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In-visibili. La presenza Rom e gli insediamenti spontanei nell’area metropolitana Milanese

Ci sono stati anni in cui non si parlava che di Rom poi i media e il dibattuto pubblico si sono concentrati su altre emergenze. Ora tornano alla ribalta per motivi politici. Come ci spiega Patrizia Farina, l’indagine condotta da Caritas Ambrosiana adotta un punto di vista diverso raccontando la storia migratoria e le condizioni materiali di vita di una parte di questa popolazione.

Della presenza Rom¹ esistono stime che la valutano, in Europa, tra 10 e 12 milioni di persone, in Italia 150/180 mila; solo il 3% di questi è nomade². Circa la metà ha cittadinanza italiana, molti sono invece rumeni e altri provengono dalla Bosnia, Croazia, Serbia. Soprattutto i Rom stranieri nel corso degli anni hanno costituito diversi insediamenti spontanei/abusivi, occupando aree dismesse, edifici in semi-abbandono, campi ai confini delle città e sempre di più hanno imparato a mimetizzarsi.

Il network migratorio

Un primo carattere è costituito dalla natura del network migratorio. Provengono generalmente dalla Romania (circa il 70%) e sono coppie relativamente giovani, le più intraprendenti e le più disposte a sopportare i disagi della vita in strada, attivano la catena migratoria attraverso un misto di legami personali e familiari che agiscono da richiamo di nuovi migranti (Figura 1) che si insedieranno negli stessi campi.

Il legame con il paese d’origine rimane molto forte e riconoscibile da alcune pratiche concrete: il pendolarismo, le rimesse per la costruzione di una casa, la temporanea separazione da alcuni figli affidati alle cure di famigliari rimasti al paese. Solo il 10-15%, è di origine slava, in Italia da molto tempo e senza forti legami col paese di origine e vivono in un’ottica di “corto respiro” centrata sull’oggi.

Gli insediamenti Rom

Due terzi degli insediamenti Rom censiti sono di piccola dimensione e localizzati in maggioranza su terreni occupati abusivamente (70%). La ridotta dimensione degli insediamenti, la polverizzazione della presenza sul territorio è l’esito degli sgomberi di campi di grandi dimensioni, ma anche frutto di una strategia atta a generare “invisibilità”.

Più della metà degli insediamenti sorge su un’area ad alto tasso di pericolosità: accanto ai binari del treno, ad un’autostrada o ad una strada a scorrimento veloce, ad una discarica o sulle rive di un canale. Insediarsi in aree pericolose è un ulteriore stratagemma che risponde alla necessità di rendersi invisibili. Abitare luoghi come questi significa non “dar fastidio”, essere inesistente agli altri soprattutto se il terreno è inutilizzato, demaniale o di altro ente pubblico (53% dei casi). [Tabella 1]

La parola d’ordine per questi insediamenti è “precarietà”. Essi sono tutti in periferia, oltre la circonvallazione esterna [Figura 2 ], pensati per nascere e morire in tempi brevi, sono formati nel 60% dei casi da tende o da baracche e sono sprovvisti dei servizi più elementari (acqua, fogne, elettricità) nel 71% dei casi e poiché lo sgombero è messo in preventivo la cura nei confronti dello spazio circostante è dubbia.

Le persone

Metà dei 110 campi visitati sono o erano abitati da al più, 5 nuclei famigliari. E’ possibile che questa dimensione sia compatibile con la tipica famiglia allargata garante di protezione sociale e di difesa nei confronti di un mondo esterno ostile e faticoso. D’altronde, il mantenimento di una dimensione ridotta e selezionata per comunità di appartenenza e legame familiare facilita la convivenza e il rispetto di regole comuni. Anche se la vita in strada impone faticose condizioni la presenza di minori è consistente e vive una condizione di estremo isolamento dal momento che in maggioranza non frequenta la scuola e svolge molto raramente attività esterne all’insediamento.

A conti fatti…

I dati mostrano che la categoria del nomadismo è superata. Si delinea invece il profilo di una migrazione transnazionale, pendolare e principalmente familiare che mantiene consistenti legami con il paese di origine e che accetta condizioni di vita estremamente dure, ma considerate un “male minore” perché le loro condizioni di vita e lavoro sono ancora più precarie che in Italia.

E’ una migrazione economica, volta a creare rimesse grazie al lavoro (quasi esclusivamente in nero) e all’elemosina ma che spesso non ha una prospettiva di integrazione in Italia anche quando il numero di anni di presenza è elevato. Questo spiega l’isolamento sociale tangibile agli operatori anche nel disinteresse ad avere informazioni corrette di accesso ai servizi, o nella ridotta conoscenza della lingua italiana.

¹ Il nome Rom è usato in questo testo in armonia con i documenti politici del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa. E’ un termine generale riferito a gruppi di persone più o meno accomunate da alcune caratteristiche culturali come, fra gli altri, Sinti, Travellers, Kalé, Gens du voyage. Cfr. Commission staff working document Roma in Europe: the implementation of European Union instruments and policies for Roma inclusion – progress report 2008-2010.

² Roma and Travellers Team

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