I punti fondamentali della proposta sono noti: il periodo di regolare residenza necessario per richiedere la cittadinanza viene ridotto da 10 a 5 anni; introduzione dello jus soli per i nati in Italia da genitore straniero che vi risieda regolarmente da almeno 5 anni; possibilità, per i figli minori (di stranieri) non nati in Italia di acquisire la cittadinanza se vi studiano e lavorano. Inoltre il coniuge di un cittadino italiano dovrà attendere due anni dalla celebrazione del matrimonio per chiedere la cittadinanza, e ciò allo scopo di contenere i matrimoni di “comodo”. Infine lo straniero aspirante italiano dovrà superare un test (conoscenza dell’italiano e e di altri fondamenti culturali) e prestare giuramento. Va subito detto che norme analoghe si trovano nei maggiori paesi di immigrazione: per esempio, il limite minimo di residenza regolare per richiedere la cittadinanza è di 5 anni in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Olanda; di 10 in Spagna (ma solo 2 per gli iberoamericani); di 8 in Germania. Quasi ovunque l’ottenimento della cittadinanza è subordinato alla conoscenza della lingua e degli elementi fondanti della cultura del paese ospite. Un giuramento (più o meno solenne) sigilla il percorso. Naturalmente le regole contenute nel disegno di legge non sono articoli di fede, e ben vengano proposte migliorative che si adattino alle particolarità italiana.
Il dibattito che sicuramente si svilupperà intorno alla proposta Amato dovrà tener conto di un fondamentale fatto. Una società, come quella italiana, che ha strutturale bisogno di immigrazione, ha interesse che il processo d’integrazione venga coronato dall’acquisizione della cittadinanza. Intendiamoci: non tutti gli immigrati (forse appena una minoranza) intraprendono il cammino fino in fondo; molti ritornano al paese di origine; altri optano per mantenere la propria nazionalità; altri non sono in possesso dei requisiti richiesti. Ma lo sbocco, agibile e agevole, deve esserci per chi intraprende il cammino dell’integrazione. Ebbene, oggi questo sbocco non c’è, o meglio, c’è, ma è irto di ostacoli e parzialmente occluso. I pochi che arrivano alla cittadinanza (quando ciò non avvenga per matrimonio, cioè nella minoranza dei casi) la conseguono dopo quasi vent’anni di regolare residenza (il doppio del minimo richiesto). L’iter burocratico, in caso di successo della domanda, dura mediamente quattro anni; il tasso di discrezionalità è assai alto. Soccorrono poi, inequivocabili, le cifre: con uno stock di stranieri regolari di 3,5 milioni, i nuovi cittadini sono stati (2004) 12.000, ovvero 3 stranieri su 1000; in Francia la proporzione dei nuovi cittadini è di 29 su 1000; in Gran Bretagna 25 su 1000; in Olanda 17 su 1000; in Germania 12 su 1000; in Spagna 10 su 1000. Insomma il tasso di formazione dei nuovi cittadini è, altrove, da 3 a 10 volte più alto che in Italia. Tre saranno dunque gli obbiettivi della legge Amato: riformare le regole, per disegnare un percorso d’integrazione consono ai tempi e alle circostanze; rendere il percorso chiaro ed agevole e allo stesso tempo garantire che i requisiti richiesti vengano verificati; aumentare il numero dei nuovi cittadini. Lo stock dei possibili candidati – cioè di coloro con almeno cinque anni di residenza regolare in Italia – cresce rapidamente: l’aumento potrebbe superare 200.000 unità all’anno nel 2008 e nel 2009. Molti avranno i giusti titoli per diventare cittadini.
Acquisizione della nazionalità nei paesi Europei (2004) | ||
Paese |
Numero acquisizioni |
Acquisizioni per cento stranieri |
Austria | 41645 | 5,5 |
Belgio | 34754 | 4,0 |
Repubblica Ceca | 5020 | 2,1 |
Danimarca | 14976 | 5,5 |
Finlandia | 8246 | 7,7 |
Francia | 168826 | 5,0 |
Germania | 127153 | 1,9 |
Italia | 11934 | 0,5 |
Norvegia | 8154 | 4,0 |
Olanda (2003) | 28799 | 4,1 |
Portogallo | 1346 | 0,8 |
Regno Unito | 140795 | 5,1 |
Slovacchia | 4016 | 13,8 |
Spagna (2003) | 26556 | 2,0 |
Svezia | 26769 | 5,9 |
Svizzera | 35685 | 5,1 |
Fonte: OECD, International Migration Outlook Paris, 2006, p.290