lavoro semplicemente non c’è: ma questa è tutta un’altra storia.
Note
¹ Questo intervento riprende alcuni temi del nostro articolo “Ascesa e declino delle immigrazioni in un paese diviso. Italia 1977-2017” (in corso di pubblicazione).