Quasi ovunque, nel mondo, la fecondità è da tempo in declino e ha talvolta raggiunto valori molto bassi: quasi tutti i paesi dell’OECD[1], ad esempio, sono ormai scesi sotto il livello di rimpiazzo (circa 2 figli per donna). Le ragioni sono molteplici: aumento dell’istruzione e del tasso di occupazione femminile (dal 49,7% nel 1992 al 58,6% nel 2009 – media OECD), riduzione degli spazi e aumento dei costi, ecc. Ma un tasso di fecondità troppo basso determina invecchiamento e ciò preoccupa i governi per ragioni di sostenibilità del welfare e di crescita economica – e forse non corrisponde agli effettivi desideri delle famiglie. Nel corso degli anni sono state allora intraprese diverse misure nell’ambito della politica familiare (in termini di sussidi, trasferimenti, servizi per l’infanzia) per fornire aiuto e sostegno alle famiglie in difficoltà. Quali politiche? E hanno avuto effetto?
Un database sulle politiche familiari
Per rispondere a queste domande, Anne Gauthier ha predisposto il il Comparative Family Policy Database (http://www.demogr.mpg.de/cgi-bin/databases/FamPolDB/index.plx) rendendolo pubblico nell’agosto del 2010 e aggiornandolo poi di recente, nel giugno 2011 (pur se non completamente). Tale database presenta, per 22 paesi OECD, alcune variabili socioeconomiche (tasso di fecondità, salario, partecipazione femminile al lavoro, tasso di disoccupazione, tasso di mortalità infantile, etc.) e altre che riguardano interventi di politica familiare (politiche di trasferimento monetario alle famiglie e politiche dei congedi parentali), per un periodo che da dal 1960 al 2008 (o al 2010, in alcune alcuni casi).
Certo, alcuni utilizzatori preferiranno forse servirsi dei dati OECD[2], anch’essi aggiornati di recente (aprile 2011; v. anche Gustavo De Santis, “Vi presento la mia famiglia … ”), che hanno il vantaggio di essere ufficiali. Ma con il database della Gauthier si ha accesso ai microdati, sui quali si possono tentare elaborazioni personali.
Politiche familiari e fecondità: uno scarso legame?
L’elenco delle elaborazioni possibili sulla base dei dati del Database Gauthier è quasi infinito. Giusto per ricavarne una prima impressione, limitiamoci qui a utilizzare solo alcune variabili, e per giunta in modo molto elementare. Ci si è limitati qui alle politiche dei trasferimenti familiari e dei congedi familiari. In entrambi i casi si sono considerati gli indicatori elementari (riconducibili ai due ambiti, rispettivamente di assegni[3] e congedi[4]), si sono dati punteggi di graduatoria, si sono sommati i punteggi e si sono ottenute nuove graduatorie: in un primo momento due (una per ciascun ambito) e poi, per ulteriore somma, una sola – generale (tab. 1).
Tab. 1 – Paesi OECD per punteggio attribuito alle politiche familiari, 1999.
Nota: Elaborazioni dell’A. sul Database Gauthier. PTF= trasferimenti; PCF= congedi; PF = in totale
Ebbene, in ciascuno dei casi si è poi verificato se vi fosse una qualche correlazione tra la posizione di graduatoria rispetto a queste politiche e il comportamento fecondo dei paesi negli anni 1999 e 2008. La risposta è sempre stata negativa: non sembra esserci alcune correlazione evidente tra le politiche familiari e la fecondità del paese (figg. 1 e 2).
Alla ricerca di una spiegazione
Le ragioni del mancato legame possono essere molte. Intanto, si tratta di correlazioni a livello ecologico (per paesi), che però non sono necessariamente rivelatrici di ciò che avviene alle singole persone o famiglie dentro ai paesi. E conviene anche ricordare che, in molti casi, le politiche (che non sono mai esplicitamente nataliste) sono giustappunto calibrate in funzione delle condizioni individuali (es. basso reddito, famiglie monoparentali, ecc.). E possono avere vari obiettivi: ad esempio, una miglior distribuzione delle nascite durante la vita feconda della donna, o una miglior salute riproduttiva, ecc.
Inoltre, è possibile che le politiche abbiano effetto nel più lungo periodo, e quindi che non sia legittimo attendersi che una politica introdotta oggi produca immediatamente i suoi effetti. Oppure che, come sostengono i pessimisti, inducano quei genitori che avevano già in mente di avere un figlio ad averlo prima piuttosto che dopo, ma abbiano scarsissimo effetto su coloro che non avevano intenzione di avere altri figli, e quindi sulla fecondità complessiva (Gans e Leigh, 2009).
Infine, ed è forse la ragione più importante, le politiche familiari sono costose, e sono introdotte solo quando se ne ravvede la necessità, cioè, ad esempio, quando la fecondità tende a diminuire troppo. Diventa allora possibile persino osservare la relazione contraria, e cioè che le politiche siano più forti (perché più necessarie), lì dove la fecondità è più bassa.
In conclusione, gli effetti delle singole misure sono difficili da valutare, e possono talvolta persino portare ad apparenti paradossi, ma il quadro complessivo all’interno dei paesi OECD sembra oggi abbastanza chiaro: la fecondità è più alta dove più forte è l’uguaglianza di genere, e maggiori sono l’istruzione e l’occupazione femminile. Si tratta, quindi, non direttamente di politiche familiari, ma, piuttosto, di mentalità, cultura e, di conseguenza, organizzazione sociale in senso lato. Il che significa anche che più difficili appaiono essere gli interventi correttivi in quei paesi, come l’Italia, che sono oggi più indietro su questo fronte.