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I “100 Indicatori” sono sufficienti? (*)

Recentemente è apparsa la pubblicazione – a cura dell’Istat – “100 statistiche per il Paese. Indicatori per conoscere e valutare” (http://www.istat.it/dati/catalogo/20080507_01/).Si tratta, come viene sottolineato nella presentazione al volume nel sito dell’Istat, “..di un lavoro che arricchisce l’ampia e articolata produzione dell’Istat attraverso la selezione di alcuni indicatori, aggiornati e puntuali, raccolti in 103 schede e distribuiti su 17 settori di interesse che spaziano dall’economia alla cultura, al mercato del lavoro, alla qualità della vita, alle infrastrutture, alla finanza pubblica, all’ambiente”. Gli indicatori riportati in questa interessante sintesi della vita italiana descritta con dati quantitativi rappresentano, pertanto, la superficie di un prisma a 100 facce, un caleidoscopio con 100 brillanti elementi che – composti e ricomposti – disegnano quadri, più o meno armoniosi, ma diversi.
La maggior parte di queste tessere-indicatori, tuttavia, è caratterizzata da “impronte economiche”, mentre una parte minore da “impronte sociali”. O demografiche.
Assenze
Qualche perplessità suscitano dunque alcune lacune, alcune tessere che brillano per la loro assenza e che pure hanno a che fare con temi rilevanti, quali la salute e la condizione femminile. All’interno di questi temi esistono almeno due aspetti di grande rilevanza per discriminare, socialmente e territorialmente, gruppi più disagiati, regioni con livelli di qualità della vita più o meno all’altezza di standard di benessere elevati: sono la salute percepita da un lato e la violenza sulle donne dall’altro.
I relativi indicatori, la proporzione di persone che si sono dichiarate in non buona salute, e la proporzione di donne che hanno subito violenza, assumono un carattere simbolico e descrittivo molto importante. Il primo indicatore è considerato il miglior predittore della mortalità futura, mentre la proporzione di donne che hanno subito violenza è un descrittore della non-libertà e dell’integrità violata, e tralasciandolo, si trascura un’importante dimensione dell’empowerment femminile, uno degli obiettivi del progetto “Millennium Goals” (http://www.un.org/millenniumgoals/).
Si potrebbe obiettare a questo facendo riferimento ad un’altra pubblicazione dell’Istat, anch’essa recente, “I numeri delle donne”, ma preferisco pensare che alcuni di questi numeri siano così importanti da avere la dignità di essere indipendenti dal “genere”. D’altra parte la violenza sulle donne non fa male solo alle donne stesse, ma allo sviluppo sociale dell’intero sistema-paese, e, come tale, di diritto dovrebbe andare a contribuire a disegnare il quadro di sintesi presentato dall’Istat. Dovrebbe aiutare a costruire la superficie del prisma, a fare un caleidoscopio con tessere del “sociale” più numerose e “parlanti”, sullo stato delle donne e sullo stato del paese.
Statistiche: di che genere?

Ma le statistiche di genere latitano trasversalmente in tutta la pubblicazione, ad esempio per alcuni aspetti del settore della formazione e del lavoro. Eppure è importante sapere che, a fronte di migliori performance scolastiche e universitarie, le donne sono discriminate sul mercato del lavoro, perché a parità di mansioni sono pagate di meno (vedi Figura 1, dove la posizione italiana è confrontata con altri paesi europei).

Ma le donne italiane sono discriminate in diversi altri ambiti, ad esempio nelle rappresentanze politiche, valga a ricordarcelo la più bassa posizione dell’Italia nella graduatoria secondo l’indicatore di sviluppo umano per genere, che peggiora la già non entusiasmante posizione dell’indice di sviluppo umano tout-court… (in http://hdr.undp.org/en/statistics/; http://hdr.undp.org/en/media/hdr_20072008_tech_note_1.pdf)
L’importanza di questi elementi conoscitivi per la policy è indubbia: in un paese che invecchia e che, con l’attuale livello di fecondità (un numero medio di figli per donna di poco superiore a 1,3), invecchierà sempre di più, il mercato del lavoro soffrirà facilmente di carenze di giovani adulti, e la partecipazione delle donne, sempre più istruite e motivate, diviene indispensabile.
In Italia la proporzione di donne presenti nel mercato del lavoro (46%) è inferiore di circa 15 punti percentuali all’obiettivo di Lisbona ed il raggiungimento di questo standard dipende in gran parte dalla conciliazione famiglia-lavoro, che nel nostro paese è ancora un mito: le donne con più di un figlio che lavorano sono troppo poche (vedi Figura 2) (Istat, 2007). Gli incentivi in termini di policy sono indispensabili quindi, e la Statistica ufficiale, strumento fondamentale per le decisioni, non può permettersi di trascurare un aspetto che potrebbe rappresentare la chiave di volta della crescita sociale e economica del nostro paese.

Bibliografia, per saperne di più
Istat, 2007, Statistiche di genere, Approfondimenti, 7 marzo 2007, in: http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070307_00/testo_stat_genere.pdf
(*) Articolo presente anche su SIS-magazine
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