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Figli? No, grazie. Troppo lavoro in casa.

Quanto il carico domestico delle donne in coppia influenza le loro intenzioni di avere un(altro/a) figlio(a)? García-Pereiro, Mencarini, Patimo e Tanturri analizzano i dati dell’Indagine Famiglie, Soggetti Sociali e Ciclo di Vita ISTAT del 2016 e mostrano come un carico molto sbilanciato a sfavore delle donne diminuisca le intenzioni di far crescere la famiglia solo per le donne senza figli. Tuttavia, per le donne con figli occorrono dati più dettagliati, che permettano di tenere conto anche della divisione del carico di cura dei figli tra i genitori.

Una maggiore eguaglianza di genere può far crescere la fecondità?  

Negli ultimi anni la relazione tra comportamento fecondo ed eguaglianza di genere nella società – ad esempio nel mercato del lavoro – e nella vita di coppia – in particolare nella divisione dei compiti domestici e di cura – è stata posta al centro delle spiegazioni della bassa fecondità (ad esempio, Neyer et al. 2013, Goldsheider et al. 2015, Esping-Andersen e Billari 2015, Mencarini 2018). L’idea generale è che, con l’entrata delle donne nel mercato lavoro, il “doppio-carico” di lavoro femminile dentro e fuori la famiglia sia un deterrente a fare figli e solo le società che hanno avuto una spinta verso l’eguaglianza di genere – e sono quindi riuscite a ridurre il carico di solito sfavorevole per le donne – abbiano evitato il collasso della fecondità. Altri autori (McDonald 2013) hanno anche sottolineato come questa relazione sia complicata dalla percezione individuale del senso di equità di genere (cioè di ciò che è considerato appropriato e giusto secondo l’appartenenza di genere), e come solitamente una maggiore effettiva eguaglianza di genere sia preceduta da un cambiamento della mentalità verso una maggiore equità di genere. Con il raggiungimento della parità nei livelli di istruzione tra uomini e donne, quest’ultime si aspettano una maggiore eguaglianza di genere anche nel mercato del lavoro e dentro la famiglia, e se per varie condizioni (ad esempio un mercato del lavoro dove il gap di genere persiste, o vi sono poche possibilità di conciliare il lavoro con la famiglia per la mancanza di misure politiche adeguate e per la scarsa disponibilità di servizi di cura, o una resistenza degli uomini a cambiare il proprio comportamento nella partecipazione dei compiti domestici e di cura) rimangono intrappolate dentro e fuori la famiglia in condizioni di diseguaglianza, riducono inevitabilmente il numero di figli.Quindi è proprio l’incoerenza tra gli ideali di parità di genere (il senso di equità)  e l’effettiva eguaglianza di genere a pesare di più a scapito della fecondità.

In questo campo l’Italia costituisce un caso di studio molto interessante, dove una bassissima fecondità (da quarant’anni sotto la soglia di 1,5 figli per donna e ormai da diversi anni anche sotto la soglia di 1,3) si accompagna ad una scarsa eguaglianza di genere dentro e fuori la famiglia: da una parte,  all’interno delle coppie permane una divisione altamente ineguale del lavoro non retribuito, e il carico di lavoro risulta particolarmente alto perché le donne italiane tendono addirittura a dedicare più tempo ai lavori domestici che in altri paesi, per alti standard di pulizia e di preparazione dei pasti (Paihlé et al. 2019, Mencarini et al. 2017), dall’altra, perché le istituzioni e le politiche per conciliare lavoro e genitorialità sono limitate e poco flessibili.

Un carico domestico più accentuato scoraggia le donne a voler un figlio

L’analisi dei dati dell’Indagine Famiglie, Soggetti Sociali e Ciclo di Vita (FSS) condotta nel 2016 dall’ISTAT consente di verificare (solo in parte, data la mancanza di dati sulla cura) la relazione tra eguaglianza di genere e fecondità. Dai dati disponibili possiamo analizzare come il carico domestico influisca sulle intenzioni di fecondità positive entro i tre anni successivi all’indagine delle donne in coppia, con o senza figli, di età compresa tra 20 e 45 anni. Per misurare l’eguaglianza di genere all’interno della coppia è stato costruito un indicatore composito che misura il carico domestico sostenuto dalle donne sulla base del punteggio attribuito a cinque attività della vita quotidiana (fare la spesa, cucinare, fare le pulizie, fare il bucato e stirare). Questo indicatore varia tra 0 – nessun carico domestico – e 1 – tutto il carico sostenuto dalla donna) ed è la principale variabile indipendente di modelli multivariati di analisi. Curiosamente (ma in linea con dati già trovati in passato per l’Italia nella precedente indagine FFS ISTAT del 2003) le donne riportano un carico medio di 0,85, cioè in media sostengono l’85% del carico domestico, mentre gli uomini dichiarano per le donne un carico più basso e pari al 63%.1

Nei modelli di analisi di regressione sono state incluse anche diverse caratteristiche individuali e non, riconosciute dalla letteratura come importanti determinanti delle intenzioni di fecondità: ad esempio l’età dell’intervistato, la combinazione del livello di istruzione dei partner, il numero di ore dedicate dall’intervistato/a e dal(la) partner al lavoro retribuito, la macroarea geografica di residenza, e le condizioni economiche soggettive della famiglia. Inoltre sono stati utilizzati anche tre indicatori per quantificare il senso di equità di genere attraverso la misura dell’accordo degli intervistati con alcune affermazioni stereotipiche sul sistema di genere: “se i genitori hanno bisogno di assistenza, è più naturale per le figlie che per i figli prendersi cura di loro”; “la donna è realizzata solo quando ha un figlio”, “l’uomo è realizzato solo quando ha un figlio”.

Dall’analisi del modello statistico utilizzato, dove l’indicatore di carico domestico è stato considerato “al netto” delle variabili sopraddette, si evince che effettivamente il carico domestico delle donne gioca in generale un ruolo statisticamente significativo e determinante nelle loro intenzioni di fecondità: un aumento del carico domestico femminile comporta una riduzione della probabilità di voler avere un figlio. Dalla figura 1, dove è riportata l’intenzione di avere un(altro) figlio secondo il numero di figli già avuti, si vede tuttavia non solo che le intenzioni di voler avere un figlio diminuiscono all’aumentare dei figli già avuti, ma anche che le cambiano secondo il livello di carico domestico solo per le donne senza figli, che appunto hanno significativamente minori probabilità di voler avere un figlio quanto più alto è il loro carico di lavoro domestico.

Meno voglia di avere un(altro) figlio(a), ma non per tutte le madri…

Per le donne che hanno già avuto un figlio, tuttavia, la probabilità di voler avere un altro figlio non è significativamente diversa secondo il carico domestico. Questo risultato, che le donne già madri di un figlio continuino ad avere intenzioni di averne un altro anche quando supportano un pesante carico domestico all’interno della famiglia suggerisce meccanismi di selezione delle donne più propense ad essere prolifiche che probabilmente sono anche quelle più tradizionali e invita ad ulteriori analisi, soprattutto tenendo conto del carico complessivo del lavoro non retribuito dei genitori che include anche il lavoro di cura, anche questo di solito sbilanciato a favore delle donne. Tuttavia, con questi dati che tengono conto solo del carico domestico, se si distinguono le madri in base al sesso del primo figlio (Figura 2), si ottiene un risultato inaspettato: le intenzioni positive di fecondità delle donne il cui primo figlio è un maschio rimangono stabili indipendentemente dal carico domestico supportato, mentre quelle delle donne la cui prima figlia è una femmina aumentano all’aumentare del carico, quasi che la divisione dei ruoli più tradizionale si accompagni alla preferenza per un figlio maschio. 

Il carico domestico è un deterrente a metter su famiglia 

I risultati ottenuti sulla relazione tra carico domestico femminile e intenzioni di fecondità delle donne italiane sembrano essere in bilico tra modernità e tradizione e senz’altro – data la limitatezza delle variabili presenti nell’indagine – richiederebbero ulteriori approfondimenti e dati più dettagliati sul complesso del sistema di genere dentro le coppie e, per chi è già genitore, almeno sul carico di genere della cura dei figli già nati.  

Da una parte, infatti, le donne già con figli che vogliono averne ancora sembrano selezionate per tradizionalismo, tanto da essere disposte ad avere un figlio in più anche in presenza di un carico domestico maggiore solo se hanno una primogenita, verosimilmente nella ricerca di un figlio maschio. Dall’altra parte, il risultato sul fatto che nelle coppie senza figli il carico domestico sbilanciato porti ad intenzioni più basse di fecondità per le donne è un risultato nuovo e interessante, che non era emerso in un precedente studio che con i dati di una precedente indagine FSS dell’ISTAT raccolti nel 2003 (Mills et. 2008), e che indicherebbe che proprio le donne più giovani e senza figli sono diventate più sensibili all’eguaglianza di genere nelle loro scelte riproduttive, anche relative al primo figlio. Promuovere un’equa divisione del lavoro domestico nelle coppie diventa oggi sempre più importante, per sostenere la bassa fecondità italiana: non dimentichiamoci infatti che per avere un secondo figlio, bisogna comunque aver avuto il primo.

Note

1Tuttavia gli intervistati sono uomini e donne che non appartengono alle stesse coppie, quindi i dati sul carico femminile risultanti dalle dichiarazioni di uomini e donne non sono strettamente confrontabili.

Per saperne di più

Esping-Andersen, G. & Billari, F. C. (2015). Re-Theorizing Family Demographics. Population and Development Review, 41(1): 1-31.

Goldscheider, F., Bernhardt, E., & Lappegard, T. (2015). The Gender Revolution: A Framework for Understanding Chan-ging Family and Demographic Behavior. Population and Development Review, 41(2): 207-239.

McDonald, P. (2013). Societal Foundations for Explaining Fertility: Gender Equity. Demographic Research, 28(34): 981-994.

Mencarini L. (2018) Does Gender Equality Affect Fertility Decisions in Europe?, In: A.H. Gauthier, I.E. Kotowska and D. Vono de Vilhena (eds.), Gender (In)Equality over the Life Course. Evidence from the Generations & Gender Programme, Population Europe Discussion Papers Series n. 10.

Mencarini, L., Pailhé, A., Solaz, A. and Tanturri M.L. (2017). The time benefits of young adult home stayers in France and Italy: a new perspective on the transition to adulthood?. Genus 73, 6. https://doi.org/10.1186/s41118-017-0021-7

Mills M., Mencarini L., Tanturri M.L. e Begall K. (2008), Gender equity and fertility intentions in Italy and the Netherlands, Demographic Research, 18, 1, http://www.demographic-research.org/Volumes/Vol18/1/, ISSN: 1435-9871, DOI: 10.4054/DemRes.2008.18.1.

Neyer, G., Lappegård, T. & Vignoli, D. (2013). Gender Equality and Fertility: Which Equality Matters?. Eur J Population 29, 245–272 https://doi.org/10.1007/s10680-013-9292-7

Pailhé, A., Solaz, A. & Tanturri, M.L. The Time Cost of Raising Children in Different Fertility Contexts: Evidence from France and Italy. Eur J Population 35, 223–261 (2019). https://doi.org/10.1007/s10680-018-9470-8

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