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Il divario dei prezzi tra Nord e Sud e le misure di povertà e di disuguaglianza

La correzione degli indicatori di reddito e di consumo in base al livello territoriale dei prezzi riduce significativamente le disuguaglianze nel nostro Paese. Giovanni D’Alessio dimostra però che il tenore di vita delle famiglie, e il divario tra Nord e Sud, non dipende solo dal potere d’acquisto, ma anche dalla disponibilità di servizi pubblici di qualità e da altre e più generali situazioni di contesto.

La comparazione dei livelli di benessere economico tra il Nord e il Sud rappresenta da sempre motivo di interesse per quanti si occupano di disuguaglianza e di povertà in Italia. In questo quadro il tema dell’adozione o meno di procedure che tengano conto del diverso livello dei prezzi nelle aree del Paese è di notevole rilevanza.

I divari di prezzo stimati per l’Italia appaiono di una certa entità, secondo alcune stime intorno al 15 per cento¹. L’Istat nelle stime sulla diffusione della povertà assoluta utilizza soglie differenziate per area geografica, oltre che per dimensione del comune di residenza e tipologia familiare, come riflesso del diverso prezzo di un paniere di beni e servizi giudicati essenziali (Istat, 2009; Brandolini, 2018). In media, le soglie di povertà nel Mezzogiorno sono circa il 30 per cento inferiori a quelle delle corrispondenti categorie di famiglie residenti nel Centro-Nord.

L’uso di indici di prezzo territoriali al denominatore di valori nominali può fornire un quadro decisamente diverso rispetto a quello che si ottiene non tenendo conto di questo aspetto (Brandolini e Torrini, 2010; in altri paesi Nelson e Short, 2003; Curran et al. 2006). È pertanto essenziale discutere quali siano le assunzioni alle base di questo approccio e le sue implicazioni.

Quanto pesa la correzione dei prezzi sulla disuguaglianza e sulla povertà?

La Figura 1 mostra l’andamento dell’indice di Gini tra il 2008 e il 2014 per 2 diversi indicatori di benessere calcolati per adulto equivalente (scala OCSE modificata), il reddito e il consumo. Il grafico riporta, per confronto, gli indici di Gini per gli stessi indicatori, misurati questa volta applicando una correzione dei prezzi per area geografica e ampiezza comunale (linea tratteggiata).

Per questo esercizio è stato utilizzato il deflatore implicito nelle soglie di povertà assoluta dell’Istat, consapevoli che si tratta di un’approssimazione, utile tuttavia a svolgere alcune considerazioni in questa sede.

Gli indici di concentrazione delle variabili corrette per i prezzi sono sempre significativamente inferiori rispetto a quelli calcolati sulle variabili espresse a valori nominali; la correzione per i prezzi, infatti, assorbe una quota della disuguaglianza che deriva dai diversi livelli medi presenti sul territorio.

L’applicazione degli indici di prezzo territoriali al calcolo della diffusione della povertà relativa (calcolata con riferimento alla soglia pari a metà della mediana) ha un analogo effetto di riduzione del fenomeno. L’indice di povertà relativa calcolato sul reddito equivalente passa dal 15 al 13,7 per cento; sui consumi equivalenti il calo è analogo (dall’9,8 al 8,5 per cento).

Ma è soprattutto la composizione ad essere modificata e in particolare, ovviamente, quella per area geografica e ampiezza comunale (Figura 2). Correggendo per i prezzi si amplifica la diffusione della povertà nelle grandi città e nel Centro-Nord, mentre si ridimensiona nei piccoli centri e soprattutto nel Mezzogiorno.

Correggere gli indicatori di benessere monetario con il livello dei prezzi?

Le differenze tra i risultati ottenuti con o senza correzione dei prezzi sono dunque notevoli. Ma siamo certi che gli indicatori che tengono conto dei prezzi rappresentino in modo più accurato il benessere degli individui? La nostra esperienza, per esempio sul mercato delle abitazioni nelle grandi città, ci suggerisce che i divari di prezzo tra le varie zone esprimono diversi livelli qualitativi dei territori, in termini di servizi, accessibilità e altre amenità. Siamo certi che i divari di prezzo tra le aree geografiche non riflettano fattori comunque collegati al benessere degli individui?²

Amendola et al. (2009) osservano che “Il differenziale di prezzi tra Nord e Sud è oggi dell’ordine di grandezza di quello che si registrava nel dopoguerra. Perché allora nonostante divario così consistente nel costo della vita sono assai pochi i cittadini del Centro-Nord che, a parità di salario nominale, decidono di trasferirsi al Sud?”.

In uno studio recente ho provato a rispondere a questi quesiti, conducendo un’analisi del benessere soggettivo dichiarato dagli intervistati nell’indagine sui bilanci delle famiglie (IBF) della Banca d’Italia (D’Alessio, 2017).

Uno studio fondato sul benessere soggettivo

I dati IBF offrono la possibilità di studiare congiuntamente molteplici aspetti relativi alle condizioni di benessere delle famiglie italiane. Oltre ai dati sui redditi, i consumi e la ricchezza delle famiglie, dal 2004 l’IBF raccoglie alcuni dati sul benessere percepito dagli individui intervistati che possono essere utilizzati per valutare gli effetti degli aggregati monetari sul benessere. L’utilizzo di indicatori soggettivi si fonda sull’idea che i livelli di soddisfazione degli individui possano essere misurati e comparati, secondo un’impostazione che si fa risalire a Bentham (1776) ma che ha trovato nuova linfa nei lavori della cosiddetta behavioural economics³.

L’applicazione di alcuni modelli econometrici conduce ai seguenti risultati:

  • il benessere percepito dai residenti del Centro-Nord è più elevato di quello dei residenti nel Mezzogiorno anche a parità di reddito e di altre caratteristiche sociodemografiche della famiglia. Questo risultato segnala indirettamente la presenza di fattori di contesto che sfavoriscono il Mezzogiorno in misura superiore all’atteso effetto positivo del più basso livello dei prezzi;
  • la condizione di svantaggio delle famiglie meridionali che va oltre la parte spiegata dal reddito può essere in primo luogo attribuita al divario che si osserva in termini di salute; i residenti nel Mezzogiorno presentano infatti – a parità di reddito ed di altre condizioni – una salute peggiore di quella dei residenti nel Nord (Cannari e D’Alessio, 2016). Il divario nei livelli di benessere che si riscontra tra le aree è inoltre influenzato anche da altri fattori che descrivono il contesto socio-economico, come i livelli di criminalità, la qualità dei servizi sanitari e per l’infanzia, la disoccupazione, le condizioni di accesso verso nodi urbani e logistici;
  • l’indicatore ottenuto dividendo il reddito per l’indice territoriale dei prezzi ha una correlazione più bassa del reddito nominale con l’indicatore di benessere soggettivo degli individui; in altri termini, la correzione per i prezzi non rende il reddito un indicatore di benessere più efficace.

Conclusioni

Il tenore di vita di una famiglia non è determinato solo dalla capacità di acquisto di beni privati ma anche dalla disponibilità di servizi pubblici di qualità e dalle più generali situazioni di contesto. Poiché il livello dei prezzi, la disponibilità di servizi pubblici adeguati e le situazioni favorevoli di contesto sono in genere positivamente associati tra di loro, non appare coerente la posizione di chi intenderebbe tenere conto del primo aspetto e non del secondo. Se si prendono in considerazione i prezzi sul territorio vanno considerati anche gli altri fattori di contesto. Ciò in particolare nei casi di divari sub-nazionali, in situazioni cioè dove è presumibile che le forze di mercato agiscano piuttosto liberamente e abbiano avuto modo di operare nel tempo attestandosi, anche grazie ai flussi migratori, su situazioni di equilibrio.

per saperne di più

Accetturo, A., A. Dalmazzo, G. de Blasio e R. Torrini (2009), “Disuguaglianze tra Nord e Sud: un approccio di equilibrio economico generale spaziale”, in L. Cannari (a cura di), Mezzogiorno e politiche regionali, pp. 53-86, Seminari e convegni, n. 2, Roma, Banca d’Italia.

Amendola N., G .Vecchi, B. Al Kiswani (2009), Il costo della vita al Nord e al Sud d’Italia, dal dopoguerra a oggi. Stime di prima generazione, Rivista di Politica Economica, SIPI Spa, vol. 99(2), pages 3-34, April-Jun.

Brandolini A. (2018), Quanti sono i poveri in Italia, Neodemos, 13 Febbraio.

Bentham J. (1776), A Fragment on Government: Being an Examination of what is Delivered, on the Subject of Government in General in the Introduction of Sir William Blackstone’s Commentaries, London, T. Payne. Available online from the Bristol University at

Brandolini A. e R. Torrini (2010), Disuguaglianza dei redditi e divari territoriali: l’eccezionalità del caso italiano, Rivista delle Politiche Sociali, n. 3, pp. 37-58.

Cannari L., G. Iuzzolino (2009), Le differenze nel livello dei prezzi al consumo tra Nord e Sud, Questioni di Economia e Finanza, n. 49, Luglio.

Cannari L., G. D’Alessio (2016), Socio-economic conditions and mortality in Italy, Journal of Economic Policy, Vol.2, pp. 331-350.

Curran L.B., H.L. Wohlman, E. W. Hill, K. Furdell (2006), Economic Wellbeing and Where We Live: Accounting for Geographical Cost-of-Living Differences in the US, Urban Studies, n. 43(13), pp. 2443-2466.

Deaton A., O. Dupriez (2011), Spatial price differences within large countries, Working Paper 1321, Woodrow Wilson School of Public and International Affairs, Princeton University.

Frey B., A. Stutzer (2002), What Can Economists Learn from Happiness Research?, Journal of Economic Literature, n. XL, pp. 402-435.

Kahneman D., A. Krueger, Developments in the Measurement of Subjective Well-Being, Journal of Economic Perspectives, n. 20, 2006, pp. 3-24.

Nelson C, K. Short (2003), The Distributional Implications of Geographic Adjustment of Poverty Thresholds, Bureau of the Census, Washington.

Ng Y.K. (2013), Some conceptual and methodological issues on happiness: lessons from evolutionary biology, EGC Report n. 8, Discussion Paper, Economic Growth Center, Nanyang Technological University, Singapore.

Note

²Accetturo et al. (2009) e Cannari e Iuzzolino (2009).

²In generale nelle aree più ricche si consumano beni di più elevata qualità; come mostrano Deaton e Dupriez (2011), non tenere conto anche solo in parte di questo aspetto, porta a sovrastimare il differenziale territoriale dei prezzi.

³ Si veda Frey and Stutzer, 2002; Kahneman and Kruger, 2006; Ng, 2013.

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