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Vivere soli o essere soli?

Secondo il sociologo Eric Klinenberg (2012) il netto aumento delle persone che vivono sole (i singleton) costituisce una rivoluzione demografica e profonda nelle nostre società. La principale differenza rispetto al passato è che la “solitudine” costituisce una convinta scelta di vita e non un triste destino da subire. Di più, secondo Klinenberg, il vivere da soli da un lato non significa necessariamente essere soli (si può infatti essere desolatamente soli all’interno di un matrimonio che non funziona) e dall’altro non comporta una disgregazione della società. Perché abbiamo ormai tante tecnologie comunicative che ci connettono ed anche perché i single – afferma Klinenberg – appaiono fortemente propensi a socializzare ed a creare relazioni. Più dei coniugati.

Vivere da soli in Italia

Le cosiddette famiglie unipersonali, secondo le serie storiche dell’Istat, che erano 2 milioni al censimento del 1971, sono ora 7,7 milioni, con un aumento di più di tre volte e mezzo nell’arco di quaranta anni. In termini percentuali costituivano il 12,9% delle famiglie nel 1971, costituiscono il 31,1% al censimento del 2011 con picchi in Liguria ed in Valle d’Aosta. Solo nell’ultimo decennio intercensuario l’incremento è stato superiore ai 2 milioni e 200 mila unità (Istat 2013). Certo, su questi dati influisce in maniera determinante la vedovanza, trascinata da quell’invecchiamento che ha visto raddoppiare dal 1971 ad oggi gli ultrasessantacinquenni e triplicare gli ultrasettantacinquenni. Tuttavia, si è assistito negli ultimi anni a un deciso incremento anche dei giovani adulti che vivono da soli per effetto della mobilità universitaria e lavorativa e del continuo posticipare del tempo in cui si sceglie di vivere in coppia. Un dilatarsi del celibato e del nubilato che fa crollare i tassi di nuzialità e comunque li ritarda talvolta sine die nelle biografie. All’aumento dei percorsi di vita in solitario contribuisce anche la crescente quota di adulti reduci da una rottura coniugale. Se prendiamo le separazioni legali, queste interessano oggi quasi un matrimonio su tre. Nel complesso, comprendendo coloro che hanno dai venti anni in su, celibato, nubilato, separazioni, divorzi e vedovanze producono una potenziale massa di persone sole pari al 42% del totale della popolazione italiana.

Vivere da soli non vuol dire sentirsi soli

Il vivere da soli oggi presenta almeno quattro caratteristiche sociali rilevanti. La prima è che è una realtà assai mobile e dinamica, che riflette il modo stesso con cui si intende il ritmo libero da dare alla propria esistenza. Per cui in questa condizione si entra, si esce, si rientra (come ad es. i single di ritorno dopo una fallita esperienza coniugale) e così via, in assenza di un copione sociale rigido che, come nel passato, dettava le convenienze e le scansioni spesso irreversibili delle scelte di vita. Il che comporta anche problemi rilevanti di stima e di calcolo statistico del fenomeno.

In secondo luogo il vivere da soli ha perso lo stigma sociale con cui era connotato nel passato, specie nei confronti di nubili e celibi (da qui i termini dispregiativi zitella ed anche scapolo, da scapolare, sottrarsi ad un impegno: un impegno che si riteneva naturale ed ineludibile). Ed ha perso anche l’alone psicologico negativo della solitudine, con le sue conseguenze in termini di depressione e di scarsa autostima (Miceli, 2003).

In terzo luogo il vivere da soli appare sempre più compatibile con l’essere coppia e addirittura con l’essere famiglia. Infatti si moltiplicano le cosiddette coppie a distanza (in inglese: living apart together) che già una decina di anni fa l’Istat quantificava in un milione e 127 mila (ventenni e più che non vivono con i genitori) con prevalenza nella fase dei 30-39 anni (sono il 34,8% del totale) ed in quella superiore ai 50 anni (25%) (Istat 2007). Oltre alle coppie a distanza si diffondono le famiglie a distanza, formule spinte soprattutto dai flussi migratori che creano, ad esempio, la figura della madre a distanza che riesce comunque a stare in relazione d’amore con i figli (magari correggendo i compiti di scuola via Skype), il marito e la parentela rimasti nel paese di origine. Emerge insomma la famiglia “transnazionale”, che rompe non solo i confini della convivenza fisica, ma anche quelli geografici e culturali. D’altronde la despazializzazione del vivere insieme fa sprecare le definizioni: coppie del weekend, a coabitazione intermittente, a convivenza alternata, con doppia residenza, amore pendolare, amore a distanza, amore part time. Alle spalle c’è certamente la crescente globalizzazione del lavoro, della carriera, della vita affettiva, ma anche il ruolo facilitante delle comunicazioni: fisiche, come i voli low cost, e virtuali come le tecnologie informatiche (Beck, Beck-Gernsheim 2012).

Infatti vivere da soli non significa necessariamente essere o sentirsi soli anche perché esiste oggi uno spettro sempre più ricco di tecnologie della comunicazione, dall’auto al telefono portatile (con tanto di app per corteggiare), fino al mare magnum di tutto ciò che di social offre la rete (quindi soli ma sempre connessi: il networked single). Oltre alla vita urbana, che ovviamente facilita contatti ed incontri.

In conclusione

Certamente il vivere da soli – senza però sentirsi mestamente soli – è spinto da quel processo di “individualizzazione della società” che esalta la libertà e l’autonomia e che riformula in modo inedito le espressioni della socialità. Di conseguenza, come è stato detto, “per la prima volta nella storia l’individuo sta divenendo l’unità di base della riproduzione sociale” (Beck, Beck-Gernsheim 2002). Però, alla fin fine, non è importante se le persone vivono sole: forse ciò che conta è che non si percepiscano sole o isolate.

Fonti bibliografiche

Beck U., Beck-Gernsheim E., Individualization : Institutionalized Individualism and Its Social and Political Consequences, Sage, London, 2002.
Beck, Beck-Gernsheim E., L’amore a distanza, Laterza, Roma-Bari, 2012
Istat, Popolazione e famiglie, Roma, 2013
Istat, Vivere non insieme : approcci conoscitivi al Living Apart Together, Roma, 2007
Klinenberg E., Going Solo, Duckworth Overlook, London, 2013
Miceli M., Sentirsi soli, il Mulino, Bologna 2003.

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