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Uno shock non basta. La Grande Recessione e le disuguaglianze di genere nel lavoro familiare

La Grande Recessione ha colpito più duramente l’occupazione maschile di quella femminile, anche nel nostro Paese. Se le donne consolidano le proprie posizioni lavorative e gli uomini sperimentano la possibilità di perdere il lavoro, ci si attende qualche ripercussione nell’organizzazione della vita quotidiana delle famiglie. La Grande Recessione potrebbe aver dato una spinta verso una maggiore condivisione del lavoro domestico e di cura tra i partner, facendo di necessità virtù? Annalisa Donno e Maria Letizia Tanturri ci aiutano a capire che cosa è avvenuto. 

Uno shock per completare la rivoluzione di genere?

La “Rivoluzione di Genere”, iniziata negli anni ‘60 del Novecento, con il graduale aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, ha oberato le donne con il “doppio peso” della gestione della vita lavorativa e familiare. I partner delle donne lavoratrici, infatti, si sono rivelati poco propensi a condividere i compiti domestici e ad adattarsi a nuovi ruoli nella gestione delle attività familiari. I passi da gigante compiuti nel nostro Paese dalle donne nel campo dell’istruzione e della partecipazione lavorativa, non sono stati accompagnati da un parallelo cambiamento dei comportamenti tra le mura domestiche, dove le attività che ci si aspetta che siano svolte da un uomo o da una donna sono ancora molto differenziate. Possiamo dire quindi che la Rivoluzione di Genere resta compiuta a metà (Esping-Andersen & Billari 2015; Goldscheider et al. 2015).

Il cambiamento delle condizioni strutturali nel mercato del lavoro, imposto dalla Grande Recessione che ha interessato il nostro Paese dal 2008, potrebbe accelerarne il compimento. La crisi, infatti, ha colpito più duramente gli uomini delle donne, tanto da essere definita una “Mansession”. La sovra-rappresentazione degli uomini nei settori maggiormente colpiti dalla crisi – l’edilizia e l’industria manifatturiera – ha portato anche in Italia a un aumento repentino nei livelli di disoccupazione maschile, lasciando sostanzialmente stabili quelli femminili (Addabbo et al. 2015). Le donne, infatti, trovano impiego nei settori meno esposti alle fluttuazioni cicliche dell’economia, come i servizi alla persona, l’istruzione e la sanità. 

Una rilevante conseguenza della Grande Recessione è l’aumento delle famiglie female breadwinner, in cui è la donna principalmente ad occuparsi del sostentamento economico della famiglia. Ciò potrebbe accelerare la crisi del modello tradizionale in cui è solo l’uomo che porta a casa lo stipendio (male breadwinner), mentre alla donna sono affidati tradizionalmente i compiti di cura e di lavoro casalingo.

Gli uomini che la crisi ha escluso dal mercato del lavoro potrebbero dunque dedicare più tempo al lavoro familiare, contribuendo così a diffondere atteggiamenti e modelli più egalitari anche tra le coppie non colpite dalla crisi. La Grande Recessione, dunque, potrebbe aver forzato il lentissimo processo di convergenza verso la parità di genere nel lavoro non retribuito che era già in atto, accelerandone i tempi.

Con i dati provenienti dall’indagine Multiscopo ISTAT sull’Uso del Tempo condotta nel 2008-09 – durante le prime fasi della recessione economica – e nel 2013-14 – quando l’effetto della recessione in Italia era più evidente – abbiamo analizzato i cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro, dovuti alla crisi, e le conseguenze che questi hanno avuto sulla divisione del lavoro non retribuito delle coppie italiane (con almeno un figlio di età 0-14).

Tipologie di coppie meno tradizionali emergono durante la Grande Recessione 

La composizione delle coppie in base al livello di partecipazione al mercato del lavoro dei partner muta per effetto della Grande Recessione. Si può osservare un aumento sensibile della quota di coppie con figli in cui almeno uno dei componenti non è occupato: raddoppiano infatti  le coppie in cui l’uomo lavora e la donna è disoccupata, triplicano le coppie di tipo female breadwinner, e aumenta di quattro volte la percentuale di coppie in cui entrambi i partner sono disoccupati (Figura 1). 

La tipologia di coppia prevalente resta quella a doppio reddito, che mostra solo un lievissimo decremento, mentre si osserva una decisa diminuzione (-10%) nella proporzione delle coppie più tradizionali in cui l’uomo lavora e la donna è casalinga, che contano per poco più di un quarto del campione nel 2013, mentre erano più di un terzo nel 2008.

Come cambia la divisione del lavoro non retribuito nelle coppie durante la Grande Recessione? 

Concentriamoci ora sul lavoro familiare (misurato in minuti dedicati al lavoro domestico, di cura di bambini, adulti e anziani) (Figura 2). Di fatto tre quarti del tempo totale che una coppia impiega nel lavoro domestico e di cura è tempo delle donne; tale quota scende solo lievemente dal 2008 al 2013 (73%), perché in media gli uomini hanno dedicato 11 minuti in più alle attività domestiche e di cura, mentre le donne 13 in meno. Il carico di lavoro, però, continua a gravare principalmente sulle spalle delle donne, che occupano circa 6 ore della loro giornata con il lavoro domestico e di cura, contro le due 2,5 ore degli uomini.

Come i  partner si dividono i compiti domestici nelle diverse tipologie di coppia?

I dati medi rivelano la persistenza di un forte squilibrio di genere, ma tale asimmetria si riscontra in tutte le tipologie di coppia, anche in quelle meno tradizionali? 

Nelle condizioni più “simmetriche” in termini di partecipazione al mercato del lavoro, cioè nelle coppie in cui entrambi lavorano a tempo pieno o in cui nessuno dei due lavora, non si osserva una altrettanto simmetrica divisione del lavoro non retribuito: la donna svolge comunque circa il triplo delle attività domestiche e di cura rispetto all’uomo (Fig. 3). Nelle coppie in cui sono entrambi disoccupati la quantità di tempo dedicata a tali attività è ovviamente maggiore rispetto alle coppie di lavoratori, per una maggiore disponibilità di tempo, ma la proporzione del lavoro svolto dalla donna è molto simile alle coppie formate da due lavoratori full-time. 

Le coppie in cui l’uomo lavora a tempo pieno e la donna è disoccupata o casalinga mostrano una ancora più evidente specializzazione dei ruoli di genere, secondo un orientamento improntato alla tradizione: i compiti domestici e di cura sono svolti quasi totalmente dalle donne (88%). 

Nella situazione opposta in cui invece le donne lavorano e sono in coppia con uomini disoccupati, si registra il maggior grado di simmetria nella divisione del lavoro familiare: entrambi i partner dedicano pressoché la stessa quantità di tempo al lavoro non retribuito (52%) (Fig. 3). Questa situazione, che in termini assoluti pare la più egualitaria, mostra in realtà come ciascun partner continui ad agire anche nel nuovo contesto secondo ruoli di genere interiorizzati. Se il tempo dedicato al lavoro domestico dipendesse solo dalla disponibilità di tempo o dalla posizione di forza relativa dei partner, la maggior parte del lavoro non retribuito in questa tipologia di coppia dovrebbe essere svolta dall’uomo, così come nel caso speculare in cui l’uomo lavora e la partner è disoccupata.

E invece le donne che lavorano e sono in coppia con uomini disoccupati dedicano al lavoro domestico e di cura addirittura un’ora in più delle donne in una coppia a doppio reddito. Gli uomini, pur dedicando più tempo alle attività domestiche, restano ben lontani dai livelli delle donne che non lavorano e sono in coppia con uomini occupati (Fig. 3)!

In un contesto tradizionale come quello italiano, gli uomini che non partecipano al mercato del lavoro dunque aumentano solo di poco il tempo dedicato al lavoro non retribuito. Potrebbe essere un tentativo di riaffermare la loro “mascolinità” di fronte al  ”fallimento” in ambito lavorativo che rientra nella sfera di competenza maschile, secondo il modello di genere tradizionale. Al contrario, le donne che partecipano più dei loro partner al lavoro retribuito continuano a dedicare una grande quantità di tempo alle attività domestiche e di cura, come a rassicurare riguardo alla loro “femminilità” nell’adempimento dei compiti che sono loro tradizionalmente attribuiti e probabilmente accettati come propri. A questo si aggiunge anche il possibile effetto di gatekeeping, per cui le donne escludono gli uomini da certe mansioni per mantenere la posizione di esclusivo “nume tutelare” della famiglia.

Questi risultati sono confermati altresì dalle stime di un modello statistico: controllando per una serie di caratteristiche dei partner, stimiamo che, rispetto alla famiglia a doppio reddito, in quella formata da un disoccupato e una occupata, lui aumenta di quasi due ore il tempo dedicato alla famiglia, ma lei non riduce il suo impegno. 

Qualcosa è cambiato a seguito della Grande Recessione?

Nel periodo tra il 2008 e il 2013, la piccola riduzione del carico di lavoro non retribuito sulle donne che si osserva è dovuto in parte ad effetti di composizione (raddoppia la quota di famiglie female breadwinner, relativamente più paritaria nella gestione del lavoro familiare) e in parte al cambiamento delle coppie convenzionali (a doppio reddito o a un reddito e mezzo o quelle male breadwinner), che negli anni vedono aumentare leggermente la simmetria nella gestione del lavoro.

Nel nostro Paese, lo shock della crisi non è bastato ad innescare la seconda parte della rivoluzione di genere, accelerando il passo verso la piena condivisone del lavoro familiare.  I cambiamenti strutturali del mercato che pure hanno favorito le donne non sono stati sufficienti a scalzare le forti resistenze culturali al cambiamento in ambito domestico, frutto di antichi retaggi duri a morire. Il cambiamento osservato nelle coppie non toccate dalla crisi si muove ancora con troppa lentezza verso i modelli di condivisione.

Se anche uno shock (favorevole all’occupazione femminile) non basta ad accelerare il cambiamento, sarebbe opportuno affiancare alle politiche di conciliazione dei tempi di vita, azioni (anche educative) mirate a promuovere la cultura della piena condivisione delle responsabilità genitoriali e familiari, che aiutino a superare gli stereotipi di genere. Tali azioni sono ancora più necessarie oggi per arginare gli effetti di una crisi post-pandemica che ha avuto invece conseguenze particolarmente negative proprio sulla partecipazione lavorativa femminile e che quindi potrebbe aver addirittura esacerbato le asimmetrie di genere nel lavoro familiare. I dati della nuova indagine sull’Uso del Tempo del 2022-23 potranno offrirci ulteriori spunti di riflessione in tal senso.

Per saperne di più

Esping-Andersen, G. & Billari, F. C. (2015). Re-Theorizing Family Demographics. Population and Development Review, 41(1): 1-31.

Goldscheider, F., Bernhardt, E., & Lappegard, T. (2015). The Gender Revolution: A Framework for Understanding Chan-ging Family and Demographic Behavior. Population and Development Review, 41(2): 207-239.

Addabbo, T., Rodríguez -Modroño, P., & Gálvez, L. (2015). Gender differences in labor force participation rates in Spain and Italy under the great recession. Revista de Economia Mundial, 41, 21– 42.

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