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Sostenere la famiglia e la natalità: mission impossible con le politiche proposte dal PDL

Tra le sette “missioni” che compongono il programma elettorale del PDL (Popolo delle Libertà), la seconda è quella di sostenere la famiglia. I punti del programma sono vaghi e non indicano sostenibilità e conseguenze della varie misure. Vediamo qui nel dettaglio perché alcune delle proposte (anzi, in parte, ri-proposte) rischiano di essere poco incisive e comunque a mancare il bersaglio del sostegno alle famiglie e alla fecondità italiana.

Una premessa: le peculiarità della situazione italiana
Perché possano essere definite tali, le politiche sociali devono inevitabilmente tenere conto non solo dei vincoli di bilancio, ma anche della situazione sociale sulla quale vanno ad operare e sugli obiettivi che possono perseguire. La premessa si rende necessaria perché alcune misure che in altri paesi fanno parte di pacchetti compositi e generosi, possono essere del tutto inadeguate se proposte da sole e in un contesto segnato da gravi problemi specifici.
Alcuni fatti differenziano, in maniera negativa, l’Italia dalla media europea. L’Italia ha una bassissima fecondità che preoccupa non solo per le nefaste conseguenze in termini di progressivo invecchiamento della popolazione, ma anche perché le coppie italiane fanno fatica a realizzare i propri desideri riproduttivi. In Italia ci sono pochi trasferimenti diretti alle famiglie con figli e il costo diretto di un figlio è alto dalla nascita fino all’età adulta. Le donne italiane in età feconda hanno la più bassa partecipazione lavorativa d’Europa, che cala in corrispondenza della nascita di un figlio. L’incidenza della povertà è molto alta per le famiglie con figli, cresce al crescere del numero dei figli ed è ancora più alta per quelle con un solo percettore di reddito, nella maggior parte dei casi, quindi, quando la madre non lavora (Istat, 2007).
La conciliazione tra lavoro femminile e cura dei figli è particolarmente difficile nei primi anni di vita per un’insufficiente disponibilità di servizi, tanto che lavorano di più e sono più feconde le donne che hanno i figli in custodia dai nonni (Marenzi e Pagani, 2003).
In questo quadro l’obiettivo principale delle politiche di sostegno della famiglia e della natalità dovrebbe essere quello di conciliare il lavoro familiare e remunerato, di incentivare il lavoro femminile e incoraggiare il lavoro delle madri.
Bonus bebè: uno spreco di soldi pubblici?
Il programma del PDL prevede la “reintroduzione del “bonus bebè” per sostenere la natalità”.
La misura non è chiara: non si capisce se sarebbe attribuito alla nascita di ogni figlio, indipendentemente dall’ordine di nascita, non se ne conosce l’entità, né la durata (ad esempio: solo alla nascita o ripetuto nei primi anni di vita?).
Che sia mini, o maxi, sul baby bonus sono stati versati litri di inchiostro, e la conclusione della comunità scientifica è unanime: si tratta di una misura costosa per le finanze pubbliche, che incide poco sul bilancio delle famiglie e senza nessun effetto sulla natalità.
È un sussidio indiscriminato, dato anche a coloro che non ne hanno bisogno, con un dubbio impatto ridistribuivo. È un contributo più simbolico che reale, perché è poca cosa di fronte ai costi diretti dei figli o del mancato guadagno delle madri, soprattutto se è dato una tantum, alla nascita, mentre i costi dei figli sono di lunga durata. Le stesse risorse potrebbero essere utilizzate con un sicuro impatto redistributivo, aiutando le famiglie con figli più bisognose, o per favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia e quindi aumentando i servizi all’infanzia.
Molti studi (es. Del Boca, Pasqua e Vuri 2007) mostrano che di fronte a risorse pubbliche limitate, per incoraggiare la fecondità conta più la disponibilità di posti di cura per i figli in età prescolare che non i trasferimenti, proprio perchè i servizi favoriscono la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
La strada da percorrere per rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra i desideri di fecondità delle coppie e la realizzazione di essi per problemi organizzativi e di conciliazione è quella di offrire maggiori servizi alla prima infanzia, che siano flessibili quanto quelli delle reti dei nonni, e a costi diversi secondo il reddito familiare.
Il quoziente familiare? Due conti a favore dei nidi
Il programma del PDL prevede una “graduale e progressiva introduzione del “quoziente familiare” che tiene conto della composizione del nucleo familiare”. Questo sistema di tassazione è ispirato ad un principio condivisibile, ma a nostro avviso risulta fortemente inadatto al caso italiano perché creerebbe verosimilmente una perdita di gettito, perché non avrebbe effetti ridistribuivi, ma anzi, in assenza di adeguati correttivi, assicurerebbe una vantaggio ai nuclei familiari più ricchi, e perché sarebbe un disincentivo al lavoro del componente con il reddito più basso, di solito la donna ( si veda Rapallini “Tre riflessioni sul quoziente familiare”).
Nel programma c’è per la verità anche un riferimento vago ai servizi di cura, da finanziare “attraverso fondi pubblici e detassazioni”, per asili aziendali (che però incidono poco in un paese come il nostro, di medie e piccole aziende) e servizi sociali.
Ma vediamo di argomentare meglio perché una maggiore offerta di servizi pubblici all’infanzia sarebbe equa, redistributiva e generosa per le famiglie italiane.
Nella tavola che segue abbiamo stimato l’effetto sui bilanci delle famiglie che hanno bambini sotto i tre anni di età derivante dalla realizzazione di un piano che prevedesse la copertura della domanda potenziale di asili nido al 25 per cento. La domanda potenziale di posti all’asilo nido è stimata utilizzando i dati dell’indagine FFS dell’Istat (anno 2003) selezionando le donne che hanno figli sotto i tre anni di età. Abbiamo ipotizzato il costo medio della soluzione privata, intendendo con questo termine il costo di un’assistente domestica (baby sitter) retribuita per 8 ore al giorno, per 22 giorni al mese e 11 mesi l’anno secondo le retribuzioni INPS. Nel caso di nuclei con più di un figlio abbiamo assunto che un’unica baby sitter provveda per due o tre bambini sempre allo stesso costo (quindi sottostimandolo) per la famiglia. Abbiamo poi escluso i bambini che nel 2004 risultavano già accolti in strutture di asilo nido pubblico secondo i dati forniti dal Ministero della famiglia e calcolato quanti sarebbero i nuovi posti. A ciascuna famiglia beneficiaria di un nuovo posto è stato imputato un risparmio pari alla differenza tra il costo della soluzione privata e quella dell’asilo nido pubblico (in media la retta imputata è 290 euro al mese). Come evidenzia la tabella, si tratta di un risparmio di oltre 10 mila euro l’anno per le famiglie con un bimbo sotto i tre anni, di oltre 7 mila euro per quelle che ne hanno due e di oltre 4 mila per i nuclei con tre bambini. In aggregato si tratterebbe di un trasferimento di risorse alle famiglie che supera i 3 miliardi di euro.
In altri termini sarebbe un trasferimento di risorse alle famiglie che supera l’1.5 per cento del gettito Irpef, da confrontare con la perdita di gettito, stimata tra il 2 ed il 3 per cento delle entrate Irpef, che l’introduzione del quoziente familiare comporterebbe. Un piano che portasse i posti degli asili nido alla copertura del 40-50 per cento della domanda potenziale (come nella maggior parte degli altri paesi europei) equivarrebbe a un trasferimento di risorse alle famiglie pari al costo del quoziente familiare. Ma con due differenze importanti: incentiverebbe il lavoro femminile, disincentivato invece dal quoziente familiare, e non andrebbe a beneficio dei più ricchi, come accade invece con il quoziente.
Donne con bambini da 0 a 3 anni

 

Nuclei (in migliaia)

 

Bambini (in migliaia)

 

Spesa privata del nido (all’anno)

 

Bambini che sono già in un nido (*) (in migliaia)

 

Bambini al nido secondo il Piano Veltroni (in migliaia)

 

Posti nuovi

 

Spesa per l’asilo (**) (media annua)

 

Risparmio annuo medio

 

Risparmio in aggregato (in milioni di euro)

 

Nuclei con 1 figlio

 

1382

 

1382

 

13717

 

165

 

345

 

181

 

3190

 

10527

 

1905

 

Nuclei con 2 figli

 

98

 

195

 

13717

 

21

 

49

 

28

 

6380

 

7337

 

205

 

Nuclei con 3 figli

 

5

 

14

 

13717

 

3

 

4

 

1

 

9570

 

4147

 

4

 

Totale

 

1485

 

1591

 

189

 

398

 

209

 

2115

 

Fonte: nostra elaborazioni Indagine Multiscopo Istat, anno 2003
(*) Fonte: Ministero della Famiglia, anno 2004
(**) Fonte: Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva
Per saperne di più:
Del Boca D., Pasqua S., Vuri D. (2007) Pari opportunità anche di restare al lavoro, LaVoce.info (http://www.lavoce.info/articoli/pagina2599.html)
Istat (2007) La povertà relativa in Italia. Anno 2006, Roma (http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20071004_01/)
Marenzi A., Pagani L. (2003) Più nidi, più figli, LaVoce.info (http://www.lavoce.info/articoli/-famiglia/pagina723.html)
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