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Quali politiche contro l’irregolarità?

L’irregolarità – o clandestinità, suo sinonimo peggiorativo – si affronta e si risolve combattendone le cause e non solo reprimendone la manifestazione. E’ così scontata, questa affermazione, che si prova vergogna a doverla ripetere; eppure essa è sovrastata dal frastuono delle ricette semplicistiche e di apparente immediato effetto. Respingimento dei barconi e dei loro disgraziati passeggeri, incuranti delle loro origini e della loro sorte (poco importa se scappano dalle violenze di una guerra o dalle persecuzioni politiche); condanna ed espulsione di chi è privo di permesso di soggiorno valido (anche se è una pacifica persona, bene integrata, brava e utile sul lavoro); ammissione – ma per corte, cortissime durate – degli stranieri pur necessari ad imprenditori e famiglie, rendendo difficile il loro radicamento, “perché l’Italia non è, né può diventare, multietnica”. Le parole d’ordine sono “dissuasione”, “essere cattivi” con chi non si conforma alle regole, mostrare che l’Italia non è il “ventre molle” dell’Europa. L’esperienza mostra che queste ricette hanno scarsa efficienza e diminuiscono l’utilità delle migrazioni – per i migranti ma anche, fatti i conti, per i paesi di origine e per quelli di destinazione.

 
L’irregolarità nei paesi ricchi
In tutto il mondo sviluppato un’alta proporzione di stranieri è in condizione di irregolarità. I numeri non sono certi, e per ovvie ragioni, ma le stime più attendibili parlano di 13 milioni di irregolari negli Stati Uniti; di 6-8 milioni nell’Unione Europea; di 5-10 milioni nella Federazione Russa. Perfino nell’ordinatissima (e piccola) Svizzera, la stima (minima) dei sans papier è dell’ordine di 80-100.000 persone (più che in Italia, fatte  le debite proporzioni)1. Tutti i paesi si affannano a studiare le ricette per contenere il fenomeno, ma tutti sanno bene che nel mondo sempre più integrato per la velocità dei trasporti e delle comunicazioni e per una mobilità crescente – e sempre più diviso dalle distanze economiche e demografiche abissali tra paesi e percorso da conflitti e violenze – non esistono soluzioni semplici. In Italia – dove la legge Bossi-Fini è in vigore dal  2002 – il numero di irregolari secondo le stime dell’ISMU2 ha oscillato, dal 1998 in poi, tra le 200.000 e le 800.000 unità, con periodiche riduzioni dovute alla sanatoria del 2002 e al generoso decreto flussi del 2007. Gli irregolari, secondo le valutazioni dell’ISMU, erano 650.000 all’inizio del 2008; oggi sono in numero superiore, perché la crisi ha privato del lavoro (e quindi del permesso di soggiorno) parecchi stranieri – molti dei quali rimasti in Italia – mentre l’impossibilità di nuovi ingressi legali, per la non reiterazione del decreto flussi nel 2008, ha prodotto nuovi arrivi illegali e nuove assunzioni al nero da parte di  famiglie ed imprese.

 
Le cause profonde del fenomeno
         E’ opinione comune, tra gli esperti, che il giro di vite che il governo sta imprimendo alla legislazione e alla politica – inasprimenti di pene per i reati commessi dagli irregolari; reato d’immigrazione clandestina; respingimenti indiscriminati in mare; balzelli ed altre vessazioni di inventiva leghista – non inciderà significativamente sul fenomeno. In compenso alimenterà la conflittualità e le difficoltà degli immigrati, anche di quelli regolari, rendendone più ardua l’integrazione. Torniamo invece alle cause profonde dell’irregolarità, che possono eliminarsi solo con politiche coerenti di lunga lena (che le maggioranze pro tempore dovrebbero impegnarsi a non stravolgere). Primo: l’enorme dimensione dell’economia sommersa. Quel quinto, o sesto, del PIL prodotto al nero, impiega lavoro irregolare e calamita stranieri. Secondo: un welfare familiare debole e avaro, puntellato dal lavoro domestico (straniero) per allevamento dei figli e cura degli anziani. Terzo: canali di entrata legale impervi per i datori di lavoro, soprattutto se piccoli imprenditori o famiglie (per ogni lavoro occorrerebbe individuare “al buio” il candidato fuori d’Europa). Quarto: la tagliola dei titoli di soggiorno in continua scadenza per la loro corta durata, la macchinosità e il costo del rinnovo, che pone a rischio di irregolarità anche l’immigrato meglio intenzionato. Quinto: un’economia nella quale pesano molto i settori labor-intensive e lavori poco appetiti dagli italiani.

 
Le radici profonde dell’irregolarità via mare
         Che dire infine delle decine di migliaia (37 000 nel 2008, l’anno del record) di stranieri che sbarcano, o tentano di sbarcare, sulle coste italiane? Non vanno tutti respinti, e immediatamente, al mittente? No, perché l’Italia è un paese civile, ed ha sottoscritto le convenzioni internazionali che stabiliscono che chi è perseguitato o vittima di violenze, va ospitato e protetto. Chi non lo è deve essere rispedito a casa. Ogni caso va vagliato secondo legge: il “respingimento” all’ingrosso è vietato. Altrimenti si esce dal novero dei paesi civili. L’Italia, l’Europa, i paesi di transito e di partenza, le organizzazioni internazionali elaborino nuove modalità se quelle attuali sono superate dagli eventi. In un’audizione al Senato del 25 maggio scorso il Ministro dell’Interno ha annunciato che Italia, Libia, Unione Europea e UNCHR stanno cercando una soluzione condivisa per i respingimenti che non leda i diritti umani e rispetti il principio di non refoulement per chi chiede asilo o protezione. Speriamo che questa soluzione venga trovata, facendo leva anche sugli impegni contenuti nel Trattato Italia-Libia3.  Diversi milioni di migranti irregolari vivono nei paesi dell’Africa del Nord (almeno 1 milione in Libia), e ogni anno più di 100.000 immigrati provenienti dai paesi al sud del Sahara ne accrescono il numero. Molti sono tentati di fare il salto in Europa. Non saranno i radar e le pattuglie in mare a risolvere il problema se non affiancati da una diplomazia (italiana, europea) che offra cooperazione, tecnologia, progetti e soldi ai paesi di origine e transito, esigendo il rispetto delle regole e dei diritti umani.

Note
1 – Sugli irregolari in Svizzera: http://www.sans-papiers.ch/
2 – ISMU, XIV Rapporto sulle migrazioni in Italia 2008, FrancoAngeli Milano, 2009, p. 43
3 –  Massimo Livi Bacci, Il Trattato Italia-Libia e il controllo dell’immigrazione, “Neodemos”…

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