Si dice che la fama di Alexander von Humboldt (1769-1859), al suo ritorno dal famoso viaggio in America nel 1805, fosse seconda solo a quella di Napoleone. Partito nel 1799, aveva visitato molti paesi della parte spagnola del continente sudamericano (Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù) per passare poi a Cuba, al Messico ed agli Stati Uniti dove fu ospite di Jefferson, rientrando in Francia nel 1804. Tra il 1807 e il 1834, con la collaborazione dei più illustri scienziati dell’epoca, lavorò alla pubblicazione dei risultati della sua spedizione scientifica che videro la luce in 34 volumi arricchiti da accurate mappe, illustrazioni, riproduzioni, diagrammi. Nei 5 anni di viaggio – durante i quali navigò nel bacino amazzonico, scalò il Chimborazo, traversò selve e savane in compagnia del botanico Aimé Bonpland – Humboldt misurò il misurabile: monti e vulcani, altitudini e longitudini, venti e correnti. Disegnò mappe, collezionò un’enorme quantità di piante, di animali, di minerali, esaminò documenti, raccolse storie, opinioni, credenze da indigeni, missionari, viaggiatori. Fu una sorta di "scopritore” scientifico dell’America.
Humboldt si interessò anche di fenomeni demografici ed economici, e le sue valutazioni della popolazione dell’America sono forse le prime con fondamento documentario. Qui riportiamo un breve brano1, scritto presumibilmente attorno al 1823 (via via che preparava la sua opera l’aggiornava continuamente con nuovi elementi), con le sue considerazioni sociali ed economiche sui benefici di nuove istituzioni di governo, della liberalizzazione del commercio, della crescita della cultura, dei contatti tra Vecchio e Nuovo Mondo. Oggi si parlerebbe di rule of law, capitale umano, libero scambio, globalizzazione: parole diverse, concetti simili.
La popolazione del Nuovo Continente non supera ancora, se non di molto poco, quelle della Francia o della Germania2. Si raddoppia, negli Stati Uniti d’America, ogni 23 o 25 anni; in Messico, ancora nel regime [coloniale] della metropoli, si è raddoppiata in 40 o 45 anni. Senza lasciarmi andare a speranze eccessivamente ottimiste sull’avvenire, si può ipotizzare che in meno di un secolo e mezzo la popolazione dell’America uguaglierà quella dell’Europa3. Questa nobile rivalità di civiltà, delle arti industriali e del commercio, lungi dall’impoverire il vecchio continente a beneficio del Nuovo, come si usa temere, aumenterà la domanda di consumi, la massa del lavoro produttivo e le attività del commercio. Non c’è dubbio che dopo i grandi rivoluzionamenti che cambiano la natura delle società umane, la fortuna pubblica che è patrimonio comune di una civiltà, si trova diversamente ripartita tra i popoli dei due Mondi, però poco a poco l’equilibrio si ristabilisce. E’ un pregiudizio funesto, oserei quasi dire empio, considerare la prosperità crescente di qualsiasi porzione del pianeta come una calamità per la vecchia Europa. L’indipendenza delle colonie non contribuirà ad isolarle, ma al contrario contribuirà ad avvicinarle maggiormente ai popoli di antica civiltà. Il commercio tende ad unire ciò che una gretta politica ha separato da molto tempo. E c’è ancora qualcos’altro: è connaturato alla civiltà il fatto di estendersi senza per questo estinguersi nel luogo dove nacque. La sua marcia graduale da oriente a occidente, dall’Asia verso l’Europa, non contraddice questo assioma. Una luce viva conserva il suo splendore anche quando illumina uno spazio più grande. La cultura intellettuale, fonte feconda della ricchezza nazionale, si trasmette passo dopo passo, si estende senza spostarsi. Il suo movimento non è una migrazione: se ci è apparsa così in Oriente è perché le orde barbare si impadronirono dell’Egitto, dell’Asia Minore e di quella Grecia che, prima libera, poi abbandonata, era la culla della civiltà dei nostri progenitori.
La barbarie dei popoli è effetto dell’oppressione che esercitano il dispotismo interno o il conquistatore straniero. Si accompagna sempre ad un progressivo impoverimento e ad una diminuzione del patrimonio pubblico. Istituzioni libere e forti adattate agli interessi di tutti, allontanano questi pericoli; la civiltà crescente del mondo, la competizione del lavoro, o quella dei commerci, non rovinano gli Stati il cui benessere si basa su fonti naturali. L’Europa, produttrice e commerciante, trarrà beneficio dal nuovo ordine delle cose che potrà introdursi nell’America Spagnola, come ebbe a trarre beneficio, in conseguenza della crescita del consumo, dagli eventi che fecero cessare le barbarie in Grecia e nelle coste settentrionali dell’Africa e negli altri paesi sottomessi alla tirannia degli ottomani. Non c’è nulla di minaccioso in questo per la prosperità del Vecchio Continente se non il prolungarsi delle lotte intestine che frenano la produzione e allo stesso tempo fanno diminuire il numero dei consumatori ed i loro bisogni. Nell’America Spagnola, questa lotta, cominciata sei anni dopo la mia partenza4, va avviandosi alla fine. Vedremo presto popoli indipendenti popolare le due rive dell’Oceano Atlantico, retti da forme di governo molto diverse, però uniti dal ricordo di una origine comune, dalla uniformità della lingua e dai bisogni che il sorgere delle civiltà determina. Si può dire che gli immensi progressi dell’arte del navigare hanno ristretto i bacini dei mari. Già oggi l’Oceano Atlantico si presenta ai nostri occhi nella forma di uno stretto canale che non allontana dal Nuovo Mondo i paesi commercianti d’Europa più di quanto, nell’infanzia della navigazione, il Mediterraneo allontanasse i greci del Peloponneso da quelli dello Jonio, della Sicilia e della Cirenaica.
1 – Traduzione dall’edizione spagnola: Alexander von Humboldt, Viaje a las regiones equinocciales del Nuevo Continente, Biblioteca Venezolana de Cultura, Ministerio de Educación, Caracas, 1941-42 [Libro IX, Capitolo XXVI]
2 – Secondo le valutazioni di Humboldt, l’America aveva nel 1823 circa 34 milioni di abitanti. Alla stessa epoca, la Francia ne aveva 32 e la Germania 26.
3 – La popolazione dell’America ha raggiunto quella dell’Europa (Russia inclusa) nel 1989.
4 – Cioè nel 1810, inizio della guerra d’indipendenza in Messico.