Eh, sì, l’orologio di Neodemos, qui accanto, batti che ti ribatti, verso l’inizio di ottobre 2008 ha toccato quota 60 milioni. Il dato non è incoerente con le ultime informazioni dell’Istat (59,8 milioni alla fine di aprile), né con l’evoluzione storica della popolazione italiana (fig. 1), nelle cui “magnifiche sorti e progressive” i disastri della prima guerra mondiale (accompagnata dalla mortifera pandemia influenzale “spagnola” del 1918) segnano appena un’inflessione, e quelli della seconda guerra mondiale un semplice rallentamento.
Guardandoci adesso indietro, possiamo inoltre notare che per circa 20 anni, dal 1980 al 2000, non siamo praticamente cresciuti, e possiamo anche comprendere che, se fosse dipeso solo da noi, e dalla nostra bassa fecondità, staremmo adesso declinando. Invece, negli ultimi dieci anni circa, abbiamo ricominciato a crescere, grazie agli immigrati.
E, sì, il titolo di questo articolo è sbagliato: non siamo 60 milioni di italiani. Siamo invece 60 milioni di residenti in Italia, tra cui circa 3,5 milioni di stranieri, il 6% del totale. La maggioranza degli italiani sembra non volerli, il governo mette quote e classi “ponte”; la carceri ne sono piene; i CPT (centri di permanenza temporanea), sparsi un po’ in tutta Italia, scoppiano; la concessione della nazionalità è, appunto, una concessione e non un diritto, e arriva dopo tempi biblici: anche 20 anni per chi nasce e cresce in Italia, ma in una famiglia di stranieri.
Eppure sono solo loro, gli stranieri, che ci danno un po’ di dinamicità e che rallentano il processo di invecchiamento che sarà pure inesorabile, d’accordo, ma che produce effetti molto diversi se avviene con gradualità o, invece, repentinamente. Non si può crescere all’infinito su un territorio che, con i suoi 300 mila kmq (in buona parte montagnosi) è invece fisso. E se non si cresce numericamente, ma si vive più a lungo, la popolazione nel suo complesso invecchia. Se poi, oltre a vivere più a lungo si declina anche, l’invecchiamento si accentua, e tanto più quanto più bassa è la fecondità.
Gli arrivi degli immigrati degli ultimi anni, la loro fecondità relativamente elevata e le loro buone condizioni di salute (V. Stefano Molina & Giuseppe Costa, Immigrazione in Piemonte: un patrimonio di salute soggetto a erosione) ci stanno dando gli ultimi sprazzi di ossigeno prima di un declino demografico che incombe da tempo, ma che è stato per ora rimandato. Con il declino, si assisterà a un invecchiamento, che sarà rapido, e che vedrà riemergere con forza la questione previdenziale, accompagnata da quella sanitaria (con lunghe file ai servizi delle ASL – già oggi!) e da quella dell’assistenza agli anziani (v. Luciano Abburrà e Elisabetta Donati, Ferragosto, mamma mia non ti conosco!), non sempre autosufficienti (Joëlle Gaymu Con chi vivranno, domani, gli anziani non autosufficienti?).
La crisi economica che stiamo attraversando è molto seria, ma passerà. Quella demografica che si profila all’orizzonte, invece, oltre a essere forse più grave, sarà certamente più duratura. Chi ne parla mai? Chi ha il coraggio di dire che l’unica medicina che funziona è proprio quella che non vogliamo, quella degli immigrati?
Ma per ora, champagne! – il traguardo dei 60 milioni è raggiunto.