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“Se otto anni vi sembran pochi…”

Nella ricerca economica e nel dibattito politico le diseguaglianze interne a ogni paese sono spesso descritte unicamente in termini di distribuzione del reddito o, più raramente, della ricchezza. Le diseguaglianze nelle condizioni di salute, e in particolare quelle di mortalità o longevità, occupano spesso, in tali discussioni, un ruolo periferico. Esiste, certo, un dibattito vivace sulla relazione tra diseguaglianze di reddito e speranza di vita, ma tale dibattito è prevalentemente (o esclusivamente) concentrato su indicatori di speranza di vita media, piuttosto che su misure di come la longevità è distribuita all’interno di un paese. Esiste poi un’altra differenza importante tra le diseguaglianze economiche e quelle di longevità a livello delle misure utilizzate: mentre la distribuzione del reddito è descritta tramite indicatori di diseguaglianze verticali (cioè tra persone con reddito diverso), misure di diseguaglianze verticali nelle età di morte sono tipicamente considerate come poco utili, perché non informative rispetto alle caratteristiche delle persone morte in età diverse. Quando poi si considerino misure di diseguaglianza nelle età di morte per caratteristiche socio-economiche delle persone, diverse ricerche fanno riferimento a differenti criteri socio-economici (reddito, occupazione, livello d’istruzione), o diverse classificazioni per lo stesso criterio, dando luogo a risultati che non sono comparabili tra paesi. A livello comparato, l’evidenza sulle diseguaglianze di longevità resta esigua, ed è prevalentemente limitata ai paesi Europei. Nell’insieme, per le diseguaglianze di longevità e mortalità, non esistono convenzioni metodologiche e infrastrutture statistiche comparabili a quelle che esistono, almeno nei paesi più sviluppati, per monitorare la distribuzione del reddito e della ricchezza delle famiglie.

L’istruzione allunga la vita, soprattutto per gli uomini

Un recente documento di lavoro di alcuni ricercatori dell’OCSE e internazionali contribuisce a migliorare l’evidenza empirica disponibile sulle diseguaglianze di longevità¹. Il rapporto in questione presenta stime delle diseguaglianze di longevità per 23 paesi OCSE, europei e non, per genere e livelli omogenei di istruzione, in base ad indicatori comuni derivati da dati nazionali trattati in modo simile. I dati alla base dello studio sono quelli forniti da ricercatori di diversi paesi dell’area OCSE (ricercatori dell’ISTAT nel caso dell’Italia) sul numero di decessi in alcuni anni recenti, per genere, livello del titolo di studio conseguito e cause di morte, basati su una classificazione omogenea definita per lo scopo della ricerca.

Quali sono le principali conclusioni? Quella forse più importante è evocata dal titolo di questo articolo (“Se otto anni vi sembran pochi“). Nella media dei 23 paesi OCSE considerati, la speranza di vita all’età di 25 anni per gli uomini con titolo di studio superiore è superiore di 8 anni rispetto a quella degli uomini senza titolo di studio, o con diploma di scuola elementare o medie; tale differenza si riduce a 5 anni nel caso delle donne. All’età di 65 anni, tali divari sono ridotti, rispettivamente, a 5 e 2.3 anni per uomini e donne; livelli che, anche se inferiori a quelli osservati a 25 anni, sono superiori quando espressi in percentuale della speranza di vita residua (Figura 1)..

Le differenze tra paesi in questa misura di diseguaglianza di longevità sono importanti; dai circa 4 anni nel caso dell’Italia –il paese dove la differenza di speranza di vita per titolo di studio per gli uomini a 25 anni è la più bassa – a valori tra i 12 e 14 anni in Polonia, Repubblica Ceca e in Ungheria. Queste diseguaglianze di longevità per livello del titolo di studio sono peraltro poco correlate con le diseguaglianze di reddito: l’Italia combina forti diseguaglianze di reddito e basse diseguaglianze di longevità per livello di istruzione, mentre la situazione è speculare per i paesi dell’Europe dell’est (con diseguaglianze di reddito basse e diseguaglianze di mortalità per livello di titolo di studio elevate). Le differenze tra paesi in termini di speranza di vita per livello d’istruzione sono robuste all’utilizzo di indicatori alternativi, per esempio quando si guardi a differenze relative piuttosto che assolute nelle speranze di vita, o a indicatori che siano meno sensibili alle morti in giovane età, o che correggano per differenze nelle struttura della popolazione per classi di età o per livello di istruzione.

Disparità di longevità tra persone con uguale titolo di studio, e ruolo delle malattie cardio-vascolari

Almeno altri due risultati della ricerca ci sembrano importanti. Il primo deriva dal confronto tra diseguaglianze di longevità tra gruppi con diverso livello d’istruzione e diseguaglianze all’interno dei gruppi stessi. Il risultato principale che emerge da questo confronto è che – pur in presenza di differenze significative nelle speranze di vita tra uomini e donne e tra persone con diverso titolo di studio – genere ed istruzione spiegano solo il 10 per cento delle diseguaglianze complessive nelle età di morte: la parte rimanente, e preponderante, rimanda quindi a fattori quali patrimonio genetico, stili di vita, luogo di residenza e assunzione di fattori di rischio indipendenti dai livelli di istruzione delle persone. Un secondo risultato è relativo alle cause di morte: le malattie cardio-vascolari sono la prima causa di morte per uomini e donne di età superiore ai 65 anni, indipendentemente dal loro livello del titolo di studio, ma rappresentano anche il fattore più importante delle diseguaglianze di longevità tra persone anziane con diverso titolo di studio.

Implicazioni per le politiche pubbliche

L’esercizio comparativo fatto nel documento qui discusso ha, ovviamente, i suoi limiti. La comparabilità delle stime è solo ex post; in altri termini, è la comparabilità assicurata da un trattamento omogeneo dei dati nazionali e dall’utilizzo di una classificazione omogenea dei decessi. Restano, invece, le differenze nei metodi con cui i dati sulla mortalità per livello d’istruzione sono generati nei diversi paesi. In particolare, mentre i dati per 14 paesi (tra cui l’Italia) sono basati su una procedura di unit record linkage tra i certificati di morte e i dati della popolazione rilevati al censimento o in registri amministrativi, per i rimanenti 9 paesi i dati sul numero dei morti per livello di istruzione sono quelli contenuti nei certificati di morte stessi, il che implica informazioni mancanti in alcuni casi o riportate erroneamente in altri, nonché anomalie nei profili di mortalità per le età più elevate (anomalie che nello studio citato sono trattate con l’uso di modelli statistici).

Al di là di questi limiti, resta l’importanza di creare un sistema di informazione omogeneo tra paesi che permetta di confrontare e monitorare l’evoluzione nel tempo, secondo indicatori omogenei e credibili, delle diseguaglianze di mortalità per condizione socio-economica. Sviluppare un’infrastruttura statistica di questo tipo è importante non solo per ragioni di equità sociale, ma anche per le politiche pubbliche, in particolare per quelle riguardanti i sistemi pensionistici. Due soli esempi a riguardo. Primo, diseguaglianze nella mortalità tra persone con diversi livelli d’istruzione implicano che sistemi pensionistici che legano il beneficio pensionistico ad una misura della longevità all’età di pensione uguale per tutti hanno un effetto redistributivo perverso, favorendo i contribuenti con mortalità più bassa (quelli con studi superiori e, verosimilmente, redditi più elevati) rispetto a quelli con mortalità più elevata (quelli con titolo di studio inferiore). Secondo, in assenza d’informazioni statistiche credibili, i sistemi di pensione integrativa avranno più difficoltà a gestire il “rischio mortalità” dei sottoscrittori, con implicazioni in termini di sviluppo inadeguato e trattamento più sfavorevole per le persone con condizione economico-sociale inferiore.

¹Murtin, F., Mackenbach, J.P., Jasilionis, D. and M. Mira d’Ercole (2017), “Inequalities in Longevity by Education in OECD Countries: Insights from New OECD Estimates”, OECD Statistics Working Papers, 2017/2, OECD Publishing, Paris.

 

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