Esiste un gender gap anche nello sport, agonistico e amatoriale? Eleonora Maglia ci propone un’originale lettura del mondo sportivo da una prospettiva di genere: emergono ritardi e iniquità persistenti, ma anche segnali incoraggianti
Nel corso dell’ultimo Campionato mondiale di calcio femminile, le ottime prestazioni della Nazionale italiana hanno richiamato l’attenzione dei media e dei social, entusiasmando anche i non-tifosi. Secondo il Centro Studi FIGC (2019), ad esempio, 28 milioni di persone hanno seguito le competizioni del torneo, un dato prossimo all’equivalente della Serie A Maschile (30,2 milioni). Inoltre l’hashtag #RagazzeMondiali ha raggiunto oltre 150mila menzioni, più dell’equivalente dedicato alla squadra vncitrice (#USWNT, 138mila) e al motto della FIFA World Cup (#DareToShine, 130mila). Tutto ciò ha corroborato l’auspicio che le progressive vittorie fossero un volano alla professionalizzazione delle calciatrici e più in generale all’emancipazione femminile, anche se da allora il Covid19 ha interrotto molti processi di sviluppo anche culturale, tra cui sfida per il definitivo raggiungimento della parità dei diritti. Ma qual è in proposito la situazione complessiva delle donne nello sport?
Lo sport è per tutte?
Come in altri settori, lo svolgimento dell’attività sportiva risente anche del genere e, secondo le rilevazioni Istat, se gli uomini sono sportivi con continuità nel 29,5 per cento dei casi (e nell’11,7 per cento saltuariamente), le donne sportive con continuità sono il 19,6 per cento (e l’8,1 per cento saltuariamente). È vero che negli ultimi 20 anni, la differenza tra generi si sta assottigliando ed è passata da +16,4 punti percentuali a +13,5 per cento, però rimangono gli stereotipi sull’attività praticata la maggior parte degli uomini sportivi gioca a calcio o calcetto (38,7 per cento) e la maggior parte delle donna pratica la ginnastica o l’aerobica (38,7 per cento).
Chi sale sul podio?
Anche altri elementi mostrano che la sportivizzazione femminile è un fenomeno in crescita costante (+4,1% contro un aumento del 2,8% tra gli uomini) e che sono le donne a comprendere meglio il legame tra sport e salute e a svolgere intenzionalmente sedute di allenamenti. L’analisi dei medaglieri olimpici mostra ad esempio che nel corso delle edizioni, le atlete pur numericamente inferiori raggiungono risultati crescenti nel tempo, mentre gli atleti esprimono performance altalenanti. Ciononostante, secondo le rilevazioni EIGE, il genere femminile rimane poi sottorappresentato negli organi decisionali (14 per cento del totale) delle istituzioni sportive sia locale che nazionale. Complessivamente è donna solo il 4 per cento dei Presidenti, il 9 per cento dei Vicepresidenti, il 15 per cento dei Membri dei consigli direttivi, il 22 per cento dei Direttori generali.
I noti e risalenti problemi socio-culturali (come il gender pay gap e il glass ceiling ma anche il work-life balance) sono quindi ostativi alla pratica costante: tuttora le sportive guadagnano in media il 30% in meno dei colleghi e il predominio maschile nelle professioni si riscontra anche in ambito sportivo e si traduce in una scarsa rappresentatività femminile ai vertici delle organizzazioni sportive (pari solo al 6% nelle federazioni internazionali e al 3% negli organi dirigenziali). La persistente distinzione dei ruoli nella società e nel mondo del lavoro si riverbera insomma anche nello sport, ma questa evidenza può essere anche una rampa di lancio. Canella et al. (2019) ad esempio argomentano che “lo sport non possa essere scisso dai processi sociali e come si colleghi saldamente al mutamento sociale e al sistema delle opportunità” (p.542) e che “la professionalizzazione dello sport per le donne potrebbe rappresentare una nuova sfida da vincere nei prossimi anni e un’altra medaglia da conquistare” (p.543).
Informazioni e progetti in corso
Se già nel 1979 la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna adottata all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha posto l’accento sulla necessità di assicurare l’equità di genere nello sport, evidentemente tuttora il diritto di competere e ad essere rappresentate deve essere ancora raggiunto. Ciò può avvenire a diversi livelli e in diversi modi, anche dal punto di vista delle infrastrutture e di una cultura libera da stereotipi. Ad esempio in alcune città europee già si studia come intervenire sui luoghi urbani per promuovere l’attività fisica delle donne nelle aree pubbliche, oppure si cerca di sensibilizzare gli allenatori e gli istruttori e liberare così i campi di allenamento e di gara dagli stereotipi (a tal scopo il progetto Le sport egal, fare leva sullo sport per affrontare le disuguaglianze di genere finanziato dalla Comunità europea attraverso il programma Erasmus+). Intanto iniziare a conoscere i dati dei successi delle sportive potrebbe corroborare la pratica sportiva nel genere femminile, anche cogliendo l’occasione di una futura progressiva ripresa degli allenamenti e riapertura degli stabilimenti.
Riprendendo il riferimento iniziale al calcio, ci sono anche recenti notizie che sanciscono importanti traguardi femminili raggiunti: Sara Gama che, capitano della Juventus e della Nazionale, è ora la prima vicepresidente donna dell’Associazione Italiana Calciatori e Stephanie Frappart che è stata la prima arbitro donna designata per una partita di Champions League maschile (Juventus-Dinamo Kiev), oltre, più in generale, l’approvazione di cinque decreti di riforma dello sport, tra cui il professionismo femminile.