Peregrinando per il mondo, si ha modo e tempo per riflettere sul significato dei confini tra Stati. Questi – frutto dell’emergere degli stati nazionali in epoca moderna – segnalano e rivestono due significati. Il primo, immateriale, è connesso all’identità di ogni entità statuale. Il confine di stato la definisce e la rafforza, culturalmente, politicamente, economicamente. Il secondo è materiale e pratico: il confine serve per riscuotere imposte e pedaggi; per controllare chi va e chi viene; è la linea travalicando la quale si diviene soggetti a regole diverse. Così è stato per secoli, così è ancora ovunque nel mondo.
Eppure in Europa, le cose stanno evolvendo rapidamente. Il ventesimo secolo aveva sconvolto più volte i confini nazionali, creando nuove identità statuali, frammentandone altre, spostando per ragione e convenienza politica le frontiere. Negli ultimi venti anni, l’espansione dell’Unione Europea, la creazione e l’allargamento di uno “spazio Schengen” di mobilità ha scolorito lo storico significato della frontiera tra paese e paese. La vera frontiera dell’Europa è oramai quella con i “paesi terzi”. Anzi, si va oltre – come sta avvenendo nel Mediterraneo – perché le intercettazioni e i respingimenti in mare hanno sospinto le frontiere a ridosso delle acque territoriali africane.
Nascita e compiti di Frontex
Nata nel 2005 su decisione del Consiglio Europeo, con sede a Varsavia, Frontex (Agenzia Europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere degli Stati membri della UE) ha i seguenti compiti: (1) cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne; (2) assistenza nella formazione delle guardie di frontiera; (3) analisi dei rischi; (4) assistenza nei punti e casi di crisi; (5) sostegno alle operazioni di rimpatrio degli irregolari. Nel breve giro di cinque anni, il suo bilancio è passato da 6 milioni di euro del 2005 a 90 del 2010; ha uno staff di 260 persone ed ha appena costituito un ufficio distaccato per il Mediterraneo in Grecia (Pireo). L’obbiettivo di rafforzare Frontex è rilanciato nel “Programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-14”, attraverso un rafforzamento delle capacità operative, un’attribuzione di competenze di comando in operazioni congiunte tra Stati (su basa facoltativa), la disponibilità di mezzi propri (aerei, natanti ecc) e la capacità di mobilitare più rapidamente i mezzi messi a disposizione. Questi obbiettivi, approvati dal Consiglio sono anche fatti propri dalle raccomandazioni del Parlamento Europeo che ha sottolineato la necessità di un maggiore controllo parlamentare sull’operato Frontex; l’istituzione di pattuglie di vigilanza congiunte permanentemente operative nelle zone ad alto rischio (per i migranti), particolarmente nel Mediterraneo. Ma, soprattutto, il Parlamento Europeo ha raccomandato un quadro legislativo più chiaro per quanto riguarda le operazioni di rimpatrio, e l’assoluto rispetto dei diritti umani dei migranti, un richiamo che ben si comprende se si pone mente alla violazione sostanziale e formale del diritto d’asilo per quei migranti intercettati e respinti in mare.
Mentre c’è generale consenso sulla necessità di potenziare l’efficienza di Frontex come guardiano delle frontiere, c’è anche la preoccupazione di rafforzarne il mandato legale e di sottoporlo a maggiore controllo politico, data l’estrema delicatezza dei suoi compiti. L’azione alle frontiere corre sempre il rischio di interferire con le prerogative dei paesi confinanti e di creare tensioni e incidenti di natura diplomatica.
Nel Marzo del 2010, la Commissione Europea ha presentato una bozza di regolamento –attualmente all’esame delle istituzioni UE – che prevede ulteriore rafforzamento dell’azione di Frontex nella linea del “Programma di Stoccolma”. Tra le novità, l’istituzione di un pool di guardie di frontiera con apporto obbligatorio di personale da parte degli Stati; la messa in comune obbligatoria di mezzi e attrezzature da parte degli Stati, e acquisizione diretta degli stessi da parte di Frontex; attribuzione a Frontex del coordinamento di operazioni congiunte di rimpatrio e della co-direzione di operazioni congiunte (pattugliamento marittimo e terrestre, ecc).
I muscoli di Frontex
Sicuramente Frontex non potrà mai sostituirsi agli Stati nella gestione dei controlli frontalieri. Le frontiere dell’Europa si estendono per migliaia di chilometri, per mare e per terra, controllate da un esercito di 400.000 guardie; ci sono 1.792 varchi di frontiera, e mezzo miliardo di transiti ogni anno; oltre 20 milioni di extra-comunitari regolari vivono nella UE, e un numero imprecisato – dell’ordine di svariati milioni – ci vivono in situazione di irregolarità. Nonostante il rafforzamento, Frontex non può che rimanere un’agenzia di coordinamento, seppure con responsabilità crescenti e assai delicate. Vanno in particolare segnalate le operazioni congiunte di pattugliamento che dalle coste dell’Africa occidentale si estendono per tutto il Mediterraneo, nello sforzo di porre una diga preventiva ai transiti di migranti irregolari, prima del loro sbarco in Europa. L’operazione HERA – alla quale dal 2006 hanno partecipato oltre alla Spagna e il Portogallo, anche l’Italia, la Mauritania e il Senegal, con mezzi navali e aerei, ha in poco tempo ridotto gli sbarchi illegali nelle Canarie da 32.000 nel 2006 a 2.000 nel 2009. Nel 2007 è stato creato una European Patrols Network (EPN) che ha operato pattugliamenti congiunti e coordinati nel Mediterraneo e nel Mar Nero (operazioni Indalo, Hermes, Nautilus, Poseidon, Euxine). I mezzi sono per ora limitati, ma l’obbiettivo è di estenderli e rafforzarli in una logica che è simile a quella del pattugliamento congiunto Italia-Libia che genera non poche preoccupazioni in merito alla salvaguardia dei diritti umani dei migranti.
I confini orientali dell’Europa
In Europa, non sono solo le migrazioni irregolari che solcano il Mediterraneo che destano preoccupazione. Anche i confini terrestri orientali debbono essere oggetto di sorveglianza – si tratta di quasi 2000 chilometri di confini con Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, oltre al confine greco-turco che presenta particolarità proprie.
Dopo la seconda guerra mondiale, la Polonia ha ceduto una vasta porzione del proprio territorio a est, a beneficio dell’URSS, territori che oggi appartengono alla Bielorussia e all’Ucraina. Venne compensata con l’acquisto – a scapito della Germania – di territori a ovest, con un nuovo confine nella linea Oder-Neisse. Questa brutale scomposizione e ricomposizione territoriale portò con se una massiccia migrazione forzata di nazionali polacchi espulsi dall’URSS, ma che conservarono collegamenti familiari, di comunità di coltura nei territori di origine (attualmente in Bielorussia e Ucraina). Con l’entrata della Polonia nello spazio Schengen considerazioni di buon vicinato hanno consigliato di attuare una generosa politica dei visti con i due paesi vicini (oltre un milione concessi nel primo anno); inoltre bielorussi e ucraini non hanno necessità di un permesso per lavorare in Polonia. Ad est del confine con l’Ucraina è stata creata un fascia di 30 chilometri nella quale gli ucraini possono circolare senza permessi di sorta. Il timore avanzato non ufficialmente da funzionari UE è che il confine possa rivelarsi assai poroso per immigrazioni illegali. Considerazioni non dissimili possono anche farsi con riferimento ai rapporti tra Romania e Moldavia: la prima concede con grande facilità i visti ai cittadini della seconda che – tra l’altro – ottengono facilmente la cittadinanza rumena. L’azione di Frontex, con riferimento ai confini orientali, ha puntato soprattutto sulla formazione delle guardie di frontiera e sull’assistenza tecnica nel controllo delle medesime, sembra con buoni risultati. Il tempo dirà se non insorgeranno nuovi problemi a richiedere un’azione più incisiva del’Agenzia.
Riferimenti bibliografici
Frontex, Beyond Frontiers, Varsavia, 2010
Servizio Affari Internazionali del Senato, Proposta di regolamento di Frontex, Dossier 50/DN, Roma, 2010