La crisi e l’imprenditoria straniera
Il 4 giugno 2013 è stato presentato il rapporto annuale sull’imprenditoria straniera in Italia, elaborato dal Centro Studi della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA). Diversamente da quanto rilevato fino a oggi, i risultati mostrano che la crisi ha avuto un impatto negativo sulle imprese individuali gestite da stranieri: nel 2012, infatti, vi è stata una riduzione del 6,7%. Questo calo è tuttavia più che compensato dall’aumento delle imprese di stranieri, secondo la definizione più ampia di Unioncamere [1]. Le difficoltà incontrate nel 2012 dalle imprese individuali non annullano l’importante trend di crescita degli ultimi anni: il +39,2% nel periodo 2007-2012, secondo dati CNA, complessivamente porta gli stranieri a poco meno di un decimo degli imprenditori presenti in Italia.
Problematiche simili, pur con caratteristiche diverse In un contesto di elevato dinamismo dell’imprenditoria straniera in Italia, il 2012 presenta però un dato ambiguo, che merita di essere interpretato. Certamente la crisi gioca un ruolo importante, ma in questo le imprese di stranieri non si discostano da quelle gestite da italiani. La Fondazione Leone Moressa mette, infatti, in risalto che anche gli imprenditori stranieri devono affrontare gli stessi problemi che affrontano gli imprenditori italiani, legati soprattutto all’eccessiva burocrazia e alle difficoltà di liquidità legate a ritardi nei pagamenti.Gli imprenditori stranieri tendono ad avere un autofinanziamento elevato, in particolare nella fase di avvio dell’attività, dove le reti e i legami familiari giocano un ruolo importante (CNEL 2011), mentre si rivolgono maggiormente alle banche in fase di sviluppo della loro attività. Secondo i dati del CNEL, gli immigrati che iniziano un’attività imprenditoriale in Italia sono in media ben istruiti, parlano bene l’italiano ed hanno già accumulato esperienza nel settore in cui lavorano. Questo dato riflette bene il fatto, già noto, che i lavoratori immigrati provengono, generalmente, da classi sociali relativamente agiate del paese di origine. Le imprese gestite da stranieri sono ben integrate nel tessuto economico territoriale, in particolare a livello locale. Hanno per lo più clienti e fornitori italiani, usufruiscono a pieno dei servizi offerti dalle associazioni di categoria e ritengono importante avere un network ben sviluppato che comprenda anche attori italiani (CNEL 2011). I dati CNEL mostrano che il 35% delle imprese di stranieri rientra nella categoria del lavoratore autonomo e le altre hanno in media 3,7 impiegati di cui solo il 23% è italiano. Tali dati hanno delle ragioni economiche, ma evidenziano anche una difficoltà sotto il profilo dell’assunzione di lavoratori dipendenti italiani, dovuta in parte alle piccole dimensioni, ma in parte anche da una difficoltà di accesso al mercato del lavoro.
Un sostegno all’imprenditoria italiana da preservare. Per quanto riguarda l’accesso al capitale economico e sociale, le imprese gestite da stranieri, come quelle gestite da italiani, seguono percorsi legati alla rete di conoscenze e legami nei quali sono inserite, mostrando una forte tendenza all’autofinanziamento. Se pure le imprese straniere condividono le medesime difficoltà ambientali delle imprese gestite da italiani, va anche rilevato che se ne distinguono fortemente per alcuni tratti, in particolare per la crescita del loro numero, a fronte di un trend “italiano” in direzione opposta che si trascina ormai da anni.Per interpretare il fenomeno della crescita e della piccola taglia delle imprese gestite da stranieri, deve essere considerato un aspetto importante, ossia le caratteristiche strutturali del tessuto economico italiano che vedono una netta predominanza delle piccole e medie imprese (PMI), cosa che può aver condizionato, a prescindere da altri fattori, lo sviluppo di questo tipo di aziende. La crescita dell’imprenditoria straniera in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando può anche essere il frutto di discriminazioni nel mondo del lavoro subordinato in termini sia di assunzione sia di carriera che fanno del mettersi in proprio l’ultima spiaggia per i cittadini stranieri. Il rischio è che da questo fenomeno derivi un’ulteriore ghettizzazione delle comunità di immigrati. Dai dati del CNEL non sembra tuttavia che la crescita delle imprese di cittadini stranieri sia legata a discriminazioni nel mondo del lavoro dipendente, ma piuttosto a un desiderio di ascesa e integrazione sociale che non sembra possibile ottenere in altro modo.La riduzione delle imprese individuali, contestuale all’aumento delle società con strutture più complesse, può anche essere interpretato come un dato positivo, indice di un consolidamento della posizione nel sistema produttivo delle società guidate da stranieri.Se vogliamo quindi che gli imprenditori stranieri continuino a prosperare nel nostro paese e a svolgere la funzione di traino che hanno avuto finora, sarà necessario far fronte non solo alle problematiche che hanno in comune con le imprese di italiani, ma anche alla mancanza di integrazione sociale che gli stranieri in generale subiscono, che alla lunga rischia di scoraggiare o compromettere anche quella economica.
Riferimenti bibliografici:
CNEL 2011: Il profilo nazionale degli immigrati imprenditori, rapporto dell’Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri, CNEL.
CNA 2013: Rapporto annuale sull’imprenditoria straniera in Italia, Centro Studi della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA)
Unioncamere 2013: comunicato stampa di Unioncamere sulla base di Movimprese , pubblicato il 02/03/2013
Fondazione Leone Moressa
[1] Sono considerate da CNA solo le imprese individuali il cui titolare sia nato in un paese estero; oltre a queste, Unioncamere include anche le società di persone in cui oltre il 50% dei soci sia costituito da persone nate in un paese estero e le società di capitali in cui oltre il 50% dei socie e degli amministratori sia nato in un paese estero.