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La proposta dell’eredità universale

I trasferimenti monetari universali generano nel nostro paese molte resistenze. Eppure, dotare i giovani e le giovani di una eredità universale nel passaggio all’età adulta, come propone Elena Granaglia, potrebbe rappresentare un importante complemento delle più tradizionali politiche per l’uguaglianza di opportunità inter-generazionale.

Ispirato dal lavoro di A. Atkinson, il Forum Disuguaglianze Diversità ha lanciato, nel 2019, la proposta di un’eredità universale. Si tratta di un trasferimento di ricchezza di 15.000 euro (circa un decimo della ricchezza media nazionale) erogato, su un conto di risparmio, a tutti i giovani e le giovani nel passaggio all’età adulta. Il trasferimento è universale e non condizionato: prescinde dalla situazione della famiglia di origine e da vincoli di uso. La capacità di scegliere non nasce, ovviamente, nel vuoto. Accompagnerebbero il trasferimento servizi finalizzati a sostenere le scelte dei giovani, da attivarsi sia nella scuola sia all’interno dei programmi di welfare locale e di comunità. I servizi, a loro volta, vanno dalla più tradizionale educazione finanziaria alla realizzazione di confronti, su “cosa fare da grande”, con i propri pari e con persone che hanno seguito stili di vita diversi. 

Il finanziamento dell’eredità universale e le obiezioni alla proposta

Il finanziamento è alimentato dall’imposta sui vantaggi ricevuti, una revisione dell’attuale imposta sulle successioni. I cambiamenti principali concernono la base imponibile, costituita dalla somma di tutte le eredità e donazioni ricevute nell’arco della vita, con un’esenzione fino a 500.000 euro e alcune limitate esenzioni aggiuntive; l’accentuazione della progressività e l’abrogazione dei regimi agevolativi oggi esistenti a seconda del grado di relazione con il donante. 

L’obiettivo complessivo è promuovere l’uguaglianza di opportunità agendo sul doppio fronte di innalzare il “pavimento”, grazie al trasferimento, e di abbassare “il soffitto”, grazie alla tassazione.

L’eredità universale mette in discussione alcune convinzioni saldamente radicate nel nostro paese. Coinvolge un trasferimento di denaro, attirandosi l’accusa di essere un ennesimo bonus in uno Stato sociale povero di servizi. Va a tutti, ricchi e poveri, “facendo parti uguali fra i disuguali” e trascurando i vincoli di bilancio che richiederebbero di concentrare le risorse su chi sta peggio. Non pone condizioni, favorendo gli sprechi e l’assistenzialismo, quando dovremmo promuovere l’inclusione attiva nel mondo del lavoro. Infine, l’imposta sui vantaggi ricevuti non solo è un balzello in più su chi ha pagato tutta la vita le imposte, ma interferisce pure con la libertà dei genitori di lasciare ai propri figli. Non a caso la proposta ha attirato diverse critiche così come è stata ampiamente criticata la proposta del segretario del PD, Letta, a favore di una dote dai contorni meno radicali dell’eredità proposta dal Forum. 

Le risposte alle critiche

Seppure in termini sintetici, vorrei provare a rispondere alle obiezioni. Incominciamo dalla dimensione monetaria del trasferimento. Stupisce che chi ha denaro non ne riconosca il valore per gli altri.  Molti, non a caso, resistono alla tassazione anche sulla base di tale valore. Interessante, al riguardo, è ricordare, invece, (sottraendo magari il tabacco) quanto scriveva G. Cole (trad. mia), “esiste… in ogni società avanzata una gamma molto ampia di beni e servizi che non possono essere classificati né come necessari né come lussi. Alcune cose, come il pane, la casa e l’istruzione, sono necessarie, fino a un certo livello minimo, per ogni membro di tale società. Altri, come il tabacco, o i cinema e teatri, o la birra, o dosi dei beni necessari superiori rispetto al livello minimo non sono necessari per tutti; ma è necessario che tutti abbiano almeno un reddito minimo che possa dedicare all’acquisto di beni e servizi di questa seconda classe”. 

Rispetto allo specifico dell’uguaglianza di opportunità intergenerazionale, la ricchezza influenza le opportunità di istruirsi, di uscire dalla famiglia di origine, di rifiutare condizioni di lavoro inique o inappropriate, di resistere a shocks negativi, di realizzare un progetto imprenditoriale avendo la libertà di assumere rischi. Come ci hanno detto alcuni giovani in periferie svantaggiate, favorisce la capacità stessa di aspirare e di attivarsi. Interessante, al riguardo, sono le evidenze di uno studio recente relativo alla Norvegia, un paese dove il welfare dei servizi è ben più sviluppato che da noi e le povertà educative sono assai meno diffuse: ebbene, la ricchezza dei genitori influenza gli stessi redditi da lavoro dei figli (l’influenza sui redditi da capitale è più scontata).  Se così, più aumenta la disuguaglianza di ricchezza più sono amplificati gli effetti di un fattore così arbitrario da un punto di vista morale come è la lotteria sociale.

I meriti dell’universalismo

Passando all’universalismo, da un lato, gli interventi selettivi hanno il limite inevitabile di non riuscire mai a identificare con nettezza i bisognosi, con il risultato di escludere alcuni che sono più (o ugualmente) bisognosi di altri che sono inclusi. Da un altro lato, anche i figli e le figlie dei ricchi potrebbero essere penalizzati qualora volessero perseguire scelte di vita di minoranza, non apprezzate dai genitori. Da un altro ancora, la nostra società è già abbastanza divisa. L’universalismo dell’eredità segnala la nostra comune cittadinanza. Nel passaggio all’età adulta, tutti i nuovi cittadini sono dotati di una base di risorse comuni. Infine, se si considerano congiuntamente tassazione e trasferimento, l’effetto distributivo è favorevole a chi sta peggio. Tutti ricevono l’eredità, ma solo i più ricchi pagano. 

La non condizionalità, dal canto suo, riflette il valore della libertà e il rispetto per l’altro e l’altra. Certo, alcuni beneficiari potrebbero sbagliare. Ma il rischio di sbaglio non è invocato come caveat nei confronti dei ricchi che ricevono l’eredità dai genitori. E, comunque, ci sono i servizi di sostegno alla scelta, i quali rappresentano anche un elemento di innovazione nel processo educativo, richiedendo che una parte del tempo sia dedicata ad una riflessione comune, tra persone diverse, sui diversi piani di vita possibile (e magari con l’aiuto anche della letteratura e della filosofia). 

Infine, rispetto alla tassazione, ciò che si riceve gratuitamente dagli altri è un regalo. Tassare i regali non toglie qualcosa che meritiamo. Inoltre, tassare un po’ di più i patrimoni permette di riequilibrare la tassazione sul lavoro, in particolare, sui bassi redditi. Conta, inoltre, il contesto: nel secondo dopoguerra, le aliquote marginali delle imposte di successione nei paesi anglosassoni si aggiravano attorno all’80%. Come dimostra la figura 1, nel nostro paese oggi il gettito dell’ccessione è sceso a livelli molto bassi nonostante il forte incremento della ricchezza privata. E, comunque, l’imposta sui vantaggi ricevuti lascia ampio margine ai genitori di lasciare ai figli. Lungi dal compromettere questo diritto cerca semplicemente di evitare la messa a repentaglio del diritto degli altri all’uguaglianza di opportunità. Colpisce la distanza rispetto al passato, quando liberali e socialisti si trovavano d’accordo sul carattere non democratico di un paese che permetta, indisturbata, la trasmissione delle grandi fortune. 

Il che non implica, ovviamente, che l’uguaglianza di opportunità intergenerazionale non richieda investimenti nell’istruzione e nel (buon) lavoro e neppure che singoli dettagli dell’eredità universale non richiedano specificazioni o non possano diversamente configurarsi. Il punto è semplicemente che anche l’eredità universale è una misura essenziale ai fini dell’uguaglianza di opportunità.

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