L’Austria sarà il primo paese in Europa ad abbassare il voto ai 16 anni. Anche in Italia si sta discutendo di legge elettorale. I motivi che hanno spinto il governo austriaco al “rivoluzionario” cambiamento valgono ancor di più per il nostro paese. Ma le trasformazioni demografiche in atto sono tali che anche un allargamento così significativo dell’elettorato giovanile avrebbe di fatto solo un valore simbolico. Costituirebbe però un primo passo importante nella direzione auspicata di valorizzare maggiormente le nuove generazioni.
L’Italia è un paese che finora ha scarsamente investito sui giovani e quindi anche sul proprio futuro. Come è stato ripetutamente evidenziato, la riforma delle pensioni è carente soprattutto in termini di equità generazionale (si veda, tra gli altri, il recente intervento di Vincenzo Galasso: “Pensioni: per i giovani il futuro è adesso”, www.lavoce.info). Una riforma del mercato del lavoro non accompagnata da opportuni ammortizzatori sociali, ha reso più precari i percorsi lavorativi: i giovani italiani sono quelli che presentano, rispetto ai coetanei degli altri grandi paesi occidentali, tassi di occupazione più bassa, salari di ingresso in media più ridotti, più lunga dipendenza economica dai genitori e una età più tardiva di formazione di una propria famiglia (si veda, tra gli altri, il nostro articolo: “Com’è difficile essere giovani in Italia“, www.lavoce.info, e quello di Rosolia e Torrini su www.neodemos.it). Siamo del resto il paese che destina la maggior quota di spesa per protezione sociale verso le generazioni più anziane. Inoltre, la classe politica italiana è già attualmente una di quelle con maggior tasso di gerontocrazia del mondo occidentale (si veda il contributo di Gianluca Violante: “La repubblica della terza età”, www.lavoce.info).
Il fatto che l’attuale dibattito sulla riforma della legge elettorale sia centrato soprattutto sul peso da dare ai partitini e non tenga per nulla conto di come si ridurrà invece nei prossimi decenni il peso delle più giovani generazioni, è un segno evidente di come la politica italiana continui a ragionare con vecchie logiche invece di cogliere le vere sfide delle trasformazioni in atto.