Quando i sondaggi vanno male pare diffondersi tra i leader della vecchia Europa la contagiosa abitudine di rifugiarsi nell’argomento (a forte impatto emotivo) della necessità di fermare l’invasione di immigrati: il ministro Roberto Maroni in Italia ha parlato recentemente di 2-300mila immigrati pronti a partire dalla Libia[1]; il ministro dell’interno francese Claude Guéant, mentre bloccava i treni a Ventimiglia, annunciava di voler ridurre da 200.000 a 180.000 il flusso migratorio in entrata[2].Stupisce che anche nel Regno Unito, dove tradizionalmente l’evidenza dei dati sia sempre stata presa nella giusta considerazione, il primo ministro inglese David Cameron inizi a parlare della necessità di ridurre fortemente i flussi in entrata tanto da passare da “centinaia di migliaia” a “decine di migliaia” di immigrati[3].
Negli ultimi anni nel Regno Unito la novità più importante in tema di immigrazione è stato il forte flusso in entrata dalla Polonia e dai paesi dell’est europeo a seguito del primo allargamento dell’UE del 2004, e il successivo stop agli ingressi dalla Romania e dalla Bulgaria. I media inglesi hanno affrontato ampiamente il fenomeno dell’ondata di immigrati dall’Est Europa e l’opinione pubblica britannica è stata spesso sensibilizzata “ad arte” sul problema dell’idraulico polacco arrivato perfino nelle remote isole Shetland a “togliere lavoro ai lavoratori britannici”[4]. Molto di meno si è parlato dell’evoluzione delle componenti dell’immigrazione, cioè della scomposizione rispetto ai motivi che spingono alla migrazione; questi motivi, come vedremo meglio più avanti, giocano un ruolo fondamentale per la spiegazione dei flussi e risultano essere perfettamente funzionali alle esigenze della società britannica.
Le preoccupazioni di Cameron
Dall’ultimo bollettino trimestrale sulle statistiche migratorie dell’Office for National Statistics (ONS) risulta che ormai a partire dal dicembre 2008 si è registrata una costante diminuzione dei flussi in entrata dai cosiddetti paesi A8 (i paesi rientranti nell’allargamento dell’UE del 2004) e un costante aumento dei flussi in uscita verso quei paesi, tanto da far registrare un saldo negativo di circa 15.000 unità nel settembre del 2009[5] e una lieve ripresa nell’anno successivo che ha riportato il saldo al livello del periodo precedente l’allargamento (Figura 1). Segno che ormai non solo si è concluso l’esodo dai paesi A8 ma si è anche esaurita quasi completamente la forza attrattiva delle Isole Britanniche verso tali paesi.
Effettivamente Cameron sembra essere al corrente di questo aspetto tanto che asserisce, testualmente “it’s the numbers from outside the EU that really matter”. Tuttavia, dal 2004 le oscillazioni dei flussi migratori per motivi lavorativi sono state causate quasi esclusivamente da flussi provenienti dall’UE, mentre il gruppo dei lavoratori stranieri regolari provenienti da paesi non appartenenti all’UE, la cui entità può essere stimata attraverso il numero delle National Insurance Number Card (NINC) concesse, è rimasto quasi costante e mediamente intorno a 80.000 a trimestre[6]. Per un paese come il Regno Unito questi livelli di immigrazione possono considerarsi fisiologici e un loro abbassamento può rivelarsi un danno per l’economia nazionale.
Cameron sostiene, inoltre, di voler colpire soprattutto l’immigrazione illegale. Tuttavia questo è un fenomeno che nel Regno Unito si presenta in modo simile ad altri paesi dell’UE occidentale e comunque sotto la media UE[7].
Quello che Cameron non sa (o non dice)
Se distinguiamo i saldi migratori in base al motivo della migrazione (Figura 2) notiamo che il saldo migratorio di coloro che immigrano nel Regno Unito per motivi di studio è in continua crescita a partire dal 1992 e tra il 2001 e il 2009 il loro saldo è quasi triplicato fino a raggiungere il 40% di tutti gli immigrati del 2009[8]. Il saldo migratorio per ricongiungimento familiare è ormai piuttosto stabile intorno alle poche decine di migliaia e quello per lavoro, dopo il periodo di boom a seguito dell’allargamento del 2004 è andato diminuendo fino diventare negativo. Il sistema universitario britannico attrae numerosi studenti dagli altri paesi e tutti i governi britannici (sia conservatori, sia Labour, sia dell’attuale coalizione) hanno sempre sostenuto questa politica. Non è un caso che le università hanno sempre accettato di buon grado studenti stranieri facoltosi e fondi stranieri di dubbia provenienza[9].
Molto rumore per nulla…
Dunque la dinamica dell’immigrazione nel Regno Unito sembra essere stata caratterizzata negli ultimi anni essenzialmente dai flussi dall’est. Una volta sgonfiata la “bolla migratoria orientale”, e svelata la componente preponderante dell’immigrazione – quella legata allo studio[10] – le parole del primo ministro britannico che sostiene che si adopererà per la riduzione dei saldi migratori alle decine di migliaia ogni anno, così come era negli anni ‘80 e ’90 sanno tanto di populismo. Se il “fastidio” era verso gli idraulici polacchi, questo si è ormai dissolto; se invece si hanno a cuore i “British jobs for British workers”, il problema è che il lavoro scarseggia, non che è stato “rubato” dagli immigrati, e quel poco che c’è i britannici non lo vogliono fare. Per dirla con un illustre e saggio letterato connazionale di Cameron, much ado about nothing….
(http://www.guardian.co.uk/world/2011/apr/27/libya-links-with-lse?INTCMP=SRCH) del 27 aprile 2011.