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Quando le seconde generazioni eravamo noi…

Le emergenze delle più recenti ondate migratorie verso l’Italia hanno velocemente spostato l’attenzione dal tema degli italiani all’estero a quello degli stranieri in Italia. Si tende ormai a considerare l’emigrazione dei nostri connazionali come un fenomeno del passato. Al più, oggi si parla di “fuga di cervelli”, cioè una realtà lontana anni luce non solo dai lustrascarpe e dai mendicanti con le scimmiette in spalla di inizio Novecento, ma anche dai frontalieri in Svizzera, e dagli operai nelle industrie tedesche e nei cantieri francesi e australiani.

Cosa resta dell’emigrazione italiana?

Tuttavia, i segni della migrazione di un tempo restano ancora ampiamente visibili non solo nel vissuto dei tanti italiani emigrati all’estero, ma anche e soprattutto in quello dei loro figli, le seconde generazioni italiane, depositari di norme e valori propri della cultura italiana ma che hanno sempre vissuto, studiato e lavorato fianco a fianco con i figli di chi immigrato non è. Sono loro l’eredità più visibile e importante dell’emigrazione italiana. Proprio ora che si va sviluppando lo studio delle seconde generazioni di immigrati in Italia, potrebbe essere utile capire come si è evoluto il processo di integrazione dei figli italiani all’estero: hanno goduto delle stesse opportunità di ascesa sociale rispetto agli autoctoni oppure l’esperienza migratoria dei loro genitori si è rivelata un ostacolo?
Il successo scolastico dei figli degli italiani all’estero

Utilizzando dati derivanti da indagini campionarie realizzate in Francia, Svizzera e Australia[1], tre paesi che hanno costituito importanti mete dei flussi migratori dall’Italia, è stato possibile valutare la probabilità di ottenere un titolo di studio secondario superiore per le seconde generazioni italiane (individui nati nel paese di destinazione con entrambi i genitori nati in Italia) rispetto agli autoctoni (figli di genitori non immigrati) a parità di background familiare (ovvero, in funzione dei dati disponibili, stessa struttura familiare, pari condizioni economiche, uguale livello di istruzione, ecc.).

I principali risultati dell’analisi, mostrati in tavola 1, evidenziano profonde differenze tra le ondate migratorie più antiche e quelle più recenti in Francia e Australia. La probabilità di conseguire un diploma è superiore di circa il 25%[2] per i figli di francesi rispetto ai figli di italiani quando la data di nascita (e quindi, a fortiori, quella di immigrazione dei genitori) è antecedente al 1950; i figli di australiani nati prima del 1960 mostrano addirittura una probabilità doppia rispetto ai figli di italiani di pari età. Lo scenario si ribalta completamente per i nati in anni più recenti. Al netto del forte effetto delle caratteristiche della famiglia di origine, i figli di italiani mostrano una probabilità superiore del 17% in Francia, e doppia in Australia, di ottenere un diploma di scuola superiore rispetto ai pari età autoctoni. Anche in Svizzera, dove è stato possibile considerare solo coorti nate dopo il 1950, appare una probabilità quasi doppia per i figli di italiani di conseguire questo livello d’istruzione. I risultati sembrano confermarsi anche relativamente alla probabilità di ottenere un titolo di studio terziario, sebbene in Australia e Svizzera le differenze non sono supportate da una adeguata significatività statistica.

E’ opportuno sottolineare che in ognuno dei tre paesi considerati il vantaggio dei figli degli italiani tende a crescere quando l’analisi è limitata al segmento di popolazione con una bassa estrazione sociale. Questo mette bene in evidenza l’abilità delle famiglie di origine italiana all’estero nel far fronte a risorse limitate e, allo stesso tempo, nell’offrire una adeguata istruzione ai loro figli. Come viene spesso sottolineato, i benefici futuri per i figli sono spesso la motivazione più importante sottostante la decisione di emigrare. In tal senso, non ci sorprende che, quando le condizioni contestuali sono favorevoli, le seconde generazioni possano raggiungere, nel mondo della scuola e del lavoro, risultati paragonabili a quelli degli autoctoni, se non addirittura migliori.
Cosa è cambiato? Uno sguardo fuori e dentro il nostro paese

Cosa spiega il forte divario osservato tra le seconde generazioni di italiani nate prima del secondo dopoguerra, in particolare prima del 1950 in Francia e prima del 1960 in Australia, e quelle nate successivamente? Le recenti ondate migratorie in uscita dall’Italia sono state caratterizzate da più alti livelli di istruzione e da una manodopera mediamente più qualificata, con conseguente innalzamento delle ambizioni per i migranti e i loro figli. Ma questo aspetto è tenuto sotto controllo nelle stime precedenti e non basterebbe comunque a spiegare le differenze riscontrate. Bisogna tener conto dei cambiamenti nel contesto sociale di arrivo: nel corso del XX secolo, in paesi come Francia e Australia, è profondamente cambiata l’accoglienza riservata agli italiani, per vari motivi tra cui, non ultimo, la preferenza loro accordata rispetto a nuovi e meno desiderati immigrati come, ad esempio, gli algerini in Francia, i sud-est asiatici in Australia e i maghrebini in Svizzera. Chi appartiene alle ondate migratorie più recenti ha avuto anche l’importante vantaggio di disporre al momento dell’arrivo di una presenza già consolidata di famiglie della stessa origine. Infine, non è certo da trascurare l’importanza del bagaglio di principi e valori acquisiti nel paese d’origine: in Italia è fortemente cresciuta, dagli anni ’50 in poi, la fiducia nell’istruzione quale strumento di ascesa sociale e chi è emigrato in questi anni, a differenza dei predecessori, ha portato con sé questo orientamento.

Pur partendo dalle notevoli difficoltà dei nuclei familiari nelle prime fasi dell’esodo, l’esperienza migratoria degli italiani, soprattutto se vista da una prospettiva multigenerazionale, si è dunque trasformata con il passare del tempo in un successo. Possono questi risultati dare indicazioni su come affrontare le sfide che le seconde generazioni di immigrati rappresentano oggi nel nostro paese? Nel fare paragoni tra contesti storici e geografici diversi le cautele non sono mai troppe, ma si tratta di un precedente che induce all’ottimismo, tanto più se in Italia ci si sforzerà di creare condizioni favorevoli a una buona integrazione degli immigrati e dei loro figli.

Tavola 1 Rischi relativi (odds ratio) di ottenere uno specifico titolo di studio rispetto alla categoria di riferimento (autoctoni). Modelli di regressione logistica stimati separatamente per coorti di nascita.

Francia

Australia

Svizzera

-1949

1950-79

1930-59

1960-79

1950-79

Titolo di studio secondario superiore

Autoctoni (rif.)

1

1

1

1

1

Seconde generazioni di italiani

0,81**

1,17***

0,52**

2,00**

1,92*

Titolo di studio terziario

Autoctoni (rif.)

1

1

1

1

1

Seconde generazioni di italiani

0,80**

1,15**

0,58

1,45

1,39

Significatività statistica: *** ≥99%; **≥95%; * ≥ 90%

Altre variabili incluse nei modelli: coorte quinquennale, genere, categoria socio-professionale dei genitori, numero di fratelli e sorelle, ordine di nascita, entrambi i genitori presenti ai 14 anni, area di residenza. (Guida alla lettura: il valore di 0,81 per le seconde generazioni di italiani in Francia nati prima del 1950 significa che la probabilità di un discendente italiano di ottenere un diploma di scuola superiore era pari all’81% di quella di un autoctono. Valori superiori a 1 indicano invece una probabilità maggiore per un discendente italiano che non per un autoctono)


[1] Per maggiori dettagli, si veda Impicciatore R. (2005) "Un progetto migratorio di successo? L’istruzione delle seconde generazioni di italiani all’estero", Altreitalie, gennaio-giugno (http://www.altreitalie.it/UPLOAD/ALL/84087.pdf )

[2] Questa percentuale si ottiene dal rapporto tra 1 e 0,81.
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