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Il lavoro non basta a proteggere dalla povertà

Non c’è abbastanza lavoro per tutti, ma avere un lavoro non sempre è sufficiente a proteggere dalla povertà se stessi e la propria famiglia. 

Chiara Saraceno rileva che i più recenti dati prodotti da Eurostat confermano la tendenza all’aumento, nel nostro Paese, dei lavoratori poveri su base familiare, ovvero di coloro che, pur lavorando, vivono in famiglie povere.

Riprende l’occupazione, ma aumentano i lavoratori poveri

L’occupazione, per quanto in ripresa, è ancora lontana dall’aver recuperato rispetto al periodo pre-crisi ed alla fame di lavoro che esiste nel nostro paese. Avere una occupazione, tuttavia, non sempre è sufficiente a tenere se stessi e la propria famiglia fuori dalla povertà. Come certificano gli ultimi dati Eurostat basati sull’indagine Eu-Silc, l’Italia, insieme a Grecia, Romania e Spagna, è uno dei paesi UE in cui Il rischio di vivere in una famiglia povera nonostante si abbia una occupazione è tra i più alti e sistematicamente in crescita almeno dall’inizio della crisi¹: riguarda l’11,7% degli occupati, con un aumento di 2,2 punti percentuali rispetto al 2010. Le percentuali sono molto più alte tra chi ha contratti a termine (16,2%) o a tempo parziale (15,8%), specie se si tratta dell’unico o principale percettore di reddito in famiglia. Ma anche chi ha un contratto a tempo pieno e indeterminato non è del tutto esente dal rischio di povertà: ne è coinvolto il 7,8% degli occupati.² Riguarda più gli uomini che le donne occupate, perché i primi sono più spesso gli unici o principali percettori di reddito in famiglia; anche se quando sono le donne ad avere questo ruolo, il rischio di povertà è maggiore dato che i loro salari sono in generale più bassi di quelli maschili.

I dati Eurostat, come quelli della Banca d’Italia pubblicati di recente³, si riferiscono alla povertà relativa, ovvero a chi ha un reddito equivalente (otenuto conto dell’insieme dei reddito famigliari e dell’ampiezza della famiglia) pari o inferiore al 60% del reddito mediano equivalente pro capite. Ancora più drammatici sono i dati sulla povertà assoluta, sulla impossibilità di consumare un paniere di beni essenziali, questa volta di fonte Istat. Nello stesso periodo di riferimento dei dati Eurostat e della Banca d’Italia, il 2016, risultava in povertà assoluta il 6,9% delle famiglie in cui la persona di riferimento era occupata dipendente, a fronte del 6,3% di tutte le famiglie, ma il 12,6% se si trattava di un operaio o assimilato.

Redditi da lavoro troppo bassi e/o intermittenti e basso tasso di occupazione femminile

I motivi per cui si può vivere in una famiglia povera nonostante si abbia un lavoro sono diversi. Può trattarsi di salari troppo bassi in famiglie monoreddito con più componenti. È il caso delle famiglie con più figli, ove il carico di lavoro famigliare e l’assenza di servizi accessibili impedisce ad una donna, specie a bassa qualifica, di stare nel mercato del lavoro. Oppure del fatto che gli unici redditi da lavoro presenti in famiglia sono parziali e intermittenti, un fenomeno sempre più diffuso, specie tra i più giovani, in un mercato del lavoro in cui ad aumentare sono stati soprattutto i contratti di lavoro a tempo determinato e/o a part time involontario; o una combinazione delle due cose.

Il deterioramento della funzione protettiva dell’occupazione rispetto al rischio di povertà, anche assoluta, è testimoniato dall’ aumento dell’incidenza della povertà sia tra le famiglie giovani, ove sono maggiormente concentrati i contratti di lavoro precari, sia tra le famiglie con figli minori, ove maggiore è il rischio di uno squilibrio tra reddito e consumatori. In queste famiglie il rischio di povertà è ovviamente massimo quando nessuno è occupato. Ma rimane alto anche quando occupato un solo genitore e persiste, sia pure in minor misura, anche quando sono occupati tutti e due. Nel 2016 si trovava in povertà assoluta il 23,3% dei minori in famiglie con nessun occupato, il 13,2% di quelli con un solo genitore occupato (in aumento rispetto al 12,8 del 2013) e il 5,2% (in aumento rispetto al 2,6% del 2013) di quelli con entrambi i genitori occupati (cfr. tab. 1).[4] Nel 2010 la percentuale di minori in povertà assoluta che vivevano in una famiglia con un solo occupato (senza specificazione se si trattava di genitore o altra persona) era dell’8,3%. Vale la pena di osservare che l’effetto protettivo dell’occupazione è più alto quando sono i genitori e non altri componenti della famiglia ad essere occupati, come mostra sempre la tab. 1.

L’esistenza di lavoratori poveri impone di ripensare sia le politiche del lavoro sia quelle di sostegno al reddito

Questi dati dovrebbero rendere cauti sia nel pensare che solo i disoccupati si trovano in povertà (e che tutti i disoccupati sono poveri, quindi eventualmente meritevoli di sostegno economico), sia che l’unica via di uscita dalla povertà sia una occupazione. L’esistenza di lavoratori poveri e di famiglie di lavoratori povere pone diverse questioni difficili. Una prima questione riguarda la qualità e remunerazione del lavoro, del potere dei lavoratori di contrattare le proprie condizioni di lavoro e di ottenere le qualificazioni necessarie a rimanere con relativa sicurezza in un mercato del lavoro in trasformazione. Una seconda questione riguarda le difficoltà che molte donne ancora incontrano, specie se hanno forti carichi di lavoro famigliare, a entrare e rimanere nel mercato del lavoro. Una terza questione riguarda il sistema di trasferimenti intesi ad alleggerire il costo dei figli, che in Italia è poco generoso, molto frammentato e spesso sfavorevole ai più poveri. Infine, l’esistenza di lavoratori poveri su base famigliare suggerisce l’opportunità di pensare alle politiche dell’occupazione e alle politiche di sostegno al reddito in modo integrato, non contrapposto.

Note

¹ Ne ho parlato più distesamente nel mio Il lavoro non basta. La povertà in Europa negli anni della crisi, Feltrinelli, Milano, 2013.

² Cfr. http://ec.europa.eu/eurostat

³Banca d’Italia, Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, Roma, 12 Marzo 2018,

[4] Sull’impatto della crisi specificamente sulla povertà minorile in Italia si veda L. Natali e C. Saraceno, “The impact of the great depression on child poverty. The case of Italy”, in B. Cantillon, Y. Chzhen, S. Handa (eds), Children of Austerity, Unicef/Oxford University Press, Oxford, pp. 170-190.

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