L’immigrazione è una questione assai delicata in Europa, profondamente divisiva dell’opinione pubblica, trattata con cautela dai politici – come il matrimonio dei gay, la liberalizzazione delle droghe, il diritto di portare armi. E proprio alle politiche migratorie è stato dedicato, a Roma, un incontro di Population Europe , un think-tank impegnato nella disseminazione di temi di natura demografica e sociale. A questo incontro, svoltosi lo scorso 30 Ottobre nella Biblioteca del Senato, hanno contribuito l’Università Sapienza di Roma e il nostro Neodemos. Molti sono stati i temi trattati nelle relazioni e nella tavola rotonda finale, ed una sintesi non farebbe giustizia né alla vivacità della discussione, né alla molteplicità dei temi affrontati. Si possono però trarre alcuni spunti interessanti sui quali invitiamo i lettori alla riflessione.
Gran parte degli interventi ha rilevato le difficoltà, apparentemente insormontabili, del sistema Europeo nel prefigurare una politica comune circa le regole di ammissione degli stranieri non comunitari nell’Unione. Questa – si è rilevato – mentre impone regole minuziose su molti dettagli della vita sociale ed economica, è impotente a dar direttive sul numero di migranti da ammettere in Europa, o sulle regole e le modalità di ammissione. L’articolo 39 del Trattato di Lisbona riserva queste materie alle decisioni autonome di ciascuno stato firmatario del Trattato stesso: in teoria potrebbero convivere paesi con le porte ermeticamente chiuse all’immigrazione e paesi con le porte completamente aperte, con conseguenze contraddittorie sul mercato del lavoro e sull’economia, e generando squilibri sull’intero continente. Aggiungiamo che lo stesso principio della libera circolazione all’interno dell’Unione è appannato dai numerosi ostacoli legati alle normative proprie di ciascun paese, e che lo stesso Trattato di Schengen è continuamente rimesso in discussione.
L’Europa – è vero – ha elaborato politiche e direttive comuni in numerosi ambiti, quali l’integrazione, i rimpatri, il rafforzamento dei confini (con Frontex), l’asilo. Su un’efficace politica dell’asilo pesano negativamente l’eterogeneità delle procedure seguite dai singoli stati (adesso in via di coordinamento), ma soprattutto la ben nota normativa di Dublino che impone di fatto ai rifugiati di risiedere nel paese che ha accolto la loro domanda. Questo fa sì che i paesi attualmente più esposti al flusso di richiedenti asilo – come Grecia, Malta e Italia – debbano sopportare oneri sproporzionati alle loro risorse. Ogni tentativo di coinvolgere solidalmente tutti i paesi europei (burden sharing: ogni paese sopporta oneri proporzionali alle proprie risorse) si è urtato con l’opposizione di un rilevante numero di paesi dell’Unione.
Sull’operazione Mare Nostrum, sulla sua soppressione a partire dal 1° di Novembre, sull’intervento dell’operazione Triton di Frontex, si è molto discusso (v. anche Gianpiero Dalla Zuanna, “Mare … Monstrum (quando prevale la demagogia)”, Neodemos, 29/10/2014. Certo Mare Nostrum, come alcune medicine salva-vita, ha anche effetti collaterali, taluni dei quali nocivi. Un effetto, peraltro non dimostrato, sarebbe quello di incentivare nuovi flussi, e più spericolati e rischiosi, contando sull’intervento di salvataggio di un’unità della Marina, aumentando così il numero di morti. L’argomentazione è debole, ed equivale a sostenere che l’apertura di un nuovo ospedale è da sconsigliare perché farebbe aumentare il numero degli ammalati (dichiarati, e ufficialmente riconosciuti come tali). Ma non è questa la funzione di un ospedale? Con la dismissione di Mare Nostrum – un gravissimo errore politico – chi farà il salvataggio nelle aree SAR (Search and Rescue) nelle acque non territoriali del Mediterraneo? L’Italia e l’Europa rinunceranno ad un’opera umanitaria di storica portata? Lasceremo che le migliaia di morti avvenuti durante le traversate nell’ultimo anno abbiano a moltiplicarsi negli anni futuri? L’instabilità del Mediterraneo, il fallimento di stati come la Libia e la Somalia, la guerra civile in Siria con i suoi milioni di rifugiati richiedono un’Europa coraggiosa, capace e solidale che purtroppo non c’è.
Del resto l’Europa appare incerta e restia a guardare al lungo periodo ed alle conseguenze di una demografia debole – pochi giovani, molti vecchi, scarsa mobilità – che richiederà nei futuri decenni sostenuti flussi di immigrazione. Nel primo decennio di questo secolo, quasi un quinto del rinnovo (affidato alle nuove nascite o agli arrivi di immigrati) delle società europee è stato assicurato dall’immigrazione, a dimostrazione che il fenomeno è strutturale, e non solo congiunturale o passeggero.