Il mutato quadro demografico, che sta trasformando l’Italia da qualche anno, lascia intravedere il rapido arrivo di un rigido “inverno demografico”; le disuguaglianze territoriali evidenziano la necessità di analisi specifiche dedicate alle singole regioni, al fine di immaginare politiche differenziate fra le diverse realtà.
La dinamica demografica nel Paese
Al 1° gennaio 2022 la popolazione residente in Italia ammonta a 58.983.122 persone, un decremento di 253.091 unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente. Questo nuovo calo, l’ottavo consecutivo, fa scendere il numero degli iscritti in Anagrafe sotto la soglia dei 59 milioni di abitanti. Dopo il picco di popolazione (60.345.917) registrato a gennaio 2014 (Figura 1), il costante declino dei residenti non sembra destinato ad arrestarsi; anzi, secondo lo scenario di previsione “mediano” dell’Istat1, è attesa una decrescita di 1,3 milioni di unità nei prossimi 10 anni e di 5 milioni da qui al 2050.
Se nel recente passato gli stranieri hanno fornito un contributo determinante in chiave anti-declino, negli ultimi anni non è più così: la crescita della componente straniera non risulta infatti più in grado di compensare, se non parzialmente, la diminuzione di quella di cittadinanza italiana. Questo sia per il rallentamento dei flussi dall’estero sia per il comportamento riproduttivo degli stranieri, che si avvicina sempre più al modello italiano (Figura 2); dal 2015 le donne straniere non riescono più a garantire il “livello di sostituzione” (2,1 figli per donna). Come conseguenza, nel nostro Paese, il quoziente di natalità e il numero medio di figli per donna sono giunti ai minimi storici.
Gradienti territoriali
I fenomeni sopra descritti presentano manifestazioni molto differenti fra le regioni. Per quanto concerne la popolazione complessiva, le perdite più significative (Figura 3) si sono registrate in Molise (-7,1%), Basilicata (-6,2%), Calabria (-5,8%) e Sicilia (-4,8%) mentre i soli, modesti, incrementi hanno riguardato il Trentino Alto-Adige (+2,4%) e la Lombardia (+0,4%).
Non casualmente negli ultimi tre anni in Molise e in Calabria si assiste anche a una evidente diminuzione della componente straniera (rispettivamente -13,4% e -10,4%).
Evidenti le disuguaglianze territoriali anche nei comportamenti riproduttivi. Nel periodo 2014-2021 la regione che ha registrato il tasso di natalità più basso è la Sardegna (6,0 per mille), seguita da Liguria (6,1) e Molise (6,5), mentre le regioni con il quoziente di natalità più alto sono il Trentino-Alto Adige (9,2), la Campania (8,4) e la Sicilia (8,2).
I cambiamenti della struttura per età della popolazione nel Paese hanno determinato un aumento dell’età media da 44,2 anni del 2014 a 46,2 del 2022 e dell’indice di vecchiaia da 154,6 anziani2 ogni 100 giovani3 del 2014 a 187,6 del 2022. Le regioni più “anziane” risultano essere la Liguria (267,2 ultrasessantacinquenni ogni 100 under 15), la Sardegna (241,8), il Molise (239,3) e il Friuli-Venezia Giulia (231,8); le più “giovani” sono la Campania (143,6), il Trentino-Alto Adige (147,0) e la Sicilia (167,6).
L’eterogeneità del territorio nazionale è riscontrabile anche nelle dinamiche migratorie: mentre il tasso migratorio netto dall’estero risulta positivo in tutte le regioni italiane (a eccezione della Valle d’Aosta, -0,3 per mille residenti), si osservano flussi migratori interni sfavorevoli alle regioni del Mezzogiorno (Figura 4).
In particolare, le regioni più svantaggiate risultano essere ancora una volta Calabria (-4,7 per mille residenti), Basilicata (-4,2), Molise (-3,4) e Sicilia (-3,3). Viceversa, le regioni attrattive, che mostrano una dinamica migratoria interna favorevole, sono quelle del Centro-Nord, fra le quali spiccano Emilia-Romagna (+3,5 per mille residenti), Trentino-Alto Adige (+2,9), Friuli-Venezia Giulia (+2,1) e Lombardia (+2,0).
Le previsioni di popolazione al 2050 indicano come il declino demografico investa sia il Paese nel suo complesso sia quasi tutte le regioni che lo compongono (con la sola eccezione del Trentino-Alto Adige, che cresce, e dell’Emilia-Romagna, che rimane costante). Tuttavia, l’intensità della decrescita demografica è attesa con incidenze molto diversificate: più contenute nel Nord e nel Centro Italia, decisamente significative nel Mezzogiorno, dove spiccano le realtà di Molise, Basilicata e Sardegna, che si prevede perderanno circa un quinto della loro popolazione entro il 2050.
Al “divario” Nord-Sud si affianca il “divario” centro-periferia: sono le “Aree Interne” del Paese quelle maggiormente colpite dallo spopolamento (Figura 5). Il loro tasso di (de)crescita della popolazione (-4,3 per mille) è più del doppio di quello delle altre aree (-1,8).
Infatti, il tasso di mortalità risulta essere più elevato (12,9 vs 11,6 per mille), probabilmente a causa della struttura demografica più anziana, e contestualmente si riscontra un tasso migratorio interno (-0,3 vs +0,1) e con l’estero (2,3 vs 2,8) più basso.
Significativa la tendenza delle regioni del Mezzogiorno a mostrare un’elevata incidenza di Comuni classificati come “interni” (Figura 6). Il primato spetta alla Basilicata (dove il 91% dei Comuni è “interno”), seguita dalla Sicilia (79%) e dal Molise (76%). Tutte nel Nord del Paese le regioni dove il fenomeno si manifesta in maniera diametralmente opposta: Veneto (dove solo il 20% dei Comuni è “interno”), Piemonte (31%) e Lombardia (32%). Svetta in questo panorama la realtà del Trentino-Alto Adige, territorio del Nord Italia con la maggior percentuale di comuni “interni” (77% del totale), caratterizzato però da una crescita di popolazione, imputabile sia a un elevato tasso di migrazione interna (+2,9 per mille residenti) sia al più alto quoziente di natalità del Paese (9,2 per mille).
Implicazioni socio-economiche dei saldi migratori
I differenziali nei saldi migratori interni e con l’estero di ogni regione sono legati a un set di variabili che esprimono la condizione socio-economica dei territori. Tra queste, per esempio, l’adeguatezza delle risorse economiche, il disporre o meno di una casa di proprietà, i livelli occupazionali. Utilizzando un modello statistico di correlazione multipla (ponendo come variabile dipendente i saldi migratori regionali) emerge che la significatività delle variabili è diversa a seconda della tipologia di saldo migratorio (interno e con l’estero).
Nel caso del saldo migratorio interno la variabile più significativa è il tasso di occupazione (β=0,2058; P<0,005): a una zona con migliori prospettive di lavoro corrisponde una più alta attrazione di popolazione (la forza lavoro e i relativi familiari). Con riferimento al saldo migratorio con l’estero la variabile maggiormente esplicativa dei differenziali regionali è la percentuale di popolazione straniera residente (β=0,28; P=0,005), a conferma che i flussi più consistenti si indirizzano maggiormente verso le aree dove esiste una storia migratoria già consolidata.
Alcune considerazioni finali
Misurare e rappresentare le disuguaglianze tra i territori dimostra come occorra ancora uno sforzo condiviso per assicurare le stesse opportunità e le stesse prospettive alle regioni che compongono il nostro Paese. Le differenze sono decisamente più significative nelle zone più periferiche. Questo implica la necessità di proseguire lo studio sulle diseguaglianze territoriali dei vari fenomeni demografici tenendo conto sia dei confini amministrativi sia anche di altre classificazioni rilevanti per le finalità di programmazione locale.
Note
1Istat, Previsioni della popolazione residente e delle famiglie, 2022,
2Per “anziani” si intende la popolazione di 65 anni e oltre.
La classe “giovani” è costituita dalla popolazione di età compresa tra 0 e 14 anni.