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Status giuridico e permessi di lavoro: consumi degli immigrati e domanda aggregata del paese ospitante

A fronte delle restrizioni alle frontiere seguite allo scoppio della pandemia, vari paesi hanno considerato l’adozione di programmi di regolarizzazione per gli immigrati coinvolti nel settore agricolo o in quello dell’assistenza a domicilio. Effrosyni Adamopoulou e  Ezgi Kaya sfruttano l’allargamento dell’Unione europea nel 2007 come esperimento naturale per illustrare come regolarizzare gli immigrati clandestini o snellire le procedure burocratiche per i permessi di lavoro agli immigrati regolari possa avere un impatto positivo sulla domanda aggregata nazionale. 

La pandemia di COVID-19 ha riportato alla ribalta il tema del ruolo degli immigrati nel tessuto sociale e produttivo dei paesi ospitanti. Sempre più paesi hanno considerato di regolarizzare gli immigrati clandestini coinvolti nel settore agricolo o in quello dell’assistenza a domicilio, che con le restrizioni ai passaggi di frontiera mirate al contenimento della pandemia non possono più liberamente circolare per rispondere alla domanda di forza lavoro espressa da imprese e famiglie. Per esempio, in Portogallo si è reagito al problema già a marzo promulgando permessi di soggiorno temporanei a immigrati e richiedenti d’asilo in attesa. A maggio avanzato, dopo un mese di discussioni, anche l’Italia ha previsto di legalizzare lo status degli immigrati clandestini impiegati nel settore agricolo e di assistenza domestica e concesso permessi temporanei a lavoratori precedentemente occupati in questi settori e con permessi scaduti (Bonifazi e Strozza, neodemos 2020).

La permanenza di questi lavoratori nei paesi ospitanti è oggetto di un vivace dibattito politico. Un elemento cui si presta poca attenzione è il contributo che essi possono dare al sostegno della domanda interna. In un recente articolo (Adamopoulou and Kaya, 2020), dimostriamo che garantire uno status giuridico agli immigrati clandestini e snellire le procedure burocratiche per gli immigrati regolari possono avere un impatto positivo sulla domanda aggregata del paese che li ospita. In particolare, consideriamo l’allargamento dell’Unione europea (UE) avvenuto nel 2007 come un esperimento naturale, analizzando se e tramite quali canali l’estensione della cittadinanza europea ai cittadini dei nuovi paesi membri abbia avuto un impatto sui consumi degli immigrati originari della Romania e della Bulgaria.

La figura 1 mostra i consumi medi mensili degli immigrati residenti in Italia prima del 2007 provenienti dai nuovi Stati membri e dai paesi candidati¹ a far parte dell’UE. Si evince chiaramente come i cittadini rumeni e bulgari residenti in Italia avessero consumi mensili medi stabilmente più bassi rispetto a quelli degli immigrati dai paesi candidati a diventare parte dell’UE. A seguito dell’accesso, l’aumento dei consumi degli immigrati provenienti dai nuovi stati membri è stato più marcato, assottigliando le differenze con gli altri gruppi di immigrati. Tale evidenza descrittiva è confermata dall’analisi econometrica (stime difference-in-difference).

Perchè l’aumento nei consumi?

Le informazioni contenute nei sondaggi della Fondazione ISMU² permettono di far luce sui meccanismi che possono aver portato alla crescita dei consumi dei cittadini rumeni e bulgari dopo l’allargamento del 2007.

L’incertezza riguardo lo status giuridico può avere un effetto negativo sull’attività e sulla a spesa degli immigrati, inducendoli a un risparmio precauzionale. Con l’allargamento dell’UE nel 2007, gli immigrati rumeni e bulgari hanno ottenuto immediatamente la cittadinanza europea, con una risoluzione automatica di tale incertezza.

Quelli che erano immigrati irregolari hanno avuto una crescita sui redditi da lavoro, spostandosi dal settore informale a quello formale. Di conseguenza, hanno aumentato le spese alimentari, le spese in vestiario e in altri generi di prima necessità.³ Anche gli immigrati regolari hanno aumentato i loro consumi, per lo più in beni durevoli, dato che l’accesso all’UE ha eliminato il rischio di un mancato rinnovo del permesso di lavoro negli anni a venire.

L’accesso all’UE ha quindi comportato benefici immediati per l’Italia per il contributo dei nuovi cittadini alla domanda aggregata. Va qui considerato peraltro che l’Italia è stato l’unico paese di grande dimensione in Europa a non prolungare le restrizioni all’accesso al mercato del lavoro domestico per i cittadini rumeni e bulgari, permettendo quindi che l’impatto sulla domanda nazionale si concretizzasse immediatamente.[4]

Conclusioni

Benché le politiche di regolarizzazione siano di solito difficili da attuare a causa dell’elevato costo politico che comportano, i nostri risultati confermano che snellire le procedure burocratiche ed estendere la durata dei permessi di lavoro degli immigrati regolari possano avere effetti benefici anche dal lato della domanda aggregata, oltre a garantire il contributo essenziale che l’immigrazione fornisce al sistema produttivo e all’assistenza domestica.

Bibliografia

Adamopoulou, E, e E Kaya (2020), “Not just a work permit: EU citizenship and the consumption behavior of documented and undocumented immigrants”, Canadian Journal of Economics, in corso di pubblicazione.

Bonifazi, C, e S Strozza (neodemos  2020), La regolarizzazione al tempo del coronavirus.

Dustmann, C, F Fasani e B Speciale (2017), “Illegal migration and consumption behavior of immigrant households”, Journal of the European Economic Association, 15(3), 654-691.

Mastrobuoni, G e P Pinotti (2015), “Legal status and the criminal activity of immigrants”, American Economic Journal: Applied Economics, 7(2), 175-206.

note

¹Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Cossovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Turchia.

² Fondazione Iniziative e Studi sulla Multietnicità (ISMU), sondaggi 2004-2012.

³Dustmann et al. (2017) rilevano che le regolarizzazioni aumentano i consumi degli immigrati. Mastrobuoni e Pinotti (2015) dimostrano un calo nei reati commessi da immigrati a seguito dell’allargamento del 2007.

[4] La Bulgaria e la Romania entrarono nell’UE il 1 gennaio 2007. Tuttavia, i trattati di adesione permisero agli Stati membri di imporre temporanee restrizioni all’ingresso per motivi di lavoro dei cittadini bulgari e rumeni fino a sette anni dopo l’adesione. La maggioranza degli Stati europei, fra cui anche l’Italia, annunciarono restrizioni per evitare eccessivi flussi migratori. Di conseguenza, i cittadini rumeni e bulgari avrebbero continuato ad aver bisogno di un permesso di lavoro. Tuttavia, il 28 dicembre 2006, tre giorni prima dell’entrata nell’UE, l’Italia eliminò queste restrizioni.

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