La bassa fecondità italiana non è uguale per tutte le aree del Paese. Chiara Degan, stimando la fecondità a livello comunale con un nuovo metodo demografico, ci mostra la geografia della fecondità italiana, evidenziando le zone a maggior rischio di malessere demografico, ma anche qualche isola felice, in cui la fecondità supera il livello di rimpiazzo.
Ormai non è una novità che l’Italia sia uno dei paesi con i più bassi livelli di fecondità d’Europa e che il numero di nascite diminuisca inesorabilmente di anno in anno. L’ultimo rapporto dell’Istat mostra che nel 2019 il numero medio di figli per donna è stato pari a 1.29. Ma che significato ha questo valore medio, considerata la forte disomogeneità territoriale che caratterizza da sempre il nostro Paese? Si possono individuare isole “felici” in cui la fecondità è prossima al livello di rimpiazzo e zone ad alto rischio, per cui eventualmente predisporre politiche di sostegno mirate?
La bassa fecondità non è uguale per tutti
Se è vero che le diverse aree territoriali del Paese si differenziano sia per condizioni economiche che per l’adesione a modelli culturali differenti, non stupisce che anche la fecondità vari sensibilmente nel territorio italiano: infatti, da anni ormai si registra un tasso di fecondità (TFT, numero medio di figli per donna) più elevato nelle regioni settentrionali rispetto al resto della penisola (nel 2019, è pari a 1.39), superiore a quello osservato nel Mezzogiorno (1.26) e nel Centro (1.25). Ma entrando più nel dettaglio, emergono marcate i differenze anche a livello provinciale. Sorprendono i più alti livelli di fecondità osservati, ad esempio, nella provincia autonoma di Trento, con 1.43 figli per donna ,e ancor più in quella di Bolzano con 1.69, un livello superiore a quello medio europeo.
La mappa della fecondità a livello comunale
Per individuare meglio le aree di bassissima fecondità, sarebbe importante poter disporre di dati a livello comunale, perché solo con una mappa a maglia fine possono emergere le differenze più interessanti e si possono disegnare politiche mirate a sostenere la fecondità.
La bassa numerosità della popolazione, però, rende difficile stimare il numero di figli per donna per ogni comune. Noi ci abbiamo provato con un nuovo metodo che permette di stimare il tasso di fecondità a partire dalla sola struttura per età e sesso della popolazione1. Con tale metodo abbiamo costruito la mappa in fig.1 che illustra la geografia della bassa fecondità italiana.
Osservando la Figura 1, il tasso di fecondità totale appare chiaramente più alto nel Nord del Paese e sembra diminuire gradualmente lungo le zone appenniniche. In particolare nella maggior parte dei comuni del Trentino Alto-Adige e dintorni si registrano valori del tasso di fecondità pari o addirittura superiori a 2. Al contrario, ci sono piccoli comuni tra i confini delle regioni di Liguria, Piemonte e Emilia-Romagna e nella parte settentrionale del Friuli-Venezia Giulia, che presentano valori estremamente bassi. Anche in alcune aree del Lazio e dell’Abruzzo si registrano livelli di fecondità particolarmente scarsi, soprattutto lungo le zone dell’Appennino meridionale come le aeree centrali di Molise e Campania, o l’intera Basilicata. Per quanto riguarda la Sicilia invece si stimano valori bassi ad occidente, nei comuni al confine tra le province di Agrigento e Palermo. In Sardegna infine sembra esserci una fecondità inferiore nell’entroterra e nella parte più a sud-ovest dell’isola.
Questi risultati devono far riflettere sulle cause sottostanti a tali disparità, per cercare di porre rimedio alle situazioni di rischio e magari comprendere il segreto dalle realtà in cui la fecondità è più alta. Nella mappa sono ben individuabili in colore più scuro le zone in cui i valori sono particolarmente bassi (minori di 1.25) e in cui sarebbe necessario adottare in maniera più urgente opportune politiche volte a contrastare la bassissima fecondità. Le zone gialle, invece rappresentano le “isole felici” dove la fecondità supera addirittura i due figli per donna.
Stime indirette, ma affidabili
Possiamo fidarci di tali risultati? Come specificato in precedenza, il metodo di stima si basa sulle informazioni riguardanti la struttura per età della popolazione dei comuni. Di conseguenza, rientra nei cosiddetti metodi di stima indiretta che forniscono semplicemente un’approssimazione del vero valore del numero medio di figli per donna, ma non permettono di calcolarlo con esattezza. In particolare, la stima rischia di essere più imprecisa quando abbiamo a che fare con un comune dalla popolazione molto esigua, tale da rendere difficoltoso il calcolo e portare a stime poco credibili. Per tali comuni si è omesso di includere i valori stimati nella mappa.
Un’altra componente importante che potrebbe influenzare la qualità delle stime sono le differenze di mortalità infantile. Poiché sappiamo che l’Italia è tra i paesi che presenta i valori più bassi (la probabilità di morte entro i primi 5 anni di vita va da un minimo del 2 per 1000 a un massimo del 6 per mille) riteniamo che le diversa distribuzione all’interno del paese della mortalità dei bambini influisca molto poco sulla precisione della stima (che utilizza un livello di mortalità infantile medio).
Anche se i valori di fecondità mostrati nella mappa sono stime approssimate, dunque, sono affidabili e si rivelano preziose per individuare le zone con i più bassi livelli di fecondità al fine di proporre delle politiche mirate sul territorio.
Cosa c’è dietro a queste differenze?
Ma cosa c’è dietro queste differenze? Il calo drastico delle nascite, iniziato negli anni 70 fino agli anni 90, ha portato ad una progressiva riduzione anche della popolazione femminile in età riproduttiva. Coloro che sono nate a metà degli anni 60, figlie del cosiddetto “baby boom”, sono ormai uscite dalla fase riproduttiva: infatti, nel 2019 la classe più numerosa della popolazione femminile aveva tra 50 e 54 anni. Dal momento che le potenziali madri sono diminuite anche le nascite si riducono, a parità di numero medio di figli per donna. Questa aspetto strutturale riguarda di fatto tutto il paese.
Ma recentemente è aumentata di nuovo anche la consistenza dell’emigrazione, soprattutto dei giovani, dal mezzogiorno al settentrione, sia per ragioni economiche e lavorative, sia per motivi familiari. Ciò comporta inevitabilmente una maggiore concentrazione delle donne in età fertile nelle regioni del Nord e, contemporaneamente, uno spopolamento dei piccoli comuni del Centro e del Sud. Individuare i comuni in cui questo fenomeno risulta particolarmente accentuato potrebbe essere utile per un decisore politico che volesse definire politiche mirate a contrastare il “malessere demografico”.
1 Schertmann & Hauer (2020). «Population Pyramids Yield Accurate Estimates of Total Fertility Rates». In: Demography, pp. 221–241.