Popolazione mondiale:

Popolazione italiana:

Giovani (0-19 anni):

Anziani (64+ anni)

Donne e pensioni in Italia: il peso di una scarsa partecipazione al mercato del lavoro

In Italia le donne sono state tradizionalmente poco attive sul mercato del lavoro. Le cose stanno oggi rapidamente migliorando, ma siamo ancora in ritardo rispetto agli standard Europei e soprattutto, il passato, ormai immodificabile, penalizzerà ancora per molti anni le pensionate italiane. Il tutto aggravato da un contesto di invecchiamento demografico e scarsa consapevolezza della portata dei problemi previdenziali.

Il 29 marzo 2023, si è svolto a Roma un webinar dal titolo “I lavori e le pensioni delle donne: ieri, oggi e domani” organizzato dal Consiglio Nazionale degli attuari e da “Noi Rete Donne”. L’obiettivo (“mettere a fuoco lavoro, sicurezza, pensioni: i dati, il presente e le prospettive future”) è stato pienamente raggiunto, grazie alle qualità delle relatrici (Giuliana Coccia, Elsa Fornero, Antonietta Mundo, Tiziana Tafaro e Liana Verzicco coordinate da Daniela Carlà), le cui relazioni hanno affrontato e collegato le diverse problematiche che connettono l’occupazione, il reddito, e i modelli di vita alle pensioni delle donne, con percorsi di vita e di lavoro tipicamente diversi da quelli degli uomini1.

Lavoro femminile in Italia: un ritardo che si colma solo lentamente

Negli ultimi quarant’anni sono stati compiuti importanti passi in avanti: il tasso di occupazione delle donne, che partiva da livelli bassissimi (nel 1977 appena un terzo delle donne era occupato) è aumentato di 16 punti, superando il 53% nel 2020 (ma nella UE a 27 era già il 67,5%). Di conseguenza il divario di genere nei tassi di occupazione si è più che dimezzato (dai 41,1 punti percentuali del 1977 ai 18,1 del 2018), anche se rimane ancora tra i più alti d’Europa (quasi 19 punti in Italia contro una media europea di circa 10), a dispetto di livelli di istruzione femminili mediamente più elevati. Il progresso del periodo 1977-2020, inoltre, è risultato molto meno marcato nelle regioni meridionali: +6,8% contro +20,2% nel Nord e +23,4% nel Centro. Questa situazione, ovviamente, incide non solo sui redditi, ma di conseguenza anche sulla tipologia e sull’importo delle pensioni degli uomini e delle donne. 
Il grafico che segue riassume e in parte spiega in sintesi i principali differenziali di genere (fig 1).

Come si vede, nel 2012, il 56,5% delle lavoratrici si è presentato all’appuntamento con la pensione con un’anzianità fino a 25 anni; ciò significa che era in possesso soltanto del requisito contributivo minimo di 20 anni, che consentiva di andare in quiescenza al compimento dell’età di vecchiaia (ora 67 anni). Con una storia lavorativa così breve, indipendentemente dal tipo di calcolo (retributivo o contributivo), l’importo della pensione non può che essere modesto.

Diverso era il caso degli uomini: il 70,6% di loro aveva un’anzianità di 35 anni e più. Le ripartizioni interne (soprattutto con riferimento al 53,3% di questi lavoratori che ha alle spalle una storia lavorativa di compresa tra i 35 e 40 anni) danno conto della possibilità (come accade in pratica da decenni) dei lavoratori di accedere a qualche forma di anticipo pensionistico e, soprattutto, di far valere una base contributiva tale da assicurare un trattamento più elevato. 

La faglia del pensionamento: un terremoto annunciato

Dalle relazioni e dalle relative tabelle emergono considerazioni di carattere generale inerenti al ruolo cruciale della demografia sugli equilibri del sistema pensionistico. E’ attesa tra pochi anni (una ventina) la “faglia” tra il pensionamento dei baby boomers e la presenza sul mercato del lavoro di generazioni esigue, a seguito della denatalità. La metafora della faglia rende bene l’idea dei sommovimenti – lenti ma ineluttabili, e potenti – che sono in corso. Ci stiamo avviando verso la conclusione di un processo nel corso del quale aumentano il numero e l’importo delle pensioni (e quindi della spesa pensionistica) mentre arrivano sul mercato del lavoro generazioni penalizzate non solo dai mutamenti intervenuti sul versante dell’occupazione e del reddito, ma anche dalla denatalità. 

Misure correttive sono possibili, ma con difficoltà, tanto maggiori considerando la portata e i tempi dei problemi che abbiamo di fronte. Per quanto riguarda le pensioni, un adeguamento dell’età pensionabile alle attese di vita può, quanto meno, dilazionarne il numero. Invece, per quanto concerne l’ampliamento della base dei lavoratori attivi e contribuenti, conviene distinguere due aspetti. Da una parte si può, e forse si deve, puntare su nuovi interventi di sostegno alla natalità, ma va preso atto che, anche se avessero successo, sarebbero comunque necessari decenni per un adeguato “ripopolamento” delle persone in età da lavoro. Andrebbe dunque presa in seria considerazione l’altra, più rapida ed efficace opzione: quella di una maggior presenza di stranieri nella società e nel mercato del lavoro.

La tabella 1 e la figura 2 mettono in evidenza, nei prossimi 20 anni, il vistoso calo della popolazione in età di lavoro, a fronte di un incremento di 2,5 milioni (suddiviso circa a metà per uomini e donne) di nuove pensioni IVS (invalidità, Vecchiaia e Superstiti).

Maternità e pensioni

Tornando, per concludere, al gap femminile, sono emerse anche le conseguenze della maternità sull’occupazione femminile. La partecipazione delle donne al mondo del lavoro è molto legata ai carichi familiari e, non a caso, il tasso di occupazione delle madri è più basso di quello delle donne senza figli. Nel 2018, ad esempio, risultava che l’11,1% delle donne italiane che ha avuto almeno un figlio nella vita non ha mai lavorato (ufficialmente almeno), un valore decisamente superiore alla media europea (3,7%), e nel Mezzogiorno si arrivava addirittura a una donna su cinque.

Il livello di istruzione ha un forte impatto nella mancata partecipazione delle donne con responsabilità familiari: il gap rispetto alle donne senza figli si riduce al crescere del titolo di studio; il rapporto tra i due tassi (femminile e maschile) sale dal 53,8% per le donne con al massimo la licenza media, al 72,6% per le diplomate, fino ad arrivare al 90,2% per le laureate. Il tasso di occupazione delle donne 25-49 anni con figli varia da un minimo di 17,1% delle madri del Mezzogiorno con basso titolo di studio a un massimo di 81,4% delle madri laureate che vivono al Nord. 

Note

1 I grafici sono tratti dalla relazione di Antonietta Mundo e Tiziana Tafaro, Il punto della situazione nel sistema pensionistico, presentato nell’incontro del 29 marzo scorso.

PDFSTAMPA

Condividi questo articolo

Sostieni Neodemos


Cara Lettrice e caro Lettore, fare buona e seria divulgazione è il mestiere che esercitiamo da 15 anni con impegno e entusiasmo e, ci dicono, con autorevolezza. Dacci una mano a fare il nostro lavoro e rafforza la nostra indipendenza con un contributo, anche piccolo. Ci aiuterà a sostenere i costi di Neodemos, e ci incoraggerà a far meglio.

Grazie!

Iscriviti alla nostra newsletter


Due volta la settimana, riceverai una email che ti segnalerà i nostri aggiornamenti


Leggi l'informativa completa per sapere come trattiamo i tuoi dati. Puoi cambiare idea quando vuoi: ogni newsletter che riceverai avrà al suo interno il link per disiscriverti.

Potrebbero interessarti anche