L’articolo di De Rosa, de Martino e Napoleone presenta una prima fotografia, su scala nazionale, della diffusione del diversity e/o inclusion management soffermandosi in particolare su misure e strumenti per la gestione e valorizzazione delle diversità LGBT+ nelle imprese con almeno 50 dipendenti. Il percorso per il rispetto e la valorizzazione delle diversità negli ambienti di lavoro, nel nostro Paese, è un fenomeno in divenire che si intreccia con la necessità di abbattere alcune barriere strutturali che impediscono un’uguaglianza “reale”.
Per diversity e/o inclusion management si intende l’insieme delle misure e degli strumenti che intendono gestire e valorizzare le diversità dei lavoratori, promuovendone l’inclusione negli ambienti di lavoro. In particolare l’analisi si è concentrata sulla diffusione di misure e strumenti che vanno oltre gli obblighi prescritti per legge. Il diversity management (DM), è nato negli Stati Uniti e in contesti organizzativi di grandi dimensioni ed è un fenomeno relativamente recente in Italia. Tuttavia i cambiamenti demografici, della forza lavoro e dei processi produttivi così come l’incoraggiamento dall’Europa verso iniziative di DM stimolano un dibattito sull’adozione e l’ampliamento di tali misure.
Nel 2019 Istat e UNAR hanno realizzato, nell’ambito di un più ampio progetto di ricerca, un approfondimento sulle misure di diversity management per le diversità LGBT+ adottate dalle imprese con almeno 50 dipendenti dell’industria e dei servizi.
Il modulo ad hoc, inserito occasionalmente nelle indagini Istat “Rilevazione mensile sull’occupazione, orari di lavoro, retribuzioni e costo del lavoro nelle grandi imprese” (OCC1) e “Indagine trimestrale su posti vacanti e ore lavorate”, offre quindi una prima fotografia del fenomeno su scala nazionale (VELA).
I principali ambiti del DM in Italia
Nel 2019 gli ambiti prevalenti di applicazione del DM, non obbligatori per legge, tra le imprese con almeno 50 dipendenti dell’industria e dei servizi (Figura 1) sono la disabilità (15,9%) e il genere (12,7%) a indicare, nel primo caso, l’esigenza di accompagnare misure obbligatorie per legge come quelle relative all’inserimento lavorativo delle persone disabili (L. 68/99) e, nel secondo caso, la necessità ad esempio di sopperire ad alcune carenze strutturali del nostro sistema di welfare a fronte della maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro (es. iniziative di work-life balance). Seguono le misure legate alle diversità per età (10,4%), cittadinanza, nazionalità e/o etnia (9,7%) e alle convinzioni religiose (9%). Le imprese di grandi dimensioni sono più attive sul fronte del DM tanto che per tutti gli ambiti indicati la quota è più elevata, arrivando a riguardare, per le differenze di genere e disabilità, un’impresa su quattro fra quelle con almeno 500 dipendenti. Tra queste, i settori più inclusivi risultano essere i servizi per le imprese, il commercio, l’istruzione e la sanità.
Considerando le iniziative oltre gli obblighi di legge, al 2019 solo il 5,1% delle imprese (pari a oltre mille imprese) ha adottato almeno una misura per favorire l’inclusione LGBT+. La dimensione d’impresa si conferma un fattore discriminante per cui si passa dal 4,4% per le imprese di 50-499 dipendenti al 14,6% per le imprese di dimensioni maggiori.
Le misure di DM per le diversità LGBT+
Le misure maggiormente adottate per la valorizzazione e gestione delle diversità LGBT+ sono quelle destinate ai lavoratori transgender. In particolare, la possibilità per i lavoratori transgender di usare servizi igienici, spogliatoi, ecc. in modo coerente con la propria identità di genere è attuata dal 3,3% del totale; seguono le iniziative che garantiscono ai lavoratori transgender il diritto di esprimere la loro identità di genere in maniera visibile (2%) e le misure ad hoc a tutela della privacy dei lavoratori transgender che hanno intrapreso il percorso di transizione prima di entrare nell’impresa (1,6%). La realizzazione d’iniziative di promozione della cultura d’inclusione e valorizzazione delle diversità LGBT+ rappresenta la seconda misura più frequente (2,1%). Ancora poco diffusi gli eventi formativi sui temi legati alle diversità LGBT+ rivolti al top management (1,3%) e ai lavoratori (1,2%) così come permessi, benefit e altre misure specifiche per i lavoratori LGBT+, adottati in maniera molto residuale. Per tutte le misure la diffusione è maggiore in imprese di più grandi dimensioni.
Se oltre alle misure si considerano anche gli strumenti di DM, come l’adesione ai principi di non discriminazione e inclusione dei lavoratori e la presenza di figure o strutture organizzative che si occupano anche di diversità LGBT+, la quota di imprese impegnate su questo versante arriva al 18,5% (39,9% delle imprese con almeno 500 dipendenti) laddove a incidere è la formalizzazione dei principi in documenti interni. Tali dati non consentono tuttavia di conoscere quanto tali enunciazioni di principi trovino corrispondenza in pratiche trasformative e progetti concreti.
Per le differenze di orientamento sessuale e identità di genere, sembra prevalere in questa fase di avvio una visione del DM quale strumento soft per garantire un ambiente inclusivo e contrastare le discriminazioni. Di fatto, prevenire atti discriminatori all’interno dell’impresa è il motivo maggiormente indicato (segnalato da circa metà delle imprese), seguito dalla volontà di favorire il benessere, la soddisfazione e la motivazione dei lavoratori.
Quale futuro per il DM?
Nel complesso, solo il 3,5% delle imprese ha adottato misure non obbligatorie per legge per gestire e valorizzare le diversità tra i lavoratori legate a tutti i fattori considerati ovvero genere, età, cittadinanza, nazionalità e/o etnia, convinzioni religiose, disabilità, orientamento sessale o identità di genere (Figura 2). Oltre il 22% si è attivato in almeno uno dei sei ambiti analizzati. La dimensione aziendale si conferma un fattore determinante: considerando almeno un ambito, tra le imprese più grandi il DM arriva a interessare quasi 4 imprese su 10 con almeno 500 dipendenti mentre la quota di imprese impegnate su tutte le diversità è tre volte superiore, rispetto a quelle più piccole, riguardando il 10,9%.
Tali evidenze mostrano come il DM vada accompagnato e sostenuto affinché non diventi un modo per “scaricare” sulle imprese le mancanze del sistema di welfare e gli effetti di barriere, materiali e culturali, nei confronti di alcuni gruppi/diversità. È tuttavia importante che il dibattito sullo sviluppo del DM non venga semplificato come una “celebrazione” delle differenze, prescindendo quindi da un’analisi delle differenti possibilità materiali e simboliche di cui dispongono alcuni gruppi (es. le donne, le persone transgender) e dalla volontà di valorizzare i talenti individuali.
Si conferma inoltre l’esigenza di adattare il DM al contesto specifico (Lazazzara 2015) quale quello italiano, caratterizzato dalla presenza di numerose piccole e medie imprese, e allo scenario attuale segnato dagli effetti del Covid e dall’esigenza di ottimizzare i costi.
Con riferimento specifico alla gestione e valorizzazione delle diversità legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere, i margini di sviluppo appaiono, nello scenario attuale, ridotti: le imprese che non hanno mai adottato misure o strumenti di tale tipo, in quasi 8 casi su 10 motivano tale scelta sulla base del fatto che “non ne è emersa la necessità”; seguono motivazioni per cui “le misure di legge già approvate sono sufficienti”, “l’ambiente di lavoro è già inclusivo”, “l’inclusione LGBT+ non richiede misure ulteriori rispetto a quelle destinate a tutti i lavoratori”. Da segnalare che solo il 2,9% pensa di implementare, nei prossimi tre anni, misure o strumenti di DM per le diversità LGBT+.
Da qui l’importanza di monitorare il fenomeno nel tempo e incentivare una riflessione sul grado di conoscenza e consapevolezza dei datori di lavoro su tali temi e dei responsabili delle risorse umane su tali temi.
*Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle delle autrici e non coinvolgono l’istituzione di appartenenza.
Per saperne di più
Istat (2020). Il diversity management per le diversità LGBT+ e le azioni per rendere gli ambienti di lavoro più inclusivi, 11 novembre 2020.
Lazazzara, A. (2016). Le influenze culturali e istituzionali nel diversity management. Un confronto tra Italia, Francia, Svezia, Germania e Regno Unito. Studi organizzativi, 17(2): 74–100.
L’accordo di collaborazione stipulato da Istat e UNAR prevede la realizzazione di una serie di indagini al fine di costruire un “Quadro informativo statistico su accesso al lavoro e condizioni di lavoro di soggetti a rischio di discriminazione (persone LGBT, lesbiche, gay, bisessuali e transgender)”. L’esecuzione dell’accordo è sostenuta da un finanziamento garantito dalla disponibilità a valere sui fondi assegnati nell’ambito del PON Inclusione FSE 2014/2020 – Asse 3, Obiettivo specifico 9.2, Azione 9.2.3. Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori ma non coinvolgono le istituzioni di appartenenza.