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Sessant’anni dai trattati di Roma: cresce la sfiducia dei cittadini nella UE ma non tutto è perduto*

Per lungo tempo il rafforzamento delle istituzioni europee ha goduto di un ampio consenso. I cittadini dei vari paesi hanno visto nell’Europa una promessa di crescente benessere economico e sociale, e spesso anche uno stimolo alla modernizzazione e al miglioramento delle istituzioni nazionali. Certamente è stata questa l’esperienza dell’Italia. Nell’ultimo ventennio, però, e con un’accelerazione legata alla crisi economica degli ultimi anni, il quadro appare profondamente cambiato. La fiducia nelle istituzioni europee misurata da Eurobarometro segnala un calo significativo (Fig. 1): dal 50% degli intervistati del 2004 si è scesi al 35% del 2016. In Italia il calo è stato ancora più forte: dal 55% al 30% (ma alla fine degli anni ’90, oltre il 70% degli italiani aveva fiducia nel progetto europeo).

Perché è calata la fiducia nell’Unione Europea?

Per comprendere le ragioni del calo di fiducia può essere utile partire da una valutazione di come il fenomeno si distribuisca tra le diverse classi sociali (Fig. 2). E’ interessante notare come la sfiducia salga quando ci si sposta verso il basso nella stratificazione sociale. La maggioranza dei membri della classe alta e medio-alto esprime fiducia. Non è così per la classe media, la classe media inferiore e soprattutto la classe operaia. Cioè, sono le classi inferiori a nutrire sfiducia, come del resto ci si poteva aspettare, specie dopo la crisi degli ultimi anni che ha portato in Europa a 26 milioni di disoccupati nel 2013 (oggi sono 20 milioni).

C’è dunque, certamente, una delusione per le promesse di benessere economico e sociale che avevano accompagnato la costruzione europea nei decenni precedenti. Questa indicazione è anche suffragata dalle risposte al quesito posto da Eurobarometro sui risultati considerati più positivi della UE. Vengono apprezzati soprattutto il contributo alla pace tra i paesi europei e quello alla libera circolazione delle merci e delle persone. Solo poco più del 20% dà invece un giudizio positivo della politica economica e dell’euro, e una percentuale ancora più bassa, del welfare (sanità, istruzione, pensioni, ecc.).

Tuttavia, non sembra che sia solo la dimensione delle politiche economiche e sociali a motivare la disaffezione crescente. Interrogati su quali siano le questioni più importanti che la UE dovrebbe affrontare in questo momento, gli intervistati segnalano l’immigrazione e il terrorismo, oltre alla situazione economica e alla disoccupazione. Combinando queste indicazioni possiamo dunque trarne elementi di conferma all’ipotesi formulata da molti analisti e osservatori. Alle origini del distacco e della disaffezione vi è una combinazione di promesse mancate – quelle relative al benessere economico e sociale – e di minacce crescenti: immigrazione e terrorismo.

Il contributo del neo-populismo

Un nuovo frame sembra così essersi affermato tra i cittadini europei, soprattutto tra quelli delle classi sociali più disagiate. Ma, come sempre avviene, l’affermazione di una nuova percezione, l’uso di occhiali diversi con i quali guardare la realtà che ci circonda non è solo un processo spontaneo. Di solito è il frutto di una “offerta interpretativa”, di una proposta di senso da dare ai processi in corso, che ha successo nella misura in cui sembra aiutare i soggetti a mettere ordine nelle esperienze contradditorie che si trovano a vivere.

E’ quello che è accaduto – e sta accadendo – in tutta Europa con l’affermarsi delle forze politiche neo-populiste (Fig. 3). Non è questa la sede per affrontare la natura specifica di queste nuove formazioni politiche, i loro tratti distintivi, o le differenze tra di esse. Ai nostri fini basta sottolineare il loro impatto sull’opinione pubblica, e specialmente sulle classi più disagiate che sperimentano maggiormente gli effetti della crisi economica, ma anche le conseguenze dirette dell’immigrazione. Queste nuove forze sono il frutto di un’imprenditorialità politica che si forma a livello dei singoli paesi proprio battendo sulla miscela di promesse mancate e di minacce crescenti. Esse criticano non solo l’establishment nazionale, ma anche le istituzioni europee, ritenute responsabili dell’aggravamento della situazione economica e del problema dell’immigrazione, al quale è spesso associata la stessa minaccia terroristica.

Ma non tutto è perduto…

Tuttavia, non bisogna fermarsi qui. I cambiamenti in corso nell’opinione pubblica dei paesi europei rappresentano certo un elemento di forte preoccupazione per il futuro della costruzione europea, che va preso seriamente in considerazione. Ma altri dati suggeriscono che la questione è ancora aperta e gli esiti non sono determinati. La crisi di fiducia potrebbe essere arrestata e forse la direzione di marcia invertita.

Ovviamente, è ancora molto forte l’eco della Brexit, mentre si attende con ansia il risultato delle elezioni francesi che potrebbero avere un peso decisivo. Un recente sondaggio (Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, sondaggio Demos & Pi, 2017) segnala però che in alcuni dei principali paesi europei, tra cui l’Italia, la Francia, la Germania e la Spagna, non vi sarebbe al momento una maggioranza favorevole a lasciare la UE e nemmeno a uscire dall’euro. E’ un dato certo incoraggiante, al quale possono esserne aggiunti altri. Su due di questi vorrei attirare l’attenzione.

Il primo riguarda l’andamento della fiducia nella UE per età (Fig. 4). Secondo Eurobarometro, vi sono significative differenze nel grado di fiducia a seconda dell’età. Passando dai più vecchi ai più giovani la fiducia cresce sensibilmente. Allo stesso modo, essa è sensibilmente più alta tra gli studenti rispetto ai pensionati. I giovani rappresentano dunque una risorsa cruciale per l’Europa e chi ha a cuore il rafforzamento del progetto europeo dovrebbe tenerne più conto.

L’altro aspetto su cui attirare l’attenzione è segnalato dal sondaggio Demos & Pi prima citato. Nei paesi considerati dall’indagine, gli intervistati ritengono, in larga maggioranza, che “l’unità europea sia un obiettivo giusto realizzato in modo sbagliato”. Ma questo vuol dire anche che potrebbero cambiare idea se la realizzazione prendesse corpo in modo diverso. E’ il segno di una disponibilità possibile che non andrebbe anch’esso trascurato.

Insomma, questi dati suggeriscono che vi è ancora uno spazio potenziale di consenso manifesto e latente per il rilancio del progetto europeo nonostante la forte crescita della sfiducia. Sappiamo che non è facile riempire questo spazio, perché negli ultimi anni si è andata rafforzando una logica decisionale intergovernativa, secondo la quale le scelte europee dipendono da accordi e compromessi tra i rappresentanti dei governi nazionali. E questi ultimi appaiono sempre più condizionati dalle preoccupazioni per il consenso a breve dei loro elettorati, le quali minano la possibilità di scelte più coraggiose e più generose di integrazione. Tuttavia uno spazio di consenso è disponibile e attivabile. Il rilancio è un obiettivo difficile ma non impossibile. C’è da augurarsi che il ricordo del percorso avviato sessant’anni fa possa aiutare a riprendere la strada senza retorica, con più forza e consapevolezza.

* L’articolo riprende l’intervento svolto in occasione della Giornata della Scuola di Scienze Politiche ‘Cesare Alfieri’ dell’Università di Firenze, dedicata al 60° Anniversario dei Trattati di Roma (Firenze, 23 marzo 2017). Ringrazio Alberto Gherardini per la sua collaborazione alla raccolta e elaborazione dei dati presentati.

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