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Fertility day : ….

Fecondità, fertilità, sterilità: di che cosa si parla?

E’ curioso che si chiami questa giornata “ Fertility day ” quando in

realtà, la parola inglese “fertility” non definisce la capacità di concepire e/o generare (ossia in inglese fecundity), ma si riferisce al comportamento riproduttivo concretamente messo in atto (ossia al numero di figli avuti) e quindi all’equivalente della parola italiana “fecondità”. Dunque se si voleva proprio usare l’inglese (e perché poi?) per battezzare la Giornata si sarebbe dovuto dire: Fecundity day.

Nella nostra lingua, una donna fertile (capace cioè di generare), può non essere feconda, ma se una donna è feconda (quindi ha almeno un figlio) deve essere stata necessariamente fertile. Una donna, invece, si definisce sterile se dopo 12 mesi di rapporti sessuali non protetti, non è riuscita a concepire o a far nascere un figlio, anche se negli studi queste definizioni cambiano spesso, rendendo difficili i confronti.

Al di là delle questioni semantiche, però, il Ministro voleva richiamare l’attenzione sui problemi legati alla fertilità e alla sterilità più che sul comportamento riproduttivo, ma è indubbio che gli aspetti biologici si intreccino necessariamente con i vincoli socioeconomici. L’età giusta dal punto di vista sociale per fare figli nel nostro Paese si è spostata in avanti (l’età media al primo figlio, infatti, è di oltre 31 anni

ed è la più alta in Europa), ma non corrisponde necessariamente all’età migliore da un mero punto di vista biologico. Richiamare l’attenzione su questi aspetti è senz’altro una buona idea, da un lato per aumentare la consapevolezza nei giovani che le possibilità di avere un figlio non sono le stesse a venti, trenta o quarant’anni; dall’altro per promuovere politiche che permettano di sostenere (e dunque anticipare) la transizione allo stato adulto, sempre più problematica nel nostro paese.

L’età giusta per fare i figli

L’età riproduttiva delle donne dura grosso modo 30-35 anni e va dal menarca (la prima mestruazione) alla menopausa, ma la fertilità (cioè la possibilità di concepire e generare) non è la stessa nel corso di vita. Per le coppie non sterili, la probabilità di avere un concepimento in un ciclo mestruale, in presenza di rapporti sessuali non protetti, varia tra il 20 e il 30% a seconda della tipologia di coppia, tra 20 e 30 anni, quando le donne sono al culmine della potenzialità riproduttiva. Tale probabilità è più bassa prima dei 20 anni e si abbassa dopo i 30. In particolare la fecondabilità di una donna si riduce sensibilmente dopo i 35 anni di età (Rizzi e Dalla Zuanna 2007). Tuttavia, un recente studio (McDonald et al. 2011) mostra che le donne – se non già sterili – possono aspettare fino ai trenta anni per provare ad avere il primo figlio, visto che la riduzione della fecondabilità è piuttosto modesta a 30 – 35 anni.

Se si ragiona in termini di coppia: la probabilità di avere un concepimento che dia luogo ad una nascita, si riduce del 13% a 35-39 anni di età della donna rispetto a donne di dieci anni più giovani e del 40% se le donne hanno tra 40 e 45 anni. Mentre per l’uomo di 40-44 anni la riduzione sarebbe del 20% rispetto all’età di 30-34 anni (De la Rochebrochard 2001).

Anche la proporzione di donne sterili, però, cresce con l’età: secondo stime recenti sarebbero sterili il 5% delle donne a 25 anni, il 10% a 30 , il 17% a 35, il 33% a 40, il 62% a 45 anni (Leridon 2010). Ma la sterilità di coppia solo nel 35% dei casi è dovuta esclusivamente alla donna, più frequentemente ad entrambi i partner (38%), nel 20% dei casi al solo uomo (20%) o nel rimanente 8% a cause ignote (De la Rochebrochard 1999,2001).

Non ci sono indizi chiari di variazioni nel tempo di tali livelli, e mancano indagini rappresentative recenti che permettano di analizzare il fenomeno con riferimento specifico al caso italiano: qui dobbiamo rifarci ai dati dell’indagine nazionale sulla fecondità del 1995-96, ormai datata però, secondo la quale il 15% delle donne non nubili tra 20-49 anni sarebbe sterile.

La Procreazione medicalmente assistita (PMA) offre ad un numero crescente di coppie che hanno difficoltà a concepire la possibilità di diventare genitore, ma al tempo stesso può creare l’illusione che il rinvio della maternità/paternità sia sempre possibile e non abbia rischi: in realtà anche nel caso della PMA le probabilità di successo declinano decisamente con l’avanzare dell’età. Dunque un’informazione corretta su questi temi è di fondamentale importanza, per evitare l’ illusione dell’eterna fertilità.

Una quarantenne su cinque è senza figli

I toni allarmistici del Ministro dipendono certamente dall’aumento recente della proporzione di donne italiane che resta senza figli alla fine della vita riproduttiva e che potrebbe far pensare ad un aumento della sterilità o dell’infertilità nella popolazione.

schermata-2016-09-21-alle-11-25-42In realtà la proporzione di donne senza figli ha avuto un andamento a U tra le generazioni (vedi fig. 1): era piuttosto alta (tra il 15-17%) tra le nate negli anni Venti dello scorso secolo, è poi diminuita fino a toccare il suo punto più basso tra le donne nate appena dopo la seconda guerra mondiale, quando solo una su dieci restava senza figli. La proporzione poi ha continuato a crescere fino al raddoppio: tra le nate del 1970, infatti, più di una su 5 (il 21%) non ha bambini (ISTAT 2014). Si tratta di una prevalenza tra le più alte in Europa (Miettinen et al. 2015).

Senza figli per sopraggiunti limiti d’età?

Non ci sono dati recenti che permettano di capire inequivocabilmente quanto l’ aumento di donne senza figli sia dovuto all’aumento dell’infertilità di coppia o personale – e dunque a ragioni puramente biologiche – e quanto alla scelta di restare senza figli. Tuttavia, se non abbiamo dati per affermare che la biologia della riproduzione sia variata così tanto nel nostro Paese, le risposte sul numero desiderato di figli mostrano che sono ancora veramente in pochi gli italiani che dichiarano esplicitamente di non volerne nessuno: il 2% delle donne e il 4% degli uomini tra 18 e 40 anni (Miettinen et al. 2015).

Ciò che è certo però è che negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo rinvio della riproduzione (con un’età media al primo figlio che è arrivata a superare i 31 anni, più alta di oltre 3 anni ad esempio rispetto alla vicina Francia). Inoltre, le donne che posticipano dopo i 35 anni, e che mediamente hanno partner più vecchi di 3 anni, rischiano di avere difficoltà sia nel concepimento, sia una volta avvenuto, di portare a termine una gravidanza per l’aumento dell’abortività spontanea, anch’essa legata all’età. Dunque, chi comincia tardi, a provare ad avere figli, ha un maggiore rischio di restare senza figli, pur desiderando averne. Si tratta del fenomeno della cosiddetta “infecondità involontaria”, una zona grigia di cui si conosce poco per mancanza di dati adeguati, ma che comprende senza dubbio un numero sempre più elevato di coppie, come testimonia il ricorso sempre più frequente alle tecniche PMA (più di 71.000 coppie trattate nel 2014 contro 46.500 del 2005).

Il Ministro dunque ha ragione a porre l’attenzione su questi temi. La sfida sembra quella di ridurre il più possibile l’infecondità per sopraggiunti limiti d’età e quindi favorire le scelte genitoriali ad età più fertili. Per conseguire questo obbiettivo però non basta solo informare su quale sia il ritmo e la scadenza dell’orologio biologico…

Per saperne di più:

Leridon H. (2010), Human fertility: situation and outlook, Population and societies, n. 471. https://www.ined.fr/fichier/s_rubrique/19139/population.societies.2010.472.human.fecundity.en.pdf

McDonald JW, Rosina A, Rizzi E, Colombo B. (2011), Age and fertility: can women wait until their early thirties to try for a first birth?, Journal of Biosocial Science. November, 43(6):685-700. doi: 10.1017/S002193201100040X.

Miettinen, Anneli, Rotkirch, Anna, Szalma, Ivett, Donno, Annalisa, & Tanturri, Maria-Letizia. (2015). Increasing Childlessness in Europe. Time Trends and Country Differences, Families and Societies Working paper 2015.

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