Negli ultimi anni la disuguaglianza di reddito e di ricchezza è aumentata nella maggior parte dei paesi. E, con qualche anno di ritardo, è quindi cresciuta l’attenzione del dibattito pubblico e politico su questo fenomeno. Se i dati sull’aumento nel tempo della disuguaglianza sono incontrovertibili, vi è invece un acceso dibattito sulla loro interpretazione. La domanda chiave a questo proposito è se l’aumento della disuguaglianza rappresenti o meno un problema.“La disuguaglianza è aumentata – ci si chiede- e quindi?” Cerchiamo di rispondere a questo interrogativo.
La disuguaglianza reduce la mobilità sociale
La figura 1 offre una risposta. Questa è conosciuta come “la curva del Grande Gatsby (GG)” ed è statapresentata nel rapporto economico del presidente Obama al congresso nel 2012. L’asse orizzontale del grafico corrisponde all’indice di Gini nel 1985 (con valori teoricamente compresi tra 0, nessuna disuguaglianza, e 100, massima disuguaglianza, ma che nella maggioranza dei casi si colloca tra 20 e 50); . L’asse verticale corrisponde all’effetto del reddito del padre su quello del figlio. Quanto maggiore l’effetto del reddito del padre su quello del figlio, tanto minore è la mobilità sociale. La curva del GG, elaborata originariamente dall’economista canadese Michael Corak, mostra che nei paesi dove la disuguaglianza dei redditi è maggiore, è anche maggiore l’immobilità sociale tra generazioni (misurata come somiglianza fra i redditi di padre e figli).
Il nome “curva del Grande Gatzby (ma forse sarebbe più opportuno chiamarla “retta del GG”) fa riferimento al romanzo di Scott Fitzgerald il cui protagonista, nato in una famiglia di poveri contadini, riesce a diventare milionario. Jay Gatsby incarna l’essenza del sogno americano per cui chiunque abbia talento e impegno (e non arretri di fronte a qualche illegalità, bisognerebbe aggiungere nel caso di Jay Gatsby) può avere successo indipendentemente dalla sua origine sociale.. Il grafico del GG mostra però che il sogno americano è, appunto, un sogno. Il grafico indica, infatti, che l’origine sociale conta molto e che conta ancora di più nei paesi, come l’Italia e gli Stati Uniti, dove la disuguaglianza è maggiore. Italia e Stati Uniti si trovano vicine nell’angolo in alto a destra del grafico, con alti livelli di disuguaglianza dei redditi e un basso livello di mobilità sociale.
A questo punto vale la pena di ricordare che la mobilità sociale ha un ruolo importante nell’ideale meritocratico, secondo il quale la posizione raggiunta da un individuo dovrebbe dipendere dal talento e dall’impegno e non dalla sua origine sociale. Ma il messaggio preoccupante della curva del GG è che quando la disuguaglianza aumenta (come sta accadendo negli ultimi decenni), la mobilità sociale tende a diminuire.
Quando la scuola non basta la famiglia compensa
Quindi, come si può aumentare la mobilita sociale nel nostro paese?
La risposta tradizionale a questa domanda è che l’istruzione è il grande ascensore sociale, e non c’è dubbio che in passato in parte lo sia stato. Promuovere l’uguaglianza nell’accesso all’istruzione dovrebbe quindi avere un effetto positivo sulla mobilità sociale. Attualmente tra gli italiani con età fra i 30 e i 40 anni, circa il 60% dei figli di laureati ha conseguito la laurea, rispetto al 15% dei figli di genitori con la licenza media (ISTAT 2009). La proposta tradizionale per aumentare la mobilità sociale è, quindi, favorire la prosecuzione negli studi degli studenti volenterosi e con un buon rendimento scolastico provenienti da famiglie di basso status socio-economico. Politiche rivolte in questo senso sono sicuramente auspicabili di per sé, ma la visione della scuola come istituzione chiave per favorire la mobilità sociale ha almeno due problemi. Entrambi sono illustrati molto bene in un passaggio del discorso di accettazione della laurea honoris causa che l’allora presidente degli USA, G.W. Bush tenne all’università di Yale nel 2001, 33 anni dopo essersi laureato nella stessa università. In quella occasione Bush disse: “To those of you who received honors, awards, and distinction, I say, well done. And to the C students, I say, you too can be president of the United States”.
Gli studenti C nel sistema americano sono quelli con i voti più bassi. Sappiamo, infatti, che Bush era uno studente mediocre, e che i suoi voti nell’equivalente dell’esame di maturità erano troppo bassi per essere ammesso in una università selettiva come Yale. Bush è riuscito a entrare a Yale perché suo padre e suo nonno si erano a suo tempo laureati a Yale ed erano poi stati generosi donatori per l’università.
Questo particolare della storia del giovane Bush dà un esempio di quello che in sociologia si chiama “vantaggio compensativo”, che tocca ai figli e alle figlie delle famiglie di status socio-economico elevato (Bernardi 2014). Vari studi hanno mostrato che la maggiore disuguaglianza educativa in funzione dell’origine sociale si osserva non tanto fra gli studenti bravi ma fra gli studenti mediocri, cioè fra gli studenti con voti sotto la media. Mentre gli studenti con brutti voti e di classe sociale bassa interrompono presto gli studi, quelli con brutti voti ma di classe alta tendono a proseguire (Bernardi e Cebolla 2014). La scarsa riuscita scolastica è compensata in vari modi dalle risorse economiche, culturali o sociali della famiglia di origine. Nel caso di un problema a scuola gli studenti di classe sociale alta hanno comunque una seconda opportunità e riescono a navigare nel sistema educativo fino ad arrivare ai livelli più alti di esso.
Il caso di Bush, che nonostante i brutti voti è stato ammesso a Yale e poi ad Harvard, due fra le università più selettive del mondo, rappresenta un esempio estremo del vantaggio compensativo fornito da un famiglia di origine ricca e potente. Torniamo al nostro paese: i dati dell’indagine ISTAT 2011 sui diplomati indicano che uno studente di liceo con un voto di maturità basso (fra il 60 e il 70, per intenderci) e genitori laureati si iscrive all’università nel 90% dei casi. Se i genitori, invece, hanno solo la licenza media, la percentuale scende al 65%. Fra gli studenti bravi (con un voto fra il 90 e il 100), invece, non c’è differenza per origine sociale e praticamente tutti si iscrivono alla università. La disuguaglianza nell’accesso all’università è concentrata, quindi, fra gli studenti meno bravi (Contini e Triventi 2014).
L’effetto spintarella
Il secondo aspetto interessante del discorso di Bush è che, nell’anno della sua laurea anche molti altri studenti si sono laureati, molto spesso con voti migliori, ma solo lui è diventato presidente. Anche questo esempio è estremo, ma coglie un altro meccanismo alla base della disuguaglianza intergenerazionale. Si tratta di quello che potremmo definire effetto “boosting” o “spintarella”. Vari studi recenti mostrano che lo stesso titolo di studio rende di più, in termini di reddito, a coloro che provengono da una famiglia di status socio-economico elevato. Pensiamo a due laureati in medicina che hanno impiegato lo stesso tempo per terminare gli studi, ottenendo lo stesso voto finale. L’unica differenza è che il primo è un laureato in medicina di prima generazione, mentre l’altro è di seconda generazione, ovvero anche suo padre, o sua madre, è medico. Il reddito del medico di seconda generazione (ma lo stesso vale per un avvocato e dirigente) tende a essere più alto di quelli del medico, avvocato o dirigente con genitori di status socio-economico più basso. Per fare un esempio più concreto, i dati della Banca d’Italia mostrano che un laureato proveniente da una famiglia di liberi professionisti o dirigenti guadagna in media circa 300 euro al mese in più di una laureato proveniente da una famiglia di operai (Ballarino et al 2014). Questo risultato non tiene conto di alcune possibili differenze fra i due laureati (per esempio il tipo di facoltà o il voto di laurea), ma comunque dà una chiara idea di quanto sia rilevante la disuguaglianza legata all’origine sociale, anche a parità di laurea. L’Italia, peraltro, non è un’eccezione, e simili “effetti spintarella” sul reddito, anche se quantitativamente inferiori, si osservano anche in paesi come la Spagna e gli Stati Uniti.
Dunque le famiglie di status socio-economico alto dispongono di risorse di vario genere (economiche, culturali, sociali) che permettono di compensare lo scarso rendimento scolastico dei loro figli e di spingerli poi verso le occupazioni migliori.
Oppure, in un periodo di alta disoccupazione giovanile, aiutandoli a trovare comunque un’occupazione. Questi due meccanismi, la compensazione di risultati scolastici mediocri e la successiva spintarella sul mercato del lavoro, mettono in discussione l’idea che la scuola possa da sola accrescere la mobilità sociale.
Non voglio essere frainteso: la scuola è fondamentale per trasmettere conoscenze e valori alle nuove generazioni, e per dare possibilità di ascesa economica e sociale ai giovani provenienti da famiglie di status socio-economico basso. Però pensare che la scuola possa essere il canale principale per far aumentare la mobilità sociale e rendere la nostra società più meritocratica, specialmente in un periodo di scarsa crescita economica, è semplicemente errato.
Ridurre la disuguaglianza per promuovere la mobilità sociale
Se la scuola da sola non basta a promuovere la mobilità sociale, e se si pensa che l’origine sociale dovrebbe contare meno per i percorsi individuali, è utile tornare alla curva del GG. Questa ci suggerisce che per far sì che le origini incidano meno sui percorsi degli individui, aumentando quindi la mobilità sociale, la soluzione più diretta è rendere più eguali le posizioni di partenza. Cioè ridurre la disuguaglianza di reddito e di ricchezza. Questa soluzione è politicamente più complicata ed elettoralmente meno accattivante, rispetto alla promozione di politiche scolastiche ugualitarie, su cui con ogni probabilità è d’accordo la maggioranza degli elettori. Ma questa è probabilmente la via da perseguire per cercare di spostare il nostro paese sulla curva del GG: dall’angolo in alto a destra, almeno un po’ più verso il centro.
Per saperne di più
Questo articolo riprende e approfondisce parte di un intervento al TEDx Pisa 2015 sul tema della disuguaglianza. L’intervento completo è disponibile all’indirizzo: Fabrizio Bernardi TEDx Pisa 2015
Ballarino, G., Barone, C. e Panichella, N. (2014), “Social background and education
Rifermenti bibliografici
in occupational attainment in 20th century Italy”, Fiesole: EUI Working Papers.
Bernardi, F. (2014), “Compensatory Advantage as a Mechanism of Educational Inequality. A Regression Discontinuity Based on Month of Birth”, Sociology of Education, 87, (2), 74-88.
Bernardi, F. e Cebolla-Boado, H. (2014), “Previous school results and social background: Compensation and imperfect information in educational transitions”, European Sociological Review, 30, (2), 207-217.
Contini, D. e Triventi, M. (2014), “Differentiation in secondary education and social inequalities in Italy”, paper presented at the EduLIFE workshop 27-28 November, EUI (Fiesole).
Corak, M. (2013), “Income Inequality, Equality of Opportunity, and Intergenerational Mobility” Journal of Economic Perspectives, 27, (3), 79–102
ISTAT (2009), Indagine Multiscopo sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”, Roma.