L’integrazione delle comunità immigrate e l’imprenditoria straniera
A cura di: Neodemos
isbn: 978-88-941008-9-1
Progetto grafico: Caterina Livi Bacci
Lo scorso 23 Aprile, come nei precedenti anni, Neodemos ha organizzato una giornata di riflessione e studio su un argomento dove la demografia fa da sfondo ad un tema di grande interesse per la società e l’economia del nostro paese. Il tema prescelto è stato “L’integrazione delle comunità immigrate e l’imprenditoria straniera”.
Nel primo quindicennio di questo secolo, l’Italia è stata mèta di un flusso di immigrazione tra i più intensi nel mondo sviluppato, smorzato ma non certo spento negli ultimi anni di grave crisi. Molti fattori, anche strutturali, sono alla radice del fenomeno, quali la debolezza demografica e il forte invecchiamento della popolazione; un’economia con importanti settori ad alta intensità di manodopera; una forte segmentazione del mercato del lavoro; una bassa mobilità interna; un welfare familiare debole e squilibrato, che le famiglie integrano con collaboratrici straniere; una normativa obsoleta e inadatta a regolare la migrazione di massa, come oramai è quella verso il nostro Paese. Gli stranieri regolarmente presenti nel nostro paese si avvicinano oggi a cinque milioni e mezzo, il 9 per cento della popolazione. Costituiscono un’imponente collettività portatrice di una pluralità di caratteristiche, motivazioni, attività e comportamenti che devono essere descritti e interpretati con cura se si vuole governare il fenomeno: ci sono coloro che sono nati o sono lungo-residenti in Italia, cui una legislazione miope ostacola il percorso verso la cittadinanza; ci sono quelli che arrivano per studio (pochi), per lavoro (di più) o per ricongiungimenti familiari (ormai la maggioranza – segno di una immigrazione “matura”); ci sono quelli che fuggono da situazioni di vero e immediato pericolo, causato da guerre o persecuzioni. E poi ci sono diversità di provenienze (circa 200), di genere, di età, di situazioni familiari, di distribuzione sul territorio nazionale, di inserimento nel mondo del lavoro e nel tessuto sociale, di progetti di permanenza nel nostro paese, talvolta considerato solo una tappa all’interno di un percorso più complesso e che porta più lontano, …
In questo quadro, molto variegato, la giornata Neodemos di quest’anno si è focalizzata su un aspetto particolare della presenza degli stranieri: la loro integrazione nella società italiana, in particolare nel mondo imprenditoriale, e la loro capacità di generare reddito, occupazione e innovazione. Si è cercato, insomma, di guardare oltre il contingente e oltre l’emergenza, per comprendere gli effetti attuali e di più lungo termine di una realtà che non è più marginale e non può più essere considerata né eccezionale né transitoria. Gli stranieri sono tra noi, per restarci.
Il riconoscimento di questa nuova componente strutturale dovrebbe rallegrarci, e non farci paura come invece di norma avviene. Perché una società che invecchia troppo rapidamente, come quella italiana, trova nell’arrivo e nella presenza degli stranieri un puntello a uno stato sociale squilibrato, troppo attento alle esigenze degli anziani e troppo poco a quelle degli altri gruppi deboli; un sostegno a un sistema sanitario sotto pressione e, argomento sviluppato qui, una nuova spinta a agire nella sfera economica, anche sul piano dell’imprenditoria.
Come illustrano le relazioni che riportiamo nell’e-book, si tratta di un quadro con luci e ombre: le imprese straniere sono tipicamente più caduche delle altre, più piccole in termini di numero di addetti, meno profittevoli, se si guardano i bilanci e i margini operativi, e con una certa propensione alle attività sommerse (è il caso dell’economia cinese a Prato, ad esempio), forse persino maggiore di quella che caratterizza gli imprenditori locali, che pure, in questo, sono grandi esperti. Però sono ormai numerose e in crescita; cominciano ad assumere personale non solo straniero, ma anche italiano; agiscono nei campi economici più diversi e si stanno affacciando anche nei settori tecnologicamente più avanzati, uscendo dal ghetto (e dallo stereotipo), della badante e dell’uomo (o dell’impresa) che si occupa solo delle pulizie o dei piccoli cantieri edili.
E’ anche grazie a questo spirito imprenditoriale, che si rivela più forte di quanto una visione superficiale del fenomeno porterebbe a credere, che il saldo della presenza straniera è positivo per il nostro paese, anche dal punto di vista economico: ciò che spendiamo per “loro” (in termini di servizi offerti, di controllo del territorio, ecc.) è meno di quanto “loro” pagano in tasse e contributi, anche perché di questi ultimi, in molti casi, i lavoratori stranieri non vedranno i frutti: la mancanza di accordi con i paesi di origine implica che gli stranieri che tornano a casa, dopo un po’ di anni di lavoro in Italia, semplicemente perdono i contributi versati, e non beneficeranno di alcun trattamento pensionistico nella loro età anziana. Una delle numerose distorsioni di un sistema di welfare nato (e con svariate imperfezioni), per un mondo che nel frattempo è molto cambiato, con la trasformazione della famiglia, del mercato del lavoro e, adesso, anche della società nel suo complesso in conseguenza della presenza straniera.
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