La crisi dell’economia, la sospensione della mobilità internazionale, l’alta disoccupazione degli immigrati nel mondo ricco, avevano fatto temere un crollo delle rimesse degli emigrati verso i paesi poveri, nel 2020 e nel 2021. Sorprendentemente questo non è avvenuto, anzi, nella prima parte del 2021, si sta delineando una consistente ripresa. Massimo Livi Bacci avanza l’ipotesi che i vincoli di solidarietà tra emigrati e comunità di origine siano assai più forti di quanto comunemente si ritenga.
Con accelerazioni e rallentamenti, i rapporti tra le varie parti del pianeta – continenti, regioni e paesi – sono sempre più stretti. Questo avviene per una pluralità di aspetti, ambientali, economici, sociali o culturali: i virus non hanno confini, i gas serra avvolgono l’intero pianeta, le merci viaggiano ovunque, l’informazione si diffonde in tempo reale, i contatti virtuali tra persone si moltiplicano. Maggiori ostacoli, invece, incontrano gli “scambi umani”, dei quali è composta la mobilità internazionale, che ha subito seri intralci a causa della pandemia. Che però potrebbero tornare a una situazione di normalità una volta superata la crisi sanitaria. Ma più della pandemia, a frenare lo sviluppo delle migrazioni internazionale sono le politiche, orientate da tempo alla limitazione e alla selezione dei flussi. Legati alle migrazioni sono i flussi delle rimesse degli emigrati, che costituiscono un importante sostegno allo sviluppo dei paesi poveri, oltre a rappresentare un vincolo vivo e tangibile tra paesi.
Sorprendente ripresa delle rimesse
Le Nazioni Unite stimano (sulla base di censimenti e inchieste) l’entità dello “stock migratorio”1(costituito da tutti coloro che dimorano in un paese nel quale non sono nati), una statistica utile, anche se sommaria, dell’interscambio umano. Lo stock ammontava a 76 milioni nel 1960, ed è cresciuto a 290 milioni nel 2020 (cioè da 2,5 ogni cento abitanti del pianeta a 3,7). Questo aumento è dovuto in parte predominante ai flussi migratori sud-nord, mentre i flussi sud-sud hanno avuto una debole dinamica. Questo si può desumere facilmente dalla Tabella 1 che riporta lo stock migratorio nell’ultimo trentennio, a seconda del grado di sviluppo economico dei paesi del mondo. Lo stock migratorio, relatiivo alla popolazione totale, è cresciuto notevolmente (da 7,2 a 12,4%) nei paesi più sviluppati, e marginalmente, e con incertezze, in quelli a medio e basso livello di sviluppo (da 1,7 a 1,9%). Tra questi, quelli a sviluppo bassissimo hanno visto addirittura una diminuzione relativa dello stock migratorio (da 2,2 a 1,5%).
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Forse più significativo di altri legami è quello costituito dalle cosiddette “rimesse” degli emigrati, cioè le somme di denaro – parte quindi del loro reddito, per lo più da lavoro – inviate nel paese di origine2. L’invio di denaro implica l’esistenza di un legame tra persone che risiedono in paesi diversi: un legame economico per motivi di affetto, di parentela, di amicizia, di solidarietà. Impiegato da chi lo riceve, in genere, per migliorare l’alimentazione, adeguare l’abitazione, proteggere la salute, mandare i figli a scuola, comprare attrezzi da lavoro, fare piccoli investimenti.
Le rimesse ricevute dai paesi di basso o medio reddito costituiscono una somma cospicua, vicina al due per cento del prodotto lordo dei paesi che la percepiscono. Ma vi sono canali informali – sia legali che illegali – di trasmissione delle rimesse che le statistiche e le stime ufficiali non colgono, cosicché è plausibile pensare che l’apporto dei migranti alle economie dei paesi di origine sia sensibilmente superiore al due per cento. Nel 2020, le rimesse percepite sono state pari a 540 milioni di dollari, un po’ meno (-1,5%), ma non tanto, dei 548 miliardi del 2019. Sono aumentate le rimesse verso i paesi dei Caraibi e dell’America Latina, del sud-est Asiatico, del nord Africa e del Medio Oriente; sono diminuite quelle verso l’Africa sub-sahariana, l’Asia centrale, i paesi dell’Europa orientale. Eppure l’esplosione della pandemia, la frenata dei flussi migratori, il rallentamento delle economie e l’accresciuta disoccupazione tra gli immigrati, avevano spinto gli esperti, i centri di ricerca e le organizzazioni internazionale – Banca Mondiale in testa – a formulare previsioni molto pessimiste, di un crollo a due cifre, poi non confermate dai fatti. Nel 2009, anno della gravissima crisi finanziaria globale, la contrazione delle rimesse era stata molto più forte (-5%) di quella avvenuta lo scorso anno.
La forza della solidarietà
La stabilità delle rimesse nell’anno pandemico contrasta con la caduta cospicua degli Investimenti Diretti Esteri (IDE, o FDI, Foreign Direct Investment) e dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS, o ODA, Official Development Assistance), che nel loro insieme (escludendo la Cina) muovono risorse inferiori a quelle delle rimesse (438 milioni di dollari i primi, contro 540 dei secondi, Figura 1). Le ragioni di questa sorprendente resistenza alla crisi delle rimesse non sono chiare, e includono “lo stimolo fiscale che ha sorretto l’economia dei paesi ricchi oltre le aspettative, la sostituzione dei canali formali a quelli informali, e le fluttuazioni cicliche nei prezzi del petrolio e nei cambi monetari”3. Queste spiegazioni lasciano insoddisfatti, e si trascura forse un fattore essenziale, che è quello della solidarietà dei migranti con le famiglie rimaste in patria, con la cerchia delle amicizie, con le comunità di origine. I migranti, benché abbiano risentito della crisi assai più dei residenti, hanno sofferto assai meno di coloro che sono rimasti in patria in gravi condizioni di povertà, e hanno mantenuto, e se possibile aumentato, il loro sostegno. In termini economici, potremmo dire che il senso di solidarietà dei migranti ha una funzione anticiclica.
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La ripresa delle rimesse ha preso avvio nella seconda parte del 2020, ed è continuata nei primi mesi del 2021; la stessa Banca Mondiale che un anno fa aveva previsto un calo del 14% dell’ammontare delle rimesse nel 2021, ha corretto le sue previsioni, nel maggio scorso, in una crescita del 5%. Dati aggiornati di due tra i maggiori destinatari di rimesse, il Messico e il Pakistan, segnalano che la loro crescita è continuata fino alla scorsa estate.
Il caso italiano non si discosta dalle tendenze generali. Nella Tabella 2 è riportato l’andamento delle rimesse nei dieci paesi maggiori percettori delle stesse (dal Bangladesh, maggior percettore, all’Ucraina), nel primo trimestre del 2019, del 2020 e del 2021. Il primo trimestre 2020 è stato parzialmente toccato dal lockdown, ma le rimesse sono state in aumento rispetto allo stesso periodo del 2019, per sette dei dieci paesi (in diminuzione Bangladesh, Filippine e Romania). Tra il primo trimestre del 2020 e il primo trimestre del 2021, tranne Romania e Filippine, che hanno segnato aumenti marginali, tutti gli altri paesi hanno registrato incrementi notevolissimi, tra il 18% del Pakistan e il 54% del Marocco.
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Equilibri geopolitici
I dati sulle rimesse, è già stato rilevato, sono molto imperfetti e sicuramente sottostimati e occorrerà attendere del tempo per poter valutare con ponderatezza i contorni, e le cause, della ripresa in atto. Tuttavia essi sono un indicatore vivo dei legami esistenti tra paesi. I 43 miliardi di rimesse percepite dal Messico nel 2020 (terzo paese nella classifica mondiale, dopo India e Cina) valgono il 4% del Pil, provengono in stragrande maggioranza dagli Stati Uniti e influenzano fortemente la politica dei due paesi e il buon vicinato tra Nord e Centro America. Nei paesi ex-sovietici dell’Asia Centrale (Tagikistan, Kirghizistan, Uzbekistan), le rimesse (prevalentemente dalla Russia) valgono tra il 15 e il 30% del Pil, e sono un puntello importante alla stabilità geopolitica della regione.
1 UN – Desa, International Migrant Stock | Population Division (un.org)
2 Non si tratta solo di invii di denaro, tramite i consueti canali bancari e finanziari (“personal transfers”), ma anche i redditi da lavoro (“compensation of employees”) di non residenti legati da contratti stagionali, frontalieri e assimilati. Molti paesi elaborano statistiche fortemente lacunose o, addirittura non forniscono i dati. Sono poi esclusi – per forza di cose – tutti i trasferimenti che avvengono per canali informali, o illegali. I confronti internazionali richiedono quindi estrema cautela, soprattutto quelli che si riferiscono ai flussi “sud-sud”. In generale, può dirsi che l’effettivo apporto dei migranti ai paesi di origine è notevolmente superiore a quello misurato dalle statistiche ufficiali.
3 World Bank, Defying predictions, Remittance flows remain strong during Covid-19 crisis – Global Diaspora News