A 100 anni dal Trattato di Versailles, Massimo Livi Bacci ricorda l’entità del massacro di militari e di civili causato dalla Grande Guerra, forse senza precedenti nella storia, se non nella lontana guerra dei Trenta Anni. Le enormi perdite però, più che alla letalità delle moderne armi, furono dovute all’estensione territoriale del conflitto, che òasciò duratre cicatrici nelle popolazioni del continente.
Il 28 giugno del 1919, nel salone degli specchi di Versailles, fu firmato il trattato di pace che mise fine al conflitto mondiale. Sulle discussioni delle delegazioni guidate dai “quattro grandi”(Clemenceau, Lloyd George, Orlando e Wilson), pesò come un macigno il bilancio finale dell’ecatombe provocata dalla guerra. Dieci milioni e più di militari morti, da una parte e dall’altra; un numero imprecisato – ma di analogo ordine di grandezza – di civili; carestie, esodi di massa, prigionie, distruzioni di case, infrastrutture, opifici. In questa nota ci soffermiamo sulle perdite umane e sulle conseguenze demografiche della guerra – quelle dirette e quelle mediate – che lasciarono cicatrici che sono rimaste iscritte a lungo nelle popolazioni coinvolte. Nella parte fnale del conflitto, ai decessi sui campi di battaglia, negli ospedali, nelle retrovie, si sommarono quelli provocati dalla pandemia influenzale (la “spagnola”), attizzata e diffusa dagli sconvolgimeni provocati dalla guerra.
I massacri di massa nell’Ottocento
Si è detto, con qualche ragione, che l’ecatombe avvenuta durante la Grande Guerra non ha avuto uguali nel passato, sia per l’estensione geografica del conflitto, sia per effetto della maggiore letalità degli armamenti. Andando un po’ più a fondo però, risulta che questa discontinuità della Grande Guerra, rispetto ai conflitti del passato, sia da ascriversi più alla prima causa (l’estensione), che alla seconda (letalità delle armi). Qualche esempio storico: le perdite militari francesi durante il Primo Impero (1803-1815) si avvicinarono al milione di unità. Secondo accurati calcoli, la generazione di uomini nati in Francia tra il 1790 e il 1795 perse il 20,5% dei suoi effettivi, poco meno delle perdite, dovute alla Grande Guerra, subite dalla generazione nata nel 1891-96, pari al 24,5%. Nella guerra civile americana, (che fece tra le 600.000 e le 750.000 vittime nei due eserciti), le armate nordiste subirono perdite pari al 10% della popolazione tra i 20 e i 45 anni, mentre le perdite nelle armate sudiste furono addirittura pari al 30% della popolazione tra i 18 e i 40 anni1. I francesi persero 149.000 uomini nella breve guerra Franco-Prussiana del 1870-71, e ben 17.000 uomini nella sola battaglia di Sedan, che durò poco più di due giorni.
Le perdite militari…
Le stime delle perdite militari sono abbastanza affidabili, poiché quasi tutti gli stati belligeranti avevano amministrazioni attente ed efficienti, e nonostante l’eccezionalità delle situazioni, produssero dati attendibili circa le perdite subite. Tuttavia i criteri della raccolta di dati variavano da paese a paese: i dati relativi all’Italia, per esempio, includono nel totale dei 651.000 militari morti, 378.000 morti in azione o a seguito delle ferite riportate; 186.000 morti di malattie, e 87.000 invalidi per cause connesse col conflitto e deceduti dopo la fine della guerra, dal novembre 1918 all’aprile del 19202. Difficoltà di vario tipo, inoltre, riguardano il conteggio dei militari morti in prigionia, i dispersi, i disertori, le esecuzioni sommarie. La Tabella 1 riporta, per i maggiori paesi belligeranti, il numero delle perdite e la loro incidenza sul totale della popolazione e sul totale della popolazione in età attiva (15-64 anni). Nella media, 2,1 decessi per 100 abitanti e 7,8 decessi per 100 abitanti maschi attivi; si tratta di una media di situazioni molto diverse, con incidenza minima nel Belgio (rispettivamente 0,8 e 2,4%) ed una massima in Serbia (8,2 e 36,1%). L’Italia si situa poco sotto la media (1,8 e 6,1%). Le perdite dell’Alleanza furono il 56% del totale, e quelle degli Imperi centrali il 44% residuo3 (vedi anche le Figure 1 e 2).
…e quelle civili
A queste perdite dirette, vanno aggiunte quelle avvenute nella popolazione civile. I civili deceduti per cause belliche dirette (bombardamenti, uccisioni) furono relativamente pochi rispetto ai decessi civili nella seconda guerra mondiale. Ma la guerra provocò ovunque un rialzo della mortalità dovuto alla fame e alla carestia, alla recrudescenza delle malattie infettive, alla crisi dei sistemi sanitari, agli spostamentii forzati e ad altri fattori conseguenti agli sconvolgimenti che colpirono in modo diverso i vari paesi. Abbiamo poi fatto cenno alla pendemia influenzale, iniziata nel 1918 e esauritasi due anni dopo, i cui effetti letali furono sicuramente aggravati dagli eventi bellici. La Tabella 2, tratta da un meticoloso lavoro fatto durante la guerra da ricercatori dell’Università di Princeton, per conto della Lega delle Nazioni4, fornisce altri interessanti dati. Anche in questo caso ci si riferisce a 10 paesi, ma rispetto alla tabella precedente, non appaiono la Russia e l’Impero Ottomano, e sono incluse la Romania e la Grecia. Oltre alla stima delle perdite militari (non coincidenti ma vicine a quelle indicate nella Tabella 1), si include una stima del surplus delle perdite civili (ottenuto sottraendo ai decessi effettivi quelli teorici ottenuti supponendo una mortalità, durante gli anni guerra, uguale a quella del quinquennio precedente alla guerra). L’insieme delle morti civili e militari ammonta ad una media del 4% per i 10 paesi (Francia, Italia e Germania sono attorno alla media), con punte del 9% della Romania e addirittuta del 23% per la Serbia.
L’enigma delle mancate nascite
La Tabella 2 azzarda anche una valutazione del “deficit” di nascite, ma il terreno qui è scivoloso. L’eccesso di decessi provocato dalla guerra è un dato di fatto e il solo problema, ancorché di non facile soluzione, è quello di misurarlo correttamente. La misura del deficit di nascite è concetttualmente problematica. Infatti, in caso di disastro (una guerra, un’epidemia…) “contenere” le nascite è una risposta razionale, perché rafforza le capacità di sopravvivenza degli individui e della collettività. Il deficit pertanto è in parte dovuto, direttamente, alla guerra (decessi di giovani, separazione delle coppie), e in parte alla decisione volontaria di evitare il gravame di una nascita in una fase di forte vulnerabilità. Nella Tabella 2, le “mancate nascite” vengono valutate applicando alla popolazione degli anni di guerra la natalità (presuntiva) dei tempi di pace, e calcolando la differenza rispetto ai nati effettivi (si veda anche la Figura 3 con riferimento alla Germania e alla Francia). Per i 10 paesi considerati, il deficit di nascite così misurato è pari a circa 12 milioni; aggregando questa cifra alle perdite militari e a quelle civili (6,5 e 4,4 milioni), si giunge ad una stima della perdita di “potenziale” demografico pari a 22,9 milioni, l’8,8% della popolazione del 1914. E tra questi paesi non è inclusa la Russia-Unione Sovietica, che alle perdite conseguenti alla partepazione alla Grande Guerra dovette sommare quelle conseguenti alla guerra civile.
La complessità delle conseguenze demografiche del conflitto
Lo shock demografico della Grande Guerra fu indubbiamente fortissimo. Nel nostro continente solo la Guerra dei Trent’anni nell’Europa centrale, o le grandi ondate di peste nel XIV e nel XV secolo, ebbero un impatto superiore. Si tenga conto che le perdite militari si concentrarono nella popolazione maschile in giovane età, e che il numero di coloro che rimasero traumatizzati e invalidi fu molto elevato, con conseguenze a lungo termine sulla salute pubblica e sul sistema saitario. C’è poi qualche evidenza (provata per la Gran Bretagna) di una maggior mortalità tra i graduati che non nella truppa, e quindi di una perdita più che proporzionale tra gli individui con maggiore istruzione e competenze. Inoltre lo squilibrio tra giovani dei due sessi, già forte per l’alta emigrazione maschile precedente alla guerra, ebbe conseguenze di rilievo sul mercato matrimoniale. Infine, vedove e orfani accrebbero la vulnerabilità sociale. E tutto questo si produsse, nel dopoguerra, nel contesto del generale ridisegno dei confini degli stati nell’Europa centrale e orientale, che coinvolse cospicui trasferimenti forzati di popolazione.
1Jacques Houdaille, Pertes de l’arméé de terre sous le premier Empire, d’après les registres matricules, Population, 27, n. 1, 1972, pp. 27-50
2 Giorgio Mortara, La Salute pubblica in Italia durante e dopo la Guerra, G. Laterza & figli, 1925, pp. 28-29, 165.
3 Antoine Prost, War Losses, in Encyclopedia of the First World War,
4 Frank W. Notestein e altri, The Future Population of Europe and the Soviet Union: Population Projections, 1940-1970, League of Nations, Geneva, 1944, p. 75
Fonte figura 2 – wikimedia.org
Fonte figura 3 – Guillaume Vandenbroucke, On a demographic consequence of the First World War, 2012