Pur eletto con un programma benigno sulla questione migratoria, il Presidente del Messico ha dovuto rovesciare la sua politica, anche per la forte pressione, quasi un ricatto, di Trump. Ce ne parla Massimo Livi Bacci: muri, manette e deportazioni fanno una pessima politica migratoria, ma i 60 milioni di Hispanics che vivono negli Stati Uniti hanno un peso politico crescente nell’agone politico.
La frontiera tra Stati Uniti e Messico, segnata per buona parte della sua lunghezza dal Rio Grande, rappresenta da oltre un secolo il confine più netto tra Nord e Sud del mondo. Storicamente è un confine recente, formalmente tracciato dopo la dissoluzione dell’impero coloniale spagnolo, ma fino ai primi decenni del secolo scorso era ancora incerto ed estremamente poroso. La faglia economica e sociale tra i due paesi, antica quanto la colonizzazione del continente, si è approfondita nel corso del tempo: nel 2018, secondo la Banca Mondiale, gli Stati Uniti vantavano un Pil pro-capite (calcolato a parità di potere di acquisto, o PPP) più che triplo di quello del Messico (61.000 dollari contro 20.000)1. L’impetuosa crescita demografica del Messico che tra il 1950 e il 2020 ha quasi quintuplicato la sua popolazione ha generato ulteriori potenti fattori di spinta alla migrazione, attenuati solo negli ultimi due decenni. A Sud del Messico, nella turbolenta America centrale, vivono 45 milioni di abitanti: anche qui la faglia economico-sociale che li separa dalla società messicana è molto pronunciata. Il Messico ha un Pil pro-capite che è più che doppio di quello di Guatemala, Salvador e Honduras, confinanti e vicini del sud (il cosiddetto “Triangolo del Nord”). Una faglia che non è solo economica, poiché è approfondita dalla violenza e dall’insicurezza generate dall’elevatissima criminalità e dalla cruenta guerra per bande. Nell’ultimo quinquennio, poi, la crisi si è aggravata per fattori climatici – il cosiddetto “corridoio della siccità” traversa il Triangolo del Nord – che hanno fortemente impoverito le popolazioni rurali, acuendo i fattori di spinta alla migrazione verso nord2.
Due Presidenti ai poli opposti uniti dal populismo
La grande migrazione che da Sud preme verso il Messico, e dal Messico verso gli Stati Uniti, è una questione di rilevante e complessa portata che ha condizionato fortemente la lotta politica nei paesi coinvolti. Il caso più clamoroso è quello delle elezioni presidenziali del 2016 che hanno portato Trump alla Casa Bianca, facendo leva sui sentimenti di forte opposizione e ostilità all’immigrazione animati dalle promesse elettorali di espellere gli irregolari (oltre 11 milioni) e di costruire il Muro (lo scriviamo con la M maiuscola per il suo significato simbolico, figura 1). In Messico, Andrés Manuel López Obrador (detto anche AMLO) fu eletto nel dicembre del 2018 con un programma basato sulla protezione e il rispetto dei diritti dei migranti (era il periodo delle “carovane” di migranti che dal Guatemala risalivano il Messico e premevano sul confine con gli Stati Uniti) e sulle “braccia aperte” per i migranti provenienti dal sud. Del resto, la tolleranza verso le migrazioni irregolari dagli altri paesi iberoamericani, accomunati da cultura, lingua e religione, aveva una lunga tradizione in America Latina. La realtà si è però incaricata di svuotare le politiche dei due Presidenti, provenienti da poli politici opposti, ma accomunati da spirito populista. AMLO ha dovuto ribaltare la sua politica, e Trump sta constatando (forse) che la questione migratoria non si risolve con muri e manette.
Qualche dato
Prima di dare qualche dettaglio in più sulle politiche in atto, è utile dedicare qualche considerazione alle tendenze demografiche nel continente americano centrosettentrionale (Tabella 1). Nel 1950 il Messico aveva 28 milioni di abitanti, gli Stati Uniti 159; nel 2050 secondo le ultime proiezioni (variante media) delle Nazioni Unite, i primi saranno 155 milioni, i secondi 379. Nel 1950 la popolazione messicana era il 18% di quella statunitense, ma il rapporto è cresciuto al 39% nel 2020, e raggiungerà il 41% nel 2050. Le due popolazioni stanno oramai crescendo quasi di pari passo, la natalità dei messicani essendo oggi poco discosta da quella dei vicini del nord (rispettivamente 2,1 e 1,8 figli per donna nel 2015-20). I flussi migratori verso nord, provenienti dal Messico (in prevalenza) e da altri paesi latinoamericani, hanno determinato il rapido sviluppo della popolazione che i censimenti americani definiscono hispanic (che non include, si badi bene, i pochi immigrati dalla Spagna), che è oramai diventata la “minoranza” etnica più numerosa nel paese: persone di origine latino-amerricana che vivon negli Stati Uniti. Gli hispanics censiti furono 9,6 milioni nel 1970 (4,6% della popolazione totale), mezzo secolo dopo, nel 2020, hanno superato i 62 milioni (18,8%), e si prevede che sfiorino i 100 milioni nel 2050 (26,3%), nonostante un’attenuazione dei flussi di immigrazione ed una minore esuberanza demografica3. Tra le varie minoranze, gli hispanics hanno i livelli socioeconomici più bassi per reddito, livello d’istruzione o la qualità del lavoro. Oltre sessanta milioni di hispanics oggi, destinati a diventare cento milioni alla metà del secolo, rappresentano un bacino di voti che nessun politico può permettersi di ignorare. Nelle elezioni presidenziali del 2012, il 71% degli hispanics votarono per Obama, una percentuale scesa al 66% per il voto alla Clinton nel 2016. Di recente le indagini hanno segnalato un certo indebolimento del tradizionale sostegno al candidato democratico Biden, che adesso sta correndo ai ripari nella campagna elettorale. A sud del Rio Grande, le rimesse degli immigrati, rappresentano un cospicuo sostegno economico per le collettività di origine: si stima che rappresentino il 10-11% del Pil negli stati del sud del Messico – Oaxaca, Michoacán, Guerrero – e ancora di più nel Triangolo del Nord. Questi dati fanno capire come la questione migratoria vada ben oltre il tema del controllo dei flussi e costituisca un nodo centrale per la società americana.
Trump all’assalto: successi e rovesci
Tornando alle politiche, una recente analisi delle ultime azioni dell’amministrazione Trump suggeriva questa sintesi: “Oltre al significato simbolico del Muro, l’amministrazione ha schierato diverse migliaia di uomini, militari e truppe della Guardia Nazionale, per sorvegliare il confine sudoccidentale; ha ridotto l’accesso al sistema dell’asilo con una pluralità di provvedimenti restrittivi; ha rimpatriato in Messico gli immigrati in attesa delle pronunce sulle loro domande di asilo; ha continuato a separare le famiglie, nonostante dichiarazioni contrarie; ha confermato la detenzione di minori in ambienti sovraffollati e non predisposti per la loro detenzione; ha ridotto gli aiuti al Salvador, al Guatemala e all’Honduras, perché non riescono a ridurre l’emigrazione, e più recentemente ha minacciato un aumento delle tariffe doganali contro il Messico per forzarlo a irrigidire i controlli alla frontiera col Guatemala4”. Trump inoltre ha fatto della costruzione del Muro una priorità: si tratta di una enorme barriera di pali di acciaio, con un’anima di cemento, alti oltre 9 metri, affondati per quasi due metri in una fondazione di cemento, e sovrastati da una ulteriore barriera continua fatta di lastre di acciaio alte un metro e mezzo. E’ una barriera praticamente invalicabile, oltreché gigantesca, con forte impatto ambientale, e un costo valutato in 25 milioni di dollari a miglio (14,3 milioni di euro a chilometro). Un Muro che sostituirà, in una prima fase, le 600 miglia di barriere (in molti tratti facilmente valicabili) costruite dalle amministrazioni precedenti nei tratti cruciali del confine (Figura 2). Trump ha anche subito dei rovesci: il maggiore riguarda il tentativo (nel 2017) di abolire il DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals) un provvedimento dell’amministrazione Obama che, vista l’impossibilità di fare approvare dal Congresso il complesso progetto di riforma delle leggi sull’immigrazione, mirava a escludere dalla deportazione i minori arrivati negli Stati Uniti al seguito di genitori immigrati irregolarmente. Oggi il DACA, sospeso ma non abolito, garantisce 650.000 persone dalla possibile deportazione e si stima che gli aventi diritto siano più del doppio. Il nuovo tentativo di abolizione del DACA è stato bocciato dalla Corte Suprema lo scorso Giugno (Trump ha commentato con la solita eleganza, in un tweet, la sentenza: “…uno sparo in faccia alle persone fiere di chiamarsi Repubblicani o Conservatori”).
Andrés Manuel López Obrador (AMLO): si chiudono le braccia aperte
Dal lato messicano, le promesse di AMLO candidato sono state ribaltate da AMLO Presidente. La politica delle “braccia aperte” era possibile di fronte alle poche migliaia di migranti del passato, non più con le attuali centinaia di migliaia provenienti da sud e in gran parte composte da nuclei familiari. Anche il Messico è povero, con infrastrutture carenti, masse in povertà, un vasto settore informale nel quale possono infiltrarsi i migranti, ma con poco ossigeno per i nuovi arrivati. Ma il ribaltamento della politica messicana è avvenuto per la pressione – o meglio, il ricatto – dell’amministrazione americana. Questa ha minacciato un aumento del 25% sulle tariffe doganali dei prodotti importati dal Messico se questo non avesse controllato i flussi di immigrazione provenienti dal centroamerica che attraversando la frontiera del Guatemala premono sulla frontiera del nord con gli Stati Uniti. Così nel giugno del 2019 è stato sottoscritto un patto nel quale il Messico si è impegnato ad uno stretto controllo della frontiera guatemalteca con il dispiego finale di 20.000 uomini della Guardia Nazionale. Inoltre con il programma Remain in Mexico, il Messico ha acconsentito a riprendersi i migranti non messicani provenienti dal Triangolo del Nord, che hanno presentato domanda di asilo negli Stati Uniti, in attesa delle pronunce delle autorità, garantendo accesso al lavoro, sanità e istruzione5.
Le dure politiche messe in atto hanno fortemente ristretto (almeno fino a oggi) i flussi sud-nord6; nel contempo hanno moltiplicato le violazioni dei diritti umani dei migranti, accrescendone la vulnerabilità. Né si vede all’orizzonte nessuna azione capace di ricondurre i flussi migratori a quella funzione di riequilibrio delle disparità di sviluppo che dovrebbe essere l’obbiettivo di una saggia politica.
1Per quanto riguarda il Pil pro-capite in dollari correnti, il divario è molto più forte: 65.300 $ gli Stati Uniti, 9.900$ il Messico Nella media dei paesi del Triangolo del Nord (si veda il testo poco oltre) il Pil pro-capite in dollari correnti era, alla stessa data, pari a 4.000 $ e in dollari PPP pari a 8.000 $. I dati sono della Banca Mondiale.
2 Il Dry Corridor (Corridoio della Siccità) include parti di Nicaragua, Honduras, Salvador e Guatemala. Dal 2014, questa zona è affetta da un ciclo siccitoso senza precedenti che ha implicato forti perdite di produttività e di raccolti, migrazione di agricoltori e manodopera agricola, precarie condizioni alimentari ed è considerato, assieme alla violenza, alla povertà generalizzata, uno dei fattori della spinta migratoria verso il nord. In questo corridoio vivono 4,1 milioni di abitanti in Honduras, 1,1 in Guatemala e 0,5 nel Salvador.
3 Tra il 1990 e il 2020, il Centro America (Messico incluso) ha avuto una emigrazione netta pari a 11,5 milioni di persone (per i due terzi messicani). Il saldo del Messico, tuttavia, si è ridotto fortemente nell’ultimo decennio.
4R. Capps, D. Meissner, A.G. Ruiz Soto, J. Bolter, S. Pierce, From Control to Crisis, Migration Policy Institute, Agosto 2019.
5 Ariel G. Ruiz Soto, One Year after the US Mexico Agreement, Reshaping Mexico’s Migration Policies, Migration Policy Institute, MPI, June 2020.
6 Dall’Ottobre del 2019 al Maggio del 2020 la guardia di frontiera americana ha intercettato 20.000 minori non accompagnati, e 43.000 persone che viaggiavano in gruppi familiari, una diminuzione fortissima rispetto allo stesso periodo del 2018-2019, quando i minori furono 56.000 e le persone in famiglia 333.000.
7Fonte figura 2 – webuildthewall.us