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Cittadinanza per discendenza cambiano le regole

Nel Consiglio dei Ministri dello scorso 28 marzo sono stati approvati un decreto legge e due disegni di legge con cui il Governo è intervenuto sulle modalità di concessione della cittadinanza ai discendenti degli emigrati italiani. Viene così cambiata una normativa che si basava sui criteri stabiliti nel 1912 in un contesto migratorio completamente diverso da quello attuale e che presentava ormai vistosi limiti.

Il contesto

La legge sulla cittadinanza del 1992, riprendendo i criteri della norma del 1912, non poneva vincoli di generazione alla naturalizzazione per ius sanguinis e non prevedeva test di lingua o di conoscenza della cultura nazionale. Il diritto alla naturalizzazione veniva così a riguardare anche la sesta o la settima generazione di discendenti dei nostri emigranti. Un diritto senza limiti temporali, esigibile on demand e che, con il passare delle generazioni, ha inevitabilmente interessato una platea sempre più numerosa che, specie in alcuni paesi, ha ampiamente sfruttato in questi anni tale opportunità1. Secondo una stima del Sole 24 Ore nel 2023 le concessioni per discendenza dovrebbero essere state almeno 190 mila2, una cifra quasi 20 volte superiore alle circa 10 mila iscrizioni per acquisizione di cittadinanza che risultano per lo stesso anno dagli archivi dell’Aire secondo le stime della Fondazione Migrantes3. Una situazione fuori controllo, che ha sollevato la preoccupazione di diversi osservatori e, in particolare, del Ministero degli Esteri e che ha determinato in alcuni paesi, come vedremo più avanti, uno scarto rilevantissimo tra il numero effettivo di “emigrati” italiani e quello dei “cittadini” italiani residenti. 

Il meccanismo di trasmissione automatica, senza verifiche della persistenza di legami di altro tipo, e i problemi economici e sociali di diversi paesi dell’America Latina hanno contribuito a determinare questa situazione. Come è stato evidenziato per il caso uruguayano, «chi sceglie di iniziare la pratica di cittadinanza lo fa perché intenzionato a lasciare aperta la possibilità a se stesso o ai propri figli di emigrare in Europa o negli Stati Uniti»4, ma, come viene notato nello stesso articolo, nel nostro continente non è certo l’Italia la principale destinazione di un’emigrazione che, per affinità linguistiche e politiche sociali, preferisce di gran lunga la Spagna. Uno stato di cose comune agli altri paesi dell’America meridionale che hanno attratto nei secoli scorsi la nostra emigrazione: grazie allo spazio offerto dalla legislazione italiana si è infatti avviata una vera e propria «caccia alla cittadinanza o, come viene detto dagli argentini di origine italiana, alla ricerca del “passaporto italiano”»5.

La nuova normativa

Il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri6 ed entrato in vigore il 29 marzo introduce forti limitazioni alla trasmissione automatica della cittadinanza iure sanguinis, che viene circoscritta alle ultime due generazioni con la condizione che uno dei genitori o dei nonni sia nato in Italia. Resta automatica per i figli di italiani nati in Italia o se prima della loro nascita un genitore vi ha risieduto almeno due anni. Per non creare apolidi, i nuovi limiti valgono solo per chi ha un’altra cittadinanza. 

L’obiettivo del provvedimento è di conciliare le esigenze di mantenere i legami con l’Italia e di incoraggiare il trasferimento nel nostro paese dei discendenti degli emigrati, assicurando al contempo l’allineamento della normativa a quella degli altri paesi dell’Unione, anche per rimuovere possibili fattori di distorsione nel funzionamento della libera circolazione. Non mancano preoccupazioni per la sicurezza nazionale, dato che la mancanza di legami reali «con la Repubblica in capo a un crescente numero di cittadini, che potrebbe raggiungere una consistenza pari o superiore alla popolazione residente nel territorio nazionale, costituisce un fattore di rischio serio ed attuale»7

Nei due disegni di legge approvati viene delineato il quadro di riferimento complessivo della materia e la revisione dei servizi forniti all’estero ai cittadini e alle imprese8. Viene così introdotto nella normativa il principio del “legame effettivo” e posto il requisito di una “residenza qualificata” pari ad almeno due anni continuativi. Si stabilisce, inoltre, che per ottenere la naturalizzazione l’atto di nascita deve essere registrato prima del venticinquesimo compleanno e si introduce il principio della perdita di cittadinanza per “desuetudine” nel caso in cui manchino vincoli con il paese per almeno 25 anni. 

I numeri recenti

Alcune cifre provenienti da due fonti distinte, una italiana e l’altra internazionale, consentono di tracciare un quadro di sfondo all’interno del quale si collocano le nuove disposizioni. L’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) contabilizza lo stock dei nostri connazionali che vivono stabilmente al di fuori dei confini nazionali. Da alcuni anni le statistiche diffuse dalla Fondazione Migrantes nel Rapporto italiani nel Mondo contengono anche le informazioni sui flussi annui che determinano la variazione degli stock da un anno all’altro. Ad inizio 2024 gli iscritti all’AIRE sono più di 6,1 milioni. Le stime delle Nazioni Unite9 (UN – United Nations) riguardano invece i migranti internazionali che generalmente sono conteggiati considerando i residenti in paesi diversi da quelli di nascita. Le valutazioni più recenti, che si riferiscono a metà del 2024, stimano in 304 milioni i migranti internazionali nel Mondo, di cui poco più di 2,9 milioni sono gli italiani (cioè i nati in Italia). 

Naturalmente, si tratta di due fonti distinte che colgono collettivi differenti. Appare però chiaro che alla data più recente gli emigrati italiani sono meno della metà (il 48% per l’esattezza) dei cittadini italiani residenti all’estero. D’altronde era già noto come tra questi ultimi i nati in Italia sono meno di 2 milioni (meno di un terzo). Il divario tra le due fonti si è via via accresciuto nel corso degli ultimi vent’anni visto che gli emigrati italiani, secondo i dati delle Nazioni Unite, sono cresciuti dal 2010 di circa 200 mila unità mentre i cittadini italiani iscritti all’AIRE sono praticamente raddoppiati (Fig. 1).

Le due fonti forniscono una differente distribuzione della comunità italiana all’estero: gli iscritti all’AIRE sono nel 54% dei casi in un paese europeo e nel 33% in un paese latinoamericano; le stime degli emigrati italiani collocano in Europa oltre i due terzi del collettivo e nel Nord America un altro 18,5% (Tab. 1). Evidente è la discrepanza tra i dati delle due fonti nel caso dei paesi dell’America Latina, dove i cittadini italiani sono oltre 2 milioni e gli immigrati italiani meno di 200 mila, cioè neanche il 10% delle persone con passaporto del nostro paese. Particolarmente ampia è la differenza in Argentina e in Brasile, i due principali paesi di destinazione della grande emigrazione transoceanica di fine Ottocento e inizio Novecento, ma anche in Cile e Uruguay, che hanno comunque un numero di cittadini italiani iscritti all’AIRE notevolmente minore rispetto ai primi due paesi. 

Il confronto di queste due fonti consente quindi di notare la crescita straordinaria nell’ultimo ventennio dei cittadini italiani residenti all’estero e lo scarso collegamento di questa dinamica con la recente emigrazione italiana. Una parte importante della crescita dei cittadini italiani residenti all’estero è legata all’accesso al passaporto del nostro paese da parte di discendenti di terza, quarta e seguenti generazioni di italiani emigrati anche più di un secolo fa. Caso questo abbastanza frequente tra quelli che vivono nei paesi dell’America latina.

In conclusione 

Nel complesso il Decreto legge e i due Disegni di legge dovrebbero riuscire a mettere un freno a un meccanismo che, come si è cercato di mostrare, ha prodotto alcune situazioni decisamente fuori controllo. Il rischio, paventato nel decreto, che i residenti all’estero possano addirittura diventare più numerosi degli abitanti del paese appare alquanto remoto, ma non c’è dubbio che in America Latina si è oltrepassata da tempo la soglia di guardia. Basti considerare come il rapporto tra emigrati e cittadini nel complesso di questi paesi sia appena del 9,6% contro il 60% che si registra in Europa, il 92,7% in Oceania e il 117% nell’America del Nord. 

Non mancheranno sicuramente resistenze per conservare nel nostro ordinamento un canale di naturalizzazione che più di un secolo fa venne adottato per difendere il legame con gli emigranti, messo in discussione dallo ius soli dei paesi d’arrivo. Il partito del “passaporto facile” si è in questi anni radicato attorno a tangibili interessi economici, come lascia intuire il fatto che nel tribunale di Venezia «alla data del 30.03.2025 i procedimenti in materia di riconoscimento della cittadinanza iscritti a partire dal 22 giugno 2022 ammontavano a 36.299»

Sarebbe infine auspicabile che il principio del legame effettivo con l’Italia, che ha condotto alla revisione in senso restrittivo dell’accesso alla cittadinanza per discendenza, trovi applicazione in altre parti della legge, consentendo di ridurre le condizioni temporali richieste per quanti, pur non essendo di origine italiana, hanno un evidente e consolidato rapporto con il nostro paese essendo nati e/o vivendo e lavorando stabilmente sul territorio nazionale.

Note

1C. Bonifazi, “Italiani all’estero, una realtà complessa”, Neodemos, 5 novembre 2024.

2M. Finizio, V. Maglione e B. L. Mazzei, “Nuovi cittadini italiani, nel 2023 per 190mila via libera per discendenza”, Sole 24 Ore, 28 ottobre 2024.

3Cfr. D. Licata, “Italiani e italiane all’estero nel 2024: una presenza in crescita, articolata ed eterogena”, in Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel Mondo 2024, Editrice Tau, Todi, 2024, p. 12.

4G. Ampollini ed E. Bravin, “Uruguay. Analisi dell’eredità migratoria italiana e risvolti attuali”, in Fondazione Migrantes, op. cit., p. 519.

5M. Basti, “Argentina. Dalla cittadinanza come “optional” alla “corsa al passaporto””, in Fondazione Migrantes, op. cit., p. 292.

6Cittadinanza per discendenza, giro di vite dal governo e Decreto-Legge 28 marzo 2025, n. 36. Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza.

 7Cfr. Decreto-Legge, cit..

8 Disposizioni in materia di cittadinanza e Disposizioni per la revisione dei servizi per i cittadini e le imprese all’estero.

9United Nations (2025), International migration stock 2024.

10Di questi quelli definiti erano 7.254 e 29.045 quelli pendenti. 

11S. Laganà, “Contributo in ordine alla conversione in legge del decreto-legge n. 36 del 2025”, Audizione alla Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica.

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