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Strane previsioni

Neodemos ha già commentato la nuova versione delle previsioni di popolazione del mondo della Population Division delle Nazioni Unite, che aggiornano la versione del 2010 (11 miliardi sul pianeta e l’incerto destino dell’Africa, di Alessandro Rosina, pubblicato il 26.6.2013). Vale la pena di riprendere il tema, perché non si tratta di una faccenda per “addetti ai lavori”. Le previsioni di popolazione dell’ONU sono alla base delle previsioni di tipo economico e ambientale, indispensabili per ragionare in modo sensato su scelte politiche cruciali per il nostro futuro: lo sviluppo sostenibile, il contrasto dell’effetto serra, le modalità di approvvigionamento delle materie prime, e così via. Gli scenari demografici elaborati dall’ONU influenzano il discorso pubblico sul mondo dove vivranno i nostri figli. Il problema è che questi scenari vengono spesso presi per oro colato, sia dai commentatori sia dai demografi, come se fosse effettivamente possibile prevedere esattamente quanti e come saremo nel lontano futuro. Conviene quindi interrogarsi sulla bontà di queste previsioni: tanto più che i demografi di New York continuano a fare alcune scelte che – a mio avviso – rendono molto discutibili i loro risultati.
Non spingiamoci troppo avanti
La prima scelta poco sensata è proporre proiezioni fino al 2100. Cosa sarebbe accaduto se nel 1913 si fosse tentato di prevedere la popolazione del mondo al 2000, senza tener conto (ovviamente) di due guerre mondiali, della scoperta degli antibiotici, dello sviluppo dell’aviazione, dell’epidemia di AIDS, della diffusione dell’alfabetizzazione e dei contraccettivi? La pubblicazione di proiezioni al 2100 fa ritenere ai non addetti ai lavori che si tratti del  futuro più probabile possibile. Ma non è così. Non è affatto probabile che nel 2100 – come suggeriscono le previsioni – nel mondo vivano 11 miliardi di persone (a fronte dei 7 miliardi attuali) e che metà di questi 11 miliardi vivano in Africa. Insomma, in un mondo in rapidissima evoluzione, l’orizzonte delle previsioni demografiche non dovrebbe spingersi oltre i due-tre decenni, evitando così di presentare come verosimili scenari di incertissima realizzazione.
Controlliamo la convergenza?
Per calcolare la popolazione del futuro, è ovviamente necessario “scommettere” sull’andamento della mortalità, della natalità e delle migrazioni. I demografi dell’ONU suppongono che le grandi differenze oggi esistenti fra i paesi del mondo, nel giro dei prossimi novant’anni, si attenuino radicalmente: che la mortalità converga verso una vita media di 80-90 anni, la natalità si stabilizzi in tutto il mondo attorno ai due figli per donna, e le migrazioni internazionali si riducano drasticamente e progressivamente, fino ad annullarsi nel 2100. Rispetto alle previsioni ONU del 2010, il declino della natalità nei paesi poveri viene supposto più rallentato, cambiando radicalmente il modo in cui questa previsione viene concepita.
A mio avviso, solo l’ipotesi sulla convergenza della mortalità ha un fondamento teorico ed empirico (a meno di scoperte scientifiche in ambito sanitario a tutt’oggi del tutto imprevedibili), perché effettivamente da qualche anno nei paesi ricchi il miglioramento della sopravvivenza sta rallentando, mentre nei paesi poveri i miglioramenti continuano a essere molto rilevanti.
Per contro, la natalità dei paesi poveri sta effettivamente diminuendo, ma non si osserva una chiara convergenza verso i due figli per donna, né vi sono chiari segnali di rallentamento nel declino. Nel trentennio 1980-2010, il numero medio di figli per donna è passato da 4,5 a 2,1 in Indonesia, da 6,3 a 2,3 in Bangladesh, da 6,6 a 1,8 in Iran, da 5,6 a 2,8 in Egitto, da 5,7 a 2,3 in Marocco. In questi paesi il declino continua, mentre in altri (come in molti paesi africani) la “rincorsa” al declino è appena iniziata, e probabilmente continuerà spedita. Tuttavia, non è affatto detto che si realizzerà una convergenza verso i due figli per donna, una specie di “numero magico” per i demografi, perché – con una mortalità bassa e costante – rende la popolazione costante nel tempo e arresta l’invecchiamento. Per quanto ne sappiamo, molti paesi potrebbero allinearsi ad Italia, Spagna, Giappone, Germania e alle grandi aree urbane dell’Asia sud-orientale, dove da più di 20 anni nascono meno di 1,5 figli per donna. Se ciò avverrà, la popolazione dei paesi poveri aumenterà meno di quanto oggi prevedono le Nazioni Unite.
Tra scienza e equilibri politici
Infine, è contraddittorio sostenere che nei paesi poveri – con l’aumento inevitabile dei giovani in età da lavoro – nei prossimi decenni diminuirà la forza delle emigrazioni (figura 1). I dati empirici per l’Europa del passato e per i paesi poveri di oggi mostrano che quando la forza lavoro si accresce, aumentano anche le emigrazioni, e che quando la forza lavoro tende a diminuire, aumentano le immigrazioni. Quando suppone che le migrazioni internazionali diminuiscano nei prossimi decenni, l’ONU adotta un modello di pensiero forse tranquillizzante e politically correct, ma incoerente sia rispetto a ciò che è avvenuto nel passato, sia rispetto alla dinamica delle grandezze demografiche ed economiche effettivamente in gioco nel prossimo futuro.
In conclusione, l’ONU fa bene a cercare di prevedere la popolazione del mondo, ma dovrebbe evitare di spingere l’orizzonte troppo avanti, diciamo oltre il 2050. Inoltre, dovrebbe adottare procedure più realistiche e coraggiose per prevedere i futuri andamenti della natalità e delle migrazioni. Molti indizi inducono a ritenere che, nei paesi oggi poveri, il declino della natalità e l’intensità delle emigrazioni saranno più intensi di quanto l’ONU oggi supponga, mentre nei paesi oggi ricchi le immigrazioni di giovani lavoratori potrebbero essere molto più sostenute. Di conseguenza, nei prossimi due-tre decenni, la crescita della popolazione nei paesi poveri e l’invecchiamento dei paesi ricchi potrebbero rallentare in misura assai maggiore di quanto oggi previsto dalla Population Division delle Nazioni Unite.

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