Quello dell’immigrazione straniera è un tema che, ormai da diversi anni, catalizza l’attenzione mediatica e anima intensamente il dibattito pubblico italiano e europeo (e, ormai, mondiale), con vivace contrapposizione tra favorevoli e contrari. Anche Neodemos se ne è occupato spesso, nel corso dei suoi primi dieci anni di vita, pubblicando, tra l’altro un e-book sul tema.
Il fenomeno è in continua e relativamente rapida evoluzione, ma ormai non si può più sostenere che si tratti di una novità per il nostro paese. I primi segni erano avvertibili già 40 anni fa: i demografi italiani li hanno colti tempestivamente e hanno da allora continuato ad analizzarne cause, caratteristiche e conseguenze, realizzando anche, tra le altre cose, una ricerca interuniversitaria sul tema (Studi Emigrazione n. 71 e nn. 82-83 e 91-92), particolarmente preziosa in un’epoca, all’inizio degli anni ’80, in cui i dati scarseggiavano.
Oggi i demografi italiani tornano (di nuovo!) sull’argomento con, l’ultimo “Rapporto sulla popolazione”, che ha per sottotitolo “Le molte facce della presenza straniera in Italia” (il Mulino, Bologna;). Si tratta del volume biennale curato dall’Associazione Italiana per gli Studi di Popolazione (AISP), presento a Firenze in occasione della 12^ edizione delle Giornate di Studio sulla Popolazione, in libreria dal 23 febbraio.
Ce n’era proprio bisogno?
C’era proprio bisogno di un altro rapporto sulle migrazioni? La prima impressione è che ce ne siano già abbastanza. Limitando l’attenzione ai soli cosiddetti rapporti annuali, nel 2016 ne sono usciti almeno 12, per un totale di quasi 3.200 pagine. Tolti quello sulle migrazioni interne di Michele Colucci e Stefano Gallo e quello sugli italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, si contano almeno altri 10 rapporti a carattere generale o tematico sull’immigrazione e la presenza straniera. Del primo tipo sono il “Rapporto immigrazione” della Caritas Italiana e della Fondazione Migrantes, il “Dossier Statistico” di Idos e il “Rapporto sulle migrazioni” della Fondazione ISMU; tra quelli tematici, invece, troviamo i volumi sugli “Alunni con cittadinanza non italiana” (MIUR/ISMU), sul mercato del lavoro degli immigrati (Ministero del Lavoro) e sull’economia dell’immigrazione (Fondazione Moressa), sui minori stranieri non accompagnati (Cittalia), l’atlante SPRAR (ANCI e Ministero dell’Interno) e la protezione internazionale in Italia (ANCI, Caritas, Cittalia, Migrantes, SPRAR e UNHCR), nonché il rapporto dell’Associazione Carta di Roma che analizza il fenomeno migratorio nei quotidiani italiani e nei telegiornali di prima serata.
Però, nonostante la ricchezza di queste analisi, e di tante altre ricerche scientifiche sull’argomento, il dibattito pubblico si poggia spesso su stati d’animo, preconcetti e informazioni approssimative, quando non palesemente distorte.
Una voce in più per fare chiarezza
Di recente, la contrapposizione tra favorevoli e contrari all’immigrazione si è acuita e si è articolata su più livelli (da quello internazionale fino a quello locale), mettendo in contrapposizione paesi, partiti politici, associazioni e singole persone. E’ stata capace di incidere in modo significativo, tra l’altro, sulla tenuta dell’Unione Europea (si pensi alla Brexit), sulla coesione sociale e sull’idea stessa di futuro. L’emergenza umanitaria determinata dalle guerre in atto (prima di tutto il conflitto siriano), che ha prodotto centinaia di migliaia di profughi giunti negli ultimi anni sulle coste greche e italiane, si è combinata con la lunga e intensa crisi economica, non ancora superata, e con gli attentati progettati e le stragi compiute, a Parigi e altrove, per lo più da giovani di seconda generazione affiliati al sedicente Stato Islamico.
Tutto ciò ha generato una miscela pericolosa, capace, tra l’altro, di annebbiare la vista e intorpidire il pensiero. In non pochi casi, infatti, l’emergenza umanitaria è stata assimilata alla questione migratoria nel suo insieme, così come il terrorismo islamico è diventato la prova della difficoltà di distinguere tra immigrati buoni e cattivi e del sostanziale fallimento dei differenti modelli europei di integrazione.
È per questo che “in un contesto in cui le sensazioni e gli stati d’animo, nonché le posizioni preconcette, sembrano avere il sopravvento sulle valutazioni ragionate e documentate, appare opportuno fornire al dibattito elementi utili per ancorare le riflessioni e le decisioni pubbliche a un quadro di riferimento certo, garantito dalle statistiche disponibili e dai risultati delle ricerche scientifiche.” (Strozza e De Santis, 2017, p. 8).
Su quali argomenti?
È questo lo scopo a cui si ispira il Rapporto dell’AISP appena pubblicato che analizza le origini e le caratteristiche degli stranieri in Italia, i loro comportamenti demografici, l’inserimento nel mercato del lavoro, nonché i percorsi e le condizioni di integrazione, sulla base di una ricca e affidabile documentazione statistica, che consente di pervenire a considerazioni interessanti sfatando qualche stereotipo e confermando altri convincimenti.
Vengono definite le tappe che hanno trasformato l’Italia da paese di origine a paese di destinazione dei flussi migratori internazionali, individuando tre fasi dell’immigrazione straniera, con afflussi netti contenuti negli anni ’70 e ’80 del Novecento, arrivi numerosi negli anni ’90 e fino al 2008 e infine un nuovo rallentamento nell’ultimo periodo, principalmente per la crisi economica (fig. 1).
Ma le variazioni non sono solo quantitative: oltre a una ripresa delle emigrazioni degli italiani verso l’estero, si nota un cambiamento negli arrivi degli stranieri, che sono oggi prevalentemente per ricongiungimento familiare, poi per asilo e protezione internazionale, quindi per studio e solo in quarta battuta per lavoro, motivazione che fino a qualche anno fa era invece predominante.
Nel periodo 2002-2014 la crescita della popolazione residente in Italia è stata dovuta (pressoché) esclusivamente alla componente straniera, poiché quella di cittadinanza italiana ha registrato un saldo migratorio più o meno nullo e un saldo naturale significativamente negativo (-1,2 milioni di persone), in parte compensato dalle acquisizioni della cittadinanza italiana. Infatti, nonostante una legislazione tuttora restrittiva, negli ultimi anni è cresciuto significativamente il numero di nuovi italiani (da 12 mila nel 2002 a 178 mila nel 2015), tra i quali ampia è la quota dei minori diventati cittadini per trasferimento del diritto da parte di uno dei genitori.
In assenza di migrazioni internazionali la popolazione residente in Italia non solo sarebbe diminuita di oltre un milione di persone (invece che aumentare di circa 3 milioni) ma, soprattutto, sarebbe invecchiata più velocemente. Infatti, gli immigrati sono generalmente giovani e in buona salute, anche se tendono a perdere questo vantaggio con l’aumentare del periodo di permanenza a causa delle sfavorevoli condizioni socio-economiche e delle difficili condizioni lavorative.
L’immigrazione dall’estero è stata e continua a essere economicamente utile per il paese: benché gli stranieri hanno risentito della crisi economica più degli italiani, i loro tassi di occupazione rimangono tuttora leggermente più elevati e la loro collocazione professionale, essenzialmente di basso profilo, appare complementare/speculare a quella degli italiani (tab. 1). In parole più semplici: gli stranieri svolgono le professioni che noi italiani non vogliamo più svolgere, ma di cui ancora c’è bisogno (Dalla Zuanna 2017)
Il processo di integrazione, non nascondiamocelo, richiede tempo, ma la questione oggi più importante è l’inclusione e la riuscita scolastica delle seconde generazioni. Su questo fronte il cammino è ancora lungo, ma, come illustra il Rapporto, si notano anche segnali positivi.
Per saperne di più
Dalla Zuanna G. (2017) Gli stranieri ci rubano il lavoro? Il Mulino
Strozza S. e De Santis G. (2017) Rapporto sulla popolazione. Le molte facce della presenza straniera in Italia, il Mulino, Bologna.