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Quando i giovani adulti smettono di uccidere

Quando siete stanchi delle brutte notizie che vengono dalle statistiche demografiche ed economiche, fate una pausa consolandovi con quelle sulla criminalità. Evitate i reati contro il patrimonio, perché non ne ricavereste alcun sollievo, e concentratevi invece sui dati riguardanti il peggiore dei delitti: l’omicidio. Nell’ultimo quarto di secolo, in Italia, il numero di questi delitti è fortemente e costantemente diminuito, passando da 1916 casi (3,4 per 100 mila abitanti) nel 1991 a 397 (0,65) nel 2016. Il nostro paese ha oggi il tasso più basso di omicidi degli ultimi cinque secoli. Siamo dunque di fronte ad uno straordinario cambiamento, della cui importanza non vi è ancora piena consapevolezza.
Ma i dati della ricerca che stiamo conducendo nell’archivio del Ministero dell’Interno ci dicono che è in corso un altro, non meno importante, mutamento.

La legge di sviluppo di Quetelet e le tesi dei criminologi dell’ultima generazione

Negli ultimi venticinque anni, non solo è diminuito il numero degli autori di omicidio, ma sono cambiate anche, in modo radicale, alcune loro caratteristiche demografiche. Concentriamoci su una di queste: l’età. Quasi due secoli fa, l’astronomo e statistico belga Adolphe Quetelet, basandosi sui dati disponibili, pensò di aver trovato una vera e propria “legge di sviluppo” della tendenza a violare le norme e a commettere reati (furti, rapine, omicidi). Questa tendenza – spiegò – cresceva rapidamente con l’età degli individui, raggiungendo il massimo quando diventavano adulti, per decrescere in seguito, lentamente, fino all’ultima fase della vita. Dimenticata o quanto meno trascurata per un lungo periodo di tempo, questa tesi è stata ripresa dai criminologi (soprattutto quelli americani) dell’ultima generazione. Analizzando i dati degli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, essi hanno ritrovato la stessa relazione individuata da Quetelet. Hanno inoltre scoperto che nell’ultimo secolo e mezzo vi è stato un abbassamento di cinque o sei anni dell’età a cui più frequentemente si commettono reati.

L’età e la frequenza con cui si commettono omicidi in Italia

Abbiamo trovato una curva simile per il nostro paese. Analizzando i dati sugli oltre 16 mila arrestati o denunciati in Italia per omicidio dal 1992 al 2016, vediamo che vi è una fortissima relazione fra la frequenza con cui si commette questo reato e l’età (figura 1).  Il numero degli autori di questo delitto sale molto rapidamente dal diciottesimo anno e raggiunge il punto più alto a 24 anni per poi scendere continuamente dopo di allora. Pochi numeri bastano a dare un’idea della rapidità con cui cambiano le cose durante le fasi della vita degli autori di omicidio nel nostro paese nell’ultimo quarto di secolo. Il numero degli autori di omicidio a 24 anni è quasi il doppio che a 18, più del doppio che a 41 anni e il triplo che a 50. Questa relazione curvilinea permane per tutto il periodo considerato, ma avvengono grandi cambiamenti. La diminuzione non è equidistribuita in tutte le età, ma è concentrata nelle fasce fra i 18 e i 40 anni (figura 2). Nel primo periodo, la flessione è avvenuta soprattutto fra i 26 e i 40 anni, ed è stata fortissima, nel secondo invece fra i 19 e i 24 anni. Questo mutamento si è verificato in tutte le regioni italiane, ma in misura diversa. Esso è stato particolarmente pronunciato nelle regioni meridionali e insulari, più contenuto in quelle centro-settentrionali (figure 3 e 4). Nel Mezzogiorno, nell’ultimo quarto di secolo, il tasso specifico per età degli autori di omicidio si è dimezzato fra i 20 e i 23 anni e si è ridotto addirittura di due terzi fra i 24 e i 35 anni.

Questo straordinario cambiamento può essere ricondotto alla forte diminuzione del numero di omicidi di criminalità organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta) che vi è stato in questo periodo grazie ai successi raggiunti dallo Stato italiano. Ma non dipende solo da questo. Prendendo in considerazione l’età (mediana) degli autori di omicidio, vediamo che nell’ultimo quarto di secolo essa si è alzata. Vi è stato dunque un processo di invecchiamento anche fra gli autori di omicidio, dovuto, come si è visto, alla considerevole diminuzione degli uccisori più giovani. Questa età varia a seconda del tipo di omicidio. Il Ministero dell’interno distingue fra sei diversi tipi: di criminalità organizzata, di criminalità comune, per furti o rapine, per liti o risse, legati in qualche modo alla prostituzione, familiari o passionali. Questi ultimi vengono commessi ad un’età più avanzata, quelli per furti o rapine più precocemente di tutti gli altri (tab.1). All’inizio di questo periodo, l’età (mediana) alla quale si ammazzava un familiare, un parente, un amante o un fidanzato era di 38 anni, quella a cui invece si uccideva una persona che si rifiutava di farsi derubare o rapinare era di ben undici anni minore. Ma nell’ultimo quarto di secolo, il processo di invecchiamento ha riguardato tutti i tipi di omicidio.

La rarefazione degli autori di questo delitto fra i giovani e i giovani adulti fa ben sperare. La grave crisi economica iniziata nel 2008, che ha colpito soprattutto il Mezzogiorno e i giovani, non ha arrestato né rallentato la tendenza in corso. Oggi, nelle nuove generazioni, è sempre più difficile trovare persone con scarso autocontrollo, inadeguate a contenere i loro impulsi, incapaci di rivolgersi alle forze dell’ordine e alla magistratura per risolvere i conflitti nei quali sono coinvolti, disposti a porre termine alla vita degli altri per raggiungere i propri fini.

Riferimenti bibliografici

Quetelet, A. Recherches sur le penchant au crime aux differens âges, Bruxeless, M.Hayek, 1833.

Barbagli, M. e A. Minello, L’inarrestabile declino degli omicidi, in “La Voce.info”, 16.5.2017, on line.

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