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Il lavoro degli italiani e degli immigrati

Immigrati: buoni e (c)attivi
Il contributo degli immigrati all’economia italiana sta diventando sempre più importante: alla straordinaria crescita registrata in questi ultimi anni nelle dimensioni della presenza straniera ha, infatti, corrisposto un aumento altrettanto rilevante della quota degli immigrati sul totale degli occupati e della loro partecipazione alla creazione della ricchezza. Secondo le stime del Sole-24 Ore, circa il 6% del Pil nazionale è ormai prodotto da immigrati. A rendere ancora più rilevanti queste tendenze contribuisce la maggiore partecipazione alle attività lavorative degli immigrati rispetto agli italiani. Tra i maschi, ad esempio, in tutte le classi d’età, i tassi d’attività degli stranieri risultano più elevati di quelli dei cittadini italiani residenti. La differenza è particolarmente sensibile tra i 15 e i 24 anni, dove il livello di partecipazione alle attività di mercato degli immigrati presenta un valore di 16 punti più elevato di quello degli italiani (43,3 contro il 19,8%), tende quasi ad annullarsi nella parte centrale, in cui i tassi sono molto prossimi, ma si accentua nuovamente in modo netto nella fascia terminale dell’età lavorativa, quando si ha uno scarto di quasi 31 punti. Per quanto riguarda le donne, invece, al maggior livello di partecipazione delle immigrate nella classe 15-24 fa seguito una più alta presenza delle italiane fino ai 44 anni e, da tale età sino al termine del periodo lavorativo, tassi d’attività maggiori per le straniere.

Questi andamenti riflettono, per i maschi, la più elevata presenza sul mercato del lavoro degli immigrati, che è anche il risultato d’una minore scolarità e d’un peso più ristretto di pensionati nella fascia d’età considerata; per le donne, invece, i tassi più alti delle italiane tra i 20 e i 44 anni sono con ogni probabilità da attribuire alla presenza tra le immigrate di spose che si sono ricongiunte con i propri coniugi e che non si presentano sul mercato o ancora non hanno avuto modo di farlo. Del resto, l’universo femminile dell’immigrazione è caratterizzato da una suddivisione in due grandi componenti, di cui una a elevata partecipazione al lavoro e l’altra orientata verso modelli di comportamento più tradizionali.

Chi lavora di più?

In base a questi dati, un immigrato passerebbe 38,2 dei 50 anni lavorativi come occupato, 3 in cerca di occupazione e 8,8 in condizione non attiva (soprattutto da studente o pensionato). Il confronto con gli italiani si fa però più interessante se si tiene conto dei diversi livelli di attività che si registrano nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno. Così, un immigrato lavorerebbe quasi 4 anni più di un italiano residente nel Centro-Nord, ne passerebbe 1,7 di più come disoccupato e ne trascorrerebbe 5,3 di meno fuori dal mercato del lavoro. Nei confronti, invece, di un nostro connazionale che vive nel Mezzogiorno, l’immigrato tipo passerebbe 8 anni di più della sua vita lavorativa da occupato, ma trascorrendone di meno 0,7 da disoccupato e 7,3 da non attivo. Per le donne le differenze sono ancora più nette. Si avrebbe, infatti, un minor periodo trascorso dalle immigrate come occupate e uno più lungo da disoccupate rispetto alle italiane del Centro-Nord; mentre entrambi i periodi risultano più elevati rispetto a quelli delle meridionali. Il periodo di inattività sarebbe, invece, di una lunghezza sostanzialmente simile tra centro-settentrionali e immigrate, ma per queste ultime risulterebbe di quasi otto anni inferiore a quello delle meridionali.

Numero medio di anni vissuto in condizioni professionali e non professionali durante l’età lavorativa da italiani e stranieri, forze di lavoro 2005 (media ultimi trimestri)

Condizione

Maschi

Femmine

Italiani

Stranieri

Italiane

Straniere

Centro Nord

Mezzogiorno

Centro Nord

Mezzogiorno

Occupati

34,5

30,2

38,2

25,6

14,3

22,6

Disoccupati

1,3

3,7

3,0

1,8

3,4

3,6

Non attivi

14,1

16,1

8,8

22,6

32,2

23,9

Totale

50,0

50,0

50,0

50,0

50,0

50,0

E’ evidente che questi valori riflettono la situazione del momento e non sono necessariamente indicativi degli sviluppi futuri. Anzi, i cambiamenti in atto nel mercato del lavoro (per italiani e stranieri), le modifiche nelle regole d’uscita per pensionamento e la progressiva stabilizzazione delle collettività immigrate contribuiranno a modificare sempre più profondamente i comportamenti, avvicinando, con ogni probabilità, i due profili.

Sì, ma la qualità?

Un aspetto che merita però di essere segnalato, anche in prospettiva, è il ritardo che attualmente caratterizza gli immigrati in termini di partecipazione scolastica. Un ritardo che la crescita delle seconde generazioni, specie della componente nata in Italia, dovrebbe contribuire a ridurre, ma che può rappresentare un elemento critico nei processi di integrazione, comportando una possibile marginalizzazione di una quota importante della comunità immigrata e soprattutto una non adeguata valorizzazione del capitale umano presente nel paese.

Restano sulla scena le profonde differenze tra Sud e Nord nei livelli di partecipazione alle attività di mercato che la crescente presenza di lavoratori immigrati rende ancora più evidente. Si evidenzia così, ancor di più, il ritardo strutturale del mercato del lavoro meridionale, che appare ormai come una delle vere priorità nazionali.
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