Con l’avvicinarsi della Legge di Bilancio si torna a parlare di un anticipo dell’età al pensionamento per ulteriori categorie di lavoratori. Ma lo spazio di manovra è ristrettissimo, argomenta Gianpiero Dalla Zuanna, perché l’aggiunta di quasi tre milioni di anziani in più è un ulteriore macigno sulla sostenibilità di tali misure.
Con l’avvicinarsi della Legge di Bilancio si torna a parlare di pensioni. Si discute se prorogare Quota 100, Opzione Donna, APE social, magari estendendo quest’ultima misura a un numero più ampio di categorie di lavoratori usurati, individuate dalla Commissione Damiano.
Alti contributi e bassi salari
Molti vorrebbero andare in pensione il più presto possibile. Tuttavia, questo legittimo desiderio va contemperato con la sostenibilità del sistema. Le pensioni di oggi vengono pagate con i contributi versati dagli attuali lavoratori. Questi contributi sono oggi i più elevati dell’area OCSE (i 33 paesi più ricchi del mondo), poiché ammontano al 32% del salario lordo. La media OCSE (Figura 1) è 19%. Oltre a questo, ogni anno le pensioni possono essere pagate grazie a 22 miliardi (più dell’1% del PIL italiano) che arrivano non dai contributi, ma dalle imposte (cifra indicatami dal collega Gustavo De Santis, deducibile dai bilanci consolidati degli enti previdenziali, 2019).
Questi due semplici dati ci dicono che una parte consistente del cuneo fiscale (la differenza fra salario lordo e salario netto) è dovuta alla necessità di sostenere con i contributi e con le imposte la spesa pensionistica. In futuro, tale spesa è destinata inevitabilmente ad aumentare – anche a regole immutate – perché le persone che hanno più di 65 anni, che oggi sono 13 milioni e 900 mila, stando alle previsioni dell’Istat, fra appena dieci anni diventeranno 16 milioni e 600 mila, a causa dell’invecchiamento dei figli del baby boom (nati fra il 1955 e il 1975).
Anticipare l’età al pensionamento? Un macigno, la demografia, lo impedisce
Di conseguenza, lo spazio di manovra per anticipare l’età al pensionamento rispetto alle regole attuali è molto, molto ristretto. Se lo facciamo, rischiamo di penalizzare ancora di più i salari netti dei lavoratori, che già sono fra i più bassi dei paesi ricchi. Oppure, rischiamo di dover tagliare voci del welfare, per spostare altre risorse sulle pensioni. Se l’Italia “non è un paese per giovani”, se molti “cervelli”, ma anche molte braccia, cercano all’estero retribuzioni maggiori, parte rilevante della responsabilità risiede nell’eccessiva generosità del nostro sistema pensionistico, specialmente nelle scelte dissennate degli anni passati.
È quindi opportuno pensare ad altri strumenti per rendere più sopportabile l’ultimo tratto della vita lavorativa, strumenti alternativi al popolare, ma costoso pensionamento anticipato dei lavoratori maturi. Si possono ad esempio immaginare sistemi misti di lavoro e pensione: un po’ come già fanno molti artigiani anziani lavoratori in proprio, che incassano pensioni basse, ma continuano a lavorare a orario ridotto, magari assieme a un figlio o a un nipote. Oppure ragioniamo su cambiamenti di mansioni per gli ultimi anni di lavoro. E così via.
Possiamo fare molte cose, ma evitiamo di penalizzare i giovani, per favorire i loro genitori.