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Possiamo fare a meno degli stranieri?

Tra il 2007 e il 2019 la crescita dell’occupazione in alcune delle regioni italiane più sviluppate è stata trainata dalla componente straniera, a fronte di un contributo negativo dei nativi mentre in regioni europee simili, il contributo alla crescita è stato positivo per entrambe le componenti. Nel descrivere queste dinamiche regionali, Marco Gallo ed Elena Gentili* sottolineano l’importanza della popolazione straniera nel sostenere la crescita dell’occupazione, soprattutto nel breve periodo.

Il calo demografico è un problema sempre più stringente per l’economia nazionale. La popolazione residente in Italia ha raggiunto un picco di 60,3 milioni di individui nel 2014, per poi diminuire stabilmente fino a 58,9 milioni nel 2023. Il trend non sembra destinato a cambiare direzione nel prossimo futuro. Secondo lo scenario di base delle proiezioni demografiche dell’Eurostat, l’Italia è uno dei pochi paesi dell’Europa occidentale per i quali si prevede un calo della popolazione tra il 2023 e il 2050, insieme a Grecia e Portogallo. Nello scenario senza migrazioni la popolazione risulta in calo in tutti i paesi europei, ma è l’Italia a registrare la diminuzione più marcata, con il 16,3 per cento di residenti in meno rispetto al 2023 (quasi 10 milioni di abitanti). Questi numeri sottolineano l’importanza di politiche migratorie efficaci che permettano di sostenere il sistema economico italiano. Ma quanto ha contribuito la componente straniera alla crescita dell’occupazione nelle aree più sviluppate del nostro paese negli anni passati? 

Un confronto tra regioni europee sviluppate

Nel rapporto annuale sull’economia dell’Emilia-Romagna per il 2022 è stata presentata un’analisi che confronta la variazione dell’occupazione tra il 2007 e il 2019 in alcune regioni italiane ed europee simili per dimensione e sviluppo economico. La Figura 1 mostra tale valore evidenziando separatamente il contributo di nativi e stranieri: sono considerati nella prima categoria i lavoratori nati sul territorio del paese cui ciascuna regione appartiene, nella seconda quelli nati al di fuori. Complessivamente, la crescita dell’occupazione nel periodo considerato è stata più elevata nelle regioni dei paesi del Nord e Centro Europa. Tuttavia, mentre nelle regioni di Belgio, Germania, Francia, Svezia e Paesi Bassi il contributo alla crescita è stato positivo per entrambe le categorie, nelle regioni italiane e spagnole lo è stato soltanto per gli stranieri, a fronte di un calo per i nativi. 

Per meglio capire quali siano stati i fattori che hanno contribuito al risultato delle regioni italiane è possibile scomporre la variazione dell’occupazione in due componenti: la variazione della popolazione di almeno 15 anni e quella dell’incidenza degli occupati sulla medesima popolazione. La Figura 2 mostra i risultati di tale scomposizione per le regioni italiane, separatamente per i nativi e gli stranieri. Come si può osservare, entrambi gli andamenti hanno fortemente risentito dei movimenti demografici sottostanti che hanno tuttavia seguito direzioni opposte, in diminuzione per i nativi e in forte aumento per gli stranieri. Soltanto in Lombardia, che ha beneficiato di flussi migratori interni al Paese, si è registrato un lieve aumento del numero di persone di 15 e più anni che ha contribuito a far crescere l’occupazione1.  

Per concludere

Le dinamiche regionali descritte in questo articolo sottolineano l’importanza della popolazione straniera nel sostenere la crescita dell’occupazione, soprattutto nel breve periodo. Come ha più volte ricordato il Governatore Visco, le eventuali nuove politiche volte ad accrescere la natalità richiederanno un periodo prolungato prima che possano tradursi in un aumento del numero delle persone in grado di partecipare al mercato del lavoro. Politiche migratorie capaci di attirare stranieri con le caratteristiche necessarie a sostenere la produzione nel nostro territorio rappresentano una soluzione tempestiva e adeguata per far fronte alla domanda di lavoro delle imprese, purché opportunamente affiancate dalle necessarie misure di integrazione economica e sociale dei nuovi arrivati e dei loro familiari2.

*Le opinioni espresse dagli autori sono personali e non riflettono necessariamente quelle della Banca d’Italia.

Note

1La classe di età dai 15 anni in su è stata scelta per mantenere la coerenza con l’analisi riportata in Figura 1. La diminuzione del tasso di occupazione (tranne che in Toscana) dipende dal fatto che questo tasso è calcolato rispetto non alla popolazione in età da lavoro (15-64 anni), ma a tutta la popolazione di almeno 15 anni e risente quindi del suo invecchiamento. Se si considerasse la classe di età 15-64, il tasso di occupazione risulterebbe in aumento in tutte le regioni di interesse.

2Si vedano ad esempio le Considerazioni finali sul 2022, quelle sul 2021 e l’Indirizzo di saluto al Convegno organizzato dalla Banca d’Italia e dall’Istat.

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