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L’ospedalizzazione degli anziani

Le difficoltà causate dall’invecchiamento della popolazione hanno reso necessario un adeguamento delle principali infrastrutture sanitarie. In effetti, anche per il contenimento della spesa pubblica, si sono talora evitate le consuete forme di ospedalizzazione, prediligendo una gestione focalizzata sulla medicina territoriale e domiciliare.

È generalmente noto che, in conseguenza del prolungato calo della mortalità e della natalità, il fenomeno dell’invecchiamento interessa da molti anni a questa parte la quasi totalità delle popolazioni dei paesi a sviluppo avanzato, così da determinare l’insorgere di preoccupanti squilibri di natura economica, sanitaria e sociologica.  Nel contesto europeo, la popolazione italiana e quella tedesca rappresentano quelle maggiormente invecchiate, mentre su scala mondiale i livelli di invecchiamento più pronunciati riguardano il Giappone. 

Quanto detto fa emergere importanti questioni che investono i sistemi previdenziali e sanitari come l’ottimizzazione delle risorse disponibili, al fine di rispondere alla complessità delle svariate terapie, causate dalla continua crescita delle patologie cronico-degenerative.

Il ricorso ai servizi ospedalieri della popolazione anziana

In questo lavoro, viene svolta un’analisi delle principali caratteristiche del ricorso ai servizi ospedalieri della popolazione anziana in Italia attraverso una serie di indicatori considerati per classi di età, tipo di attività ospedaliera e regime di ricovero. 
Le fonti informative utilizzate per l’elaborazione degli indicatori qui presentati sono le schede di dimissione ospedaliera, che forniscono le informazioni relative ad ogni paziente dimesso dagli istituti di cura pubblici e privati su tutto il territorio nazionale1. Per la popolazione di riferimento si è considerata quella fornita delle rilevazioni Istat in materia di popolazione residente. Osservando la tabella 1 si nota che nel periodo compreso tra il 2010 e il 2020, la popolazione in età 65 -74 anni è aumentata dell’11,6 %, e quella ultra-settantacinquenne del 17,5%. 
Questo fenomeno si traduce in un aggravamento della sostenibilità del servizio sanitario nonché della percentuale di individui non autosufficienti. La cronicità, in particolare nelle fasce più anziane della popolazione, comporta un crescente impegno di risorse, e richiede continuità di assistenza di lunga durata nonché una forte integrazione tra i servizi sanitari e sociali.
Nella tabella 1 si sono analizzati i principali indicatori relativi all’utilizzo dei servizi ospedalieri dal 2010 al 2020 (ultimo anno disponibile). La domanda soddisfatta del sistema ospedaliero viene descritta attraverso l’analisi dei principali tassi di ospedalizzazione elaborati distintamente per classe di età della popolazione anziana, tipo di attività ospedaliera e regime di ricovero. In generale, questi indicatori, ottenuti rapportando il numero dei ricoveri in cliniche e ospedali pubblici e privati all’ammontare della popolazione, forniscono una misura sintetica del ricorso al ricovero ospedaliero per i vari gruppi considerati consentendo di descrivere l’utilizzo delle diverse modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria e di cogliere nelle analisi temporali, gli eventuali spostamenti della casistica trattata da un setting assistenziale all’altro. 
Nell’anno 2020, il tasso di ospedalizzazione (per 1000 abitanti) più elevato si osserva nella fascia di età over 75  per tutte e tre le tipologie di attività ospedaliera (ricoveri per acuti in regime ordinario: 211,3; riabilitazione in regime ordinario: 13,9; lungodegenza 7,4).
L’analisi della tendenza temporale 2010-2020 mostra un chiaro andamento verso la diminuzione dei tassi di ospedalizzazione per ogni tipo di attività ospedaliera, regime di ricovero, e infine per ogni fascia di età considerata. Ad esempio, nella classe di età 75 anni e più si rileva un valore del ricovero per acuti in regime ordinario che passa da 312,5 a 211,3 per 1.000 abitanti (-32,4 %). Nello stesso periodo, la riduzione più significativa è dovuta all’attività in riabilitazione e regime di ricovero day hospital, con un indice che passa da 1,3 a 0,3 per 1.000 (-74,6 %), sempre nella fascia di età over 75. Più contenuta appare la riduzione osservata per il tasso di ricovero per riabilitazione in regime ordinario sia nella classe di età 75 anni e più (-28,8%) che in quella 65-74 (-29,7).

Lo shock della pandemia

Se confrontiamo i tassi di ospedalizzazione registrati nel 2020 con quelli dell’anno precedente, i cui dati sanitari potevano ritenersi ancora non perturbati dagli effetti della pandemia dovuta al coronavirus, si mostra chiaramente che l’assorbimento delle risorse ospedaliere dovute al trattamento delle persone affette da Covid-19  ha causato indirettamente una riduzione della presa in carico dei pazienti affetti da altre infermità sia acute che croniche. Soprattutto in corrispondenza delle maggiori ondate epidemiche, il ricorso all’ospedale è dunque stato necessariamente riservato alla casistica di emergenza-urgenza, tipicamente più complessa, con una rimodulazione dell’attività programmata considerata clinicamente differibile. Nel complesso, l’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del Covid-19 ha determinato un vero e proprio shock sul sistema ospedaliero. Difatti, la pandemia da Covid-19 ha messo sotto pressione i servizi sanitari, saturando l’offerta e portando a una rimodulazione delle prestazioni. Il sistema ospedaliero italiano è stato al centro di questa emergenza sanitaria, dovendo fronteggiare le conseguenze della diffusione del virus e, allo stesso tempo garantire i ricoveri urgenti e quelli non differibili.

Deospedalizzazione e invecchiamento

Al netto dell’effetto Covid-19, la transizione dai ricoveri in degenza ordinaria a quelli in day hospital negli anni più recenti trova in parte spiegazione nell’attuale tendenza a trasferire alcuni interventi chirurgici, quali ad esempio le varici degli arti inferiori, la cataratta oculistica e il “tunnel carpale”, dall’ospedale all’ambulatorio. È anche importante rimarcare come il sensibile calo degli indici di propensione al ricovero ospedaliero nel nostro Paese possa in qualche misura essere attribuito al processo di “deospedalizzazione” avviato con la riforma sanitaria del 1992. Ciò ha comportato una riorganizzazione e una razionalizzazione del sistema sanitario, del resto tuttora in fase di realizzazione. 

La diminuzione dei ricoveri per effetto del processo di deospedalizzazione persiste nonostante il progressivo invecchiamento della popolazione. Ciò è dovuto anche al trattamento di un certo numero di casi meno gravi nelle strutture ambulatoriali. 
Il cambiamento demografico dovuto all’invecchiamento della popolazione, e il conseguente aumento delle patologie croniche, ha comportato il tramonto di una visione incentrata soltanto sui servizi ospedalieri. La trasformazione è stata necessaria sia per evitare un possibile collasso del sistema di assistenza, sia per migliorare la qualità delle prestazioni erogate. In effetti, negli ultimi anni la fisionomia dell’ospedale si è profondamente modificata: da luogo di riferimento per qualsiasi problema di una certa rilevanza di natura sanitaria, e spesso sociosanitaria, ad organizzazione ad alto livello tecnologico, deputata e capace di fornire risposte assistenziali di tipo diagnostico-terapeutico a problemi di salute caratterizzati da acuzie e gravità. Difatti l’invecchiamento della popolazione richiede il superamento della visione centrata sull’ospedale per arrivare ad un sistema focalizzato sulla medicina territoriale e domiciliare. Bisogna inoltre rimarcare come la riorganizzazione della rete ospedaliera dovrebbe andare di pari passo con la necessità di raggiungere un equilibrio tra il ruolo dell’ospedale e quello dei servizi territoriali e assistenziali, dovendosi innanzitutto adeguare agli stretti vincoli finanziari indispensabili per il contenimento della spesa pubblica complessiva. 

Note

1Ministero della Salute. Rapporto SDO, Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero. Roma anni 2010-2020

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