Popolazione mondiale:

Popolazione italiana:

Giovani (0-19 anni):

Anziani (64+ anni)

“Donna che sa il latino è rara cosa….

“… ma guardati dal prenderla in isposa”, dice un vecchio adagio. Che contenga un fondo di verità?

Sempre più scioglimenti coniugali

L’Italia, nel contesto europeo, detiene il primato del più basso livello di instabilità matrimoniale (figura 1). Tuttavia, negli ultimi tempi, anche il nostro paese, ha mostrato una progressiva crescita di scioglimenti di matrimonio (figura 2): tra il 1995 e il 2005, ad esempio, la quota dei matrimoni che terminano con un divorzio è salita da 80 a 151 per 1000 – con un aumento del numero assoluto dei divorzi pari al 75% (Istat, 2007). Le differenze territoriali sono molto marcate: si va da valori intorno al 30% di matrimoni sciolti nel caso della Liguria, a valori inferiori al 10% di Basilicata e Campania.

Chi si separa in Italia?

I risultati di una recente ricerca basata sull’indagine multiscopo Istat “Famiglie e soggetti sociali” (del 2003) mostrano che le donne con un più alto rischio di scioglimento dell’unione sono quelle nate nei decenni più recenti, che si sono sposate in età più giovane, che vivono nel Centro o nel Nord Italia, che hanno una visione meno tradizionale del matrimonio, che hanno esperienze di divorzio in famiglia, che hanno conseguito alti titoli di studio, e che lavorano.
Le figlie di separati/divorziati sono caratterizzate da una più elevata tendenza alla separazione. Si può parlare, in tal senso, di “diffusione verticale dei modelli familiari”: in un contesto come quello italiano, in cui i rapporti con i genitori restano centrali nella vita dei figli anche quando si ha una famiglia propria, è probabile che le donne con genitori divorziati incontrino minori ostacoli psicologici, e forse percepiscano anche una minore disapprovazione sociale, prima di risolversi a rompere il proprio matrimonio.

Lavoro e separazione

Accanto ai bassi livelli di separazione, in Italia troviamo anche un tasso di occupazione femminile ben inferiore alla media europea. Nel 1990 il tasso di occupazione per le donne in età 25-54 anni era del 54%, contro il 64% rilevato mediamente nei paesi dell’Europa dei 15. Secondo i dati dell’OECD (2005), il tasso di occupazione femminile in Italia oggi è in aumento (64% nel 2004), ma la posizione relativa dell’Italia in Europa non è molto cambiata, visto che il tasso di occupazione per le 25-54enni dell’UE-15 nel 2004 ha raggiunto il 76%.
C’è un legame tra il lavoro femminile e lo scioglimento delle unioni? Di certo c’è che negli ultimi decenni l’Europa ha visto la diffusione dei divorzi crescere parallelamente a un forte incremento della partecipazione femminile al mercato del lavoro. I due processi, quindi, vengono spesso posti in connessione, ipotizzando che i mutamenti nel ruolo economico della donna abbiano generato un aumento del rischio di scioglimento del matrimonio.
In questo senso, oltre a quanto già descritto, la ricerca sopra menzionata rivela che la partecipazione della donna al mercato del lavoro ha indubbiamente un forte impatto sugli scioglimenti coniugali. Le donne occupate (sia con lavoro permanente, sia con lavoro temporaneo) presentano un rischio doppio di sciogliere il matrimonio se confrontate con quelle che non lavorano. Godere di una qualche forma di reddito sembra quindi ridurre i vincoli della donna a prolungare un matrimonio infelice, permettendo di affrontare meglio le spese connesse alla separazione, così come quelle legate al “nuovo inizio”[1].

“Donna che sa il latino”, appunto …

Inoltre, le donne con più elevati livelli di istruzione, occupate o non occupate che siano, presentano una più elevata propensione alla separazione e al divorzio. L’investimento in un processo formativo è spesso collegato a migliori prospettive di reddito e di gratificazione personale, e anch’esso, come il lavoro, contribuisce a rendere meno necessaria la presenza di un marito, vuoi per dare un senso alla propria vita, vuoi, più prosaicamente, per arrivare alla fine del mese. L’istruzione, in breve, innalza le aspettative delle spose, ma a queste più alte aspettative la realtà, evidentemente, fatica ad adeguarsi.





Per approfondimenti:
Ferro I. e Vignoli D. (2007) Does women’s employment influence marital disruption in Italy?, WP 2007/08 del Dipartimento di Statistica “G. Parenti”, Florence University Press (http://www.ds.unifi.it/ricerca/pubblicazioni/working_papers/2007/wp2007_08.pdf)
Istat (2003) Famiglia e soggetti sociali
(http://www.istat.it/strumenti/rispondenti/indagini/famiglia_societa/famigliesoggettisociali/)
Istat (2007) Separazioni e divorzi in Italia. Anno 2005, “Statistiche in breve”, Roma, giugno (http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070626_01/testointegrale.pdf)
OECD (2005) Employment Outlook. www.oecd.org


[1]Si veda., ad esempio, Aassve A., Betti G., Mazzuco S., Mencarini L. (2005), Marital disruption and economic well-being: A comparative analysis. Journal of the Royal Statistical Society A, 170(3), 781–799.
*Università di Firenze
** Università “La Sapienza” di Roma

 

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