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Cresce l’occupazione restano i ritardi di fondo

Il mercato del lavoro italiano sta conoscendo un momento decisamente positivo. In particolare, l’occupazione sta continuando a crescere dopo aver assorbito l’impatto negativo della pandemia. Una tendenza che, come mostra Corrado Bonifazi in questo articolo, andrebbe consolidata e rafforzata per affrontare gli effetti negativi della dinamica demografica e ridurre il ritardo che ancora ci separa dagli altri paesi europei.  

Le tendenze 

Gli effetti del declino demografico stanno già modificando in maniera rilevante dimensioni e composizione della Popolazione in età lavorativa (Pel). In appena sei anni, tra 2018 e 2024, gli individui tra 15 e 64 anni sono infatti diminuiti di 931 mila unità, con una perdita concentrata tra i 25 e i 54 anni e un aumento superiore al milione nella classe 55-64 anni (Tab. 1). Il calo maggiore si è registrato tra i 35 e i 44 anni, con una diminuzione di 1,67 milioni pari al 14,2% dell’ammontare iniziale; più contenuti, sia in termini assoluti che relativi, i decrementi registrati nelle due classi di età contigue. 

Considerando le persone fino a 74 anni gli occupati sono arrivati a 23,87 milioni, con un aumento di 979 mila unità rispetto al 2018. La crescita arriva a 817 mila se si limita l’attenzione ai residenti tra 15 e 64 anni. L’incremento si è registrato in quasi tutte le fascia di età; la sola in cui si è avuto un calo di occupati è quella tra 35 e 44, dove sono passati dai 6 milioni del 2018 ai 5,37 del 2024. In questo caso però ha sicuramente pesato la diminuzione delle persone nella classe di età, dato che al calo degli occupati ha corrisposto un aumento di quasi tre punti del tasso di occupazione. Il tasso totale è arrivato al 62,2%, con un aumento dei livelli occupazionali spalmato in tutte le classi di età. È tra i 25 e i 34 anni che si è avuta la variazione maggiore con una crescita di 6,8 punti percentuali, a dimostrazione che la congiuntura favorevole ha riguardato l’intera Pel e non è rimasta circoscritta alle età interessate direttamente all’innalzamento dell’uscita per pensionamento.

In un mercato del lavoro come quello italiano, segnato da forti differenze nei livelli di occupazione per genere ed età è interessante verificare l’andamento dei tassi in base a queste due variabili (Fig. 1). Un primo aspetto che colpisce è la sostanziale concordanza di andamento che si registra tra maschi e femmine e tra classi di età: al calo determinato dalla pandemia ha infatti fatto seguito un aumento generalizzato1 che già nel 2022 aveva portato i tassi di occupazione a superare i valori del 2018 e che è proseguito anche negli ultimi due anni in esame2.

Il tasso di occupazione femminile totale è arrivato nel 2024 al 53,3%, 3,7 punti percentuali in più rispetto al 2018; tra i maschi si è giunti al 71,1% con un incremento di 3,5 punti. Aumenti quindi di intensità simile e, in entrambi i sessi, la classe di età che ha registrato la crescita più elevata in termini assoluti è quella tra 25 e 34 anni, con 6,2 punti in più tra i maschi e 7,2 tra le donne. Se tra i primi è però la fascia tra 55 e 64 anni a presentare il secondo aumento assoluto del tasso di occupazione (6,1 punti) tra le donne è quella tra 45 e 54 anni (5,9 punti).

La crescita dell’occupazione ha quindi riguardato tutte le componenti del mercato del lavoro, interessando con intensità non troppo distanti i maschi e le femmine e le diverse classi di età. L’aumento della quota di lavoratori sulla popolazione si è, per altro, verificata anche in altri paesi europei3 e, sicuramente, a questo andamento hanno contribuito le ingenti risorse messe in campo in questi anni dall’Unione europea. 

Nel nostro paese, questo tendenziale e complessivo incremento dell’occupazione ha riguardato sia gli italiani che gli stranieri e ha interessato praticamente tutti i settori economici (Tab. 2). Tra 2018 e 2024 i cittadini italiani occupati sono infatti aumentati di 797 mila unità e gli stranieri di 175 mila4, con un incremento nel primo caso del 3,9% e del 7,5% nel secondo. L’unico settore in cui si è avuta una diminuzione degli occupati è l’agricoltura, dove il calo di 56 mila unità tra gli italiani è stato solo parzialmente bilanciato dal parallelo aumento di 16 mila unità tra gli stranieri. Il settore che registra l’incremento relativo più elevato sia tra gli italiani che tra gli stranieri sono le costruzioni, con un aumento del 15,8% nel primo caso e del 19,3 nel secondo. Una crescita avvenuta anche «grazie all’aumento degli investimenti pubblici, tra cui quelli finanziati dal PNRR»5. Per gli italiani la crescita relativa negli altri settori è più contenuta e varia tra il 4,2% delle altre attività dei servizi e il 2,6% dell’industria. Tra i cittadini stranieri i valori sono più elevati, con percentuali di crescita dell’occupazione del 16,1% nell’industria, del 10,8% nell’agricoltura, dell’8,4% nel commercio, alberghi e ristorazione e un minimo dello 0,7% nelle altre attività dei servizi.  

Anche sotto altri aspetti l’aumento dell’occupazione di questi anni ha assunto un carattere generale e plurale (Tab. 3). Ad esempio, sia tra i maschi che tra le femmine l’aumento è stato percentualmente più rilevante nel Mezzogiorno che nelle altre ripartizioni del paese. Tra i lavoratori dipendenti è cresciuta l’occupazione a tempo indeterminato (+10,5 tra i maschi e +8,2 tra le femmine), mentre è diminuita quella a termine (rispettivamente -12,5 e -2,6%) con un calo concentrato soprattutto tra il 2022 e il 2024. Sono inoltre aumentati gli occupati a tempo pieno (+4,7 e +8,8%) e si sono ridotti quelli a orario parziale (-7,8 e -2,7%).  

Un cammino ancora lungo

Come si è visto l’aumento dell’occupazione è stato generale e ha interessato, a volte anche in maniera particolarmente sostenuta, anche alcuni settori della nostra società che strutturalmente e tradizionalmente sono caratterizzati da una minore capacità di inserirsi positivamente nel mercato del lavoro. I giovani, le donne e il Mezzogiorno non sono infatti rimasti esclusi dalla tendenza positiva ma, al contrario, hanno visto crescere anche loro i tassi di occupazione e il numero di lavoratori. In un quadro segnato inoltre da un aumento complessivo dei dipendenti con contratti a tempo indeterminato e degli occupati a tempo pieno. 

Siamo in presenza di una tendenza positiva, di cui andrebbero comprese e analizzate a fondo le ragioni per cercare di rafforzare una dinamica che sta intervenendo su alcuni ritardi strutturali dell’Italia rispetto ad altri paesi europei. Una strada ancora lunga da percorrere come mostra il posizionamento del nostro paese nella graduatoria dei tassi di occupazione (Fig. 2). Tra i maschi il Nord Italia (76,6%) presenta un valore superiore alla media dell’Ue a 27 (75,4%) ma rimane a quasi 12 punti percentuali di distanza dal massimo dell’Islanda (88,1%). Il Centro (74,3%) è poco al di sotto della media europea, mentre il Mezzogiorno con un tasso di occupazione del 61,5% ne resta a grande distanza e porta il complesso del paese negli ultimi posti della graduatoria.

Tra le donne tutte e tre le ripartizioni presentano valori inferiori alla media dell’Ue (66,2%). A minore distanza si colloca il massimo del 62,6 del Nord Italia, seguito dal 59,3 del Centro e, con ampio distacco, dal minimo del 37,2% del Mezzogiorno. Un valore, quest’ultimo, distante 29 punti percentuali dal valore della Ue e addirittura 45 dal massimo dell’Islanda (82,3%). 

Un ritardo ancora più netto si presenta considerando la situazione dei giovani (Fig. 3). Tra i 15 e i 24 anni, sia tra i maschi che tra le femmine, tutte le ripartizioni presentano infatti livelli occupazionali largamente inferiori alle medie europee. La distanza maggiore anche in questo caso si registra nel Mezzogiorno. Dove il tasso maschile (17,4%) è meno della metà di quello dell’Ue (37,1%) e poco più di un quinto del valore massimo dell’Olanda (75,9%). Tra le donne le differenze sono ancora maggiori: il 9,3% del Mezzogiorno è infatti meno di un terzo del tasso europeo (32,7%) e solo poco di più di decimo del massimo registrato sempre in Olanda (76,2%). La congiuntura favorevole di questi ultimi anni ha sicuramente contribuito a ridurre alcuni dei nostri storici ritardi che sono però tutt’altro che scomparsi. Il Mezzogiorno, le donne e i giovani rimangono delle aree critiche che il declino demografico renderà sempre più determinanti nel delineare il futuro della nostra società. Anche perché molte delle cause dei bassi livelli di partecipazione alle attività produttive contribuiscono a mantenere i livelli riproduttivi dei giovani italiani molto al di sotto di quelli dei loro coetanei europei, a iniziare dalla penalizzazione che subiscono le donne con figli e su cui esiste ormai un’ampia evidenza empirica6

Note

 1Fanno eccezione le tre classi di donne tra 45 e 74 anni di età, in cui però il calo apparirebbe se invece del 2018 si fosse considerato il 2019 i cui valori sono superiori a quelli del 2020.

 2Unica eccezione le donne tra 15 e 24 anni, in cui si registra una leggera diminuzione.

3Cfr. Istat, Rapporto annuale 2025. La situazione del paese, p. 29.

 4I dati in questo caso si riferiscono alla popolazione tra 15 e 89 anni.

5Banca d’Italia, Relazione annuale. Roma, 30 maggio 2025, p. 106.

 6A. Brandolini, “Scarsità di lavoro: un’analisi della Banca d’Italia”, Neodemos, 10 Giugno 2025.

Fonti tabelle e figure

Fonte tab 1, 2 e 3 e figura 1 – esploradati.istat.it 

Fonte figura 2 e 3  ec.europa.eu

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