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Quando la decisione individuale di tornare nel proprio paese fa la differenza

Spesso si tendono a considerare i migranti di ritorno come un blocco monolitico e uniforme. Ancora più spesso si focalizzano l’attenzione e l’analisi su particolari categorie di migranti di ritorno, considerando la loro esperienza come rappresentativa di tutti. Ma questi semplici automatismi possono risultare a volte fuorvianti.

Almeno due categorie di migranti di ritorno
Una chiave di lettura alternativa, ma particolarmente accattivante, è quella che pone in primo piano la distinzione tra due differenti categorie di migranti di ritorno: i migranti che decidono autonomamente di rientrare e quelli che sono invece costretti dalle circostanze. Risulta, infatti, essenziale portare l’attenzione sull’esistenza o meno di un processo decisionale. Ed è proprio il versante della decisione individuale ad essere spesso trascurato – quando non omesso – nelle analisi su questo tema.
Focalizzando l’attenzione sull’area del Maghreb (Algeria, Marocco e Tunisia), l’indagine condotta nell’ambito del progetto MIREM[1] interviene nel colmare alcune lacune informative relative ai modi di reintegrazione dei migranti di ritorno. L’indagine sul campo è stata condotta simultaneamente in Algeria, Marocco e Tunisia tra settembre 2006 e gennaio 2007 e ha raccolto complessivamente 992 interviste. La rilevazione è stata realizzata attraverso la somministrazione di un questionario che mirava a raccogliere informazioni riferite a tre differenti momenti: la situazione del migrante prima della partenza per l’estero, la sua esperienza migratoria all’estero, il ritorno nel paese di origine. La definizione del migrante di ritorno, adottata dal MIREM, che ricalca in parte quella delle Nazioni Unite, è la seguente: ogni persona che, nel corso degli ultimi dieci anni, è ritornato nel paese di cui ha la cittadinanza dopo essere stato un migrante internazionale in un altro paese, a corto o a lungo termine.
Chi rientra per scelta, e chi per costrizione
Alla luce dei dati raccolti, la distinzione tra il migrante “che ha deciso” e il migrante “che è stato costretto” si è rivelata fondamentale, tanto da divenire un elemento chiave per la comprensione dei modi di reintegrazione.
La maggioranza degli intervistati, quasi il 75%, è riconducibile alla categoria dei migranti “per scelta”, che sono mediamente un po’ più anziani degli altri: il 18% di essi ha 65 anni o più. Le differenze tra i due gruppi sono notevoli. Ad esempio, tra i migranti “forzati” molti (quasi il 45%) hanno dichiarato di non aver raccolto alcuna informazione sul ritorno prima del loro rientro. Viceversa per i migranti “decisi” tale quota scende al di sotto del 30%.
Se si confronta la situazione finanziaria al momento dell’intervista con quella sperimentata all’estero si nota come quasi la metà di coloro che hanno deciso di rientrare riscontra un miglioramento; mentre per quasi la metà dei migranti forzati a rientrare la situazione sembra essere peggiorata (Tabella 1).
Tabella 1 – “La Sua situazione finanziaria attuale rispetto a quella vissuta all’estero…” per tipologia di migrante di ritorno
Migranti che hanno
deciso di tornare (%)
Migranti costretti
a tornare (%)
Totale (%)
E’ molto migliorata
15,6
6,1
13,4
E’ migliorata
31,3
17,7
28,1
E’ rimasta la stessa
26,0
21,2
24,9
E’ peggiorata
21,8
47,2
27,7
Senza opinione
4,9
6,9
5,3
Risposte mancanti
0,4
0,9
0,5
Totale (valore assoluto)
761
231
992
Fonte: MIREM, © EUI
Sempre sul versante economico, appare interessante considerare la differenza tra i due gruppi nella realizzazione di progetti al ritorno nel proprio paese. Quasi il 40% dei primi ha realizzato almeno un progetto, contro il 20% della seconda categoria.
Altre differenze tra i due gruppi attengono alle difficoltà incontrate dopo il rientro nel paese di origine. Per i migranti “per scelta”, le difficoltà principali riguardano i problemi amministrativi, il “riadattamento” e le inefficienze del sistema sanitario. Per coloro per cui, invece, il rientro è stato non deciso ma subito, le maggiori difficoltà sono state individuate nella disoccupazione dopo il rientro in patria, nel basso livello dei salari, nel riadattamento e nei rapporti con le autorità locali. Tale stato di malessere diffuso, manifestato in particolare da chi è stato costretto a rientrare, viene anche confermato dal fatto che solo il 34% di questi ha dichiarato di essere contento di avere fatto ritorno al proprio paese, contro il 76% dei migranti per libera scelta.
Ma c’è almeno una cosa che accomuna le due categorie di migranti: la scarsa assistenza da parte delle autorità pubbliche del proprio paese di origine, di cui ha beneficiato, nel complesso, meno di un migrante su dieci.
Nonostante lo scarso coinvolgimento delle istituzioni, una porzione di migranti è riuscita a far fruttare bene la propria esperienza migratoria all’estero. E, anche in questo caso, il maggiore o minor successo del reinserimento nel proprio paese di origine appare legato alla decisione individuale di porre fine al soggiorno all’estero.
Il ritorno in patria non è sempre definitivo
Emerge, inoltre, un’ulteriore relazione tra questo elemento decisionale e le eventuali intenzioni di ri-emigrare, benché tale orientamento sembri modificarsi nel tempo. Infatti, se si invitano i rispondenti a ripensare al momento del rientro, avvenuto talvolta diversi anni prima dell’intervista, il 60% dei migranti “per scelta” percepiva tale rientro come definitivo contro il 28% dei migranti “forzati”. Sembrerebbe quasi che chi è dovuto rientrare valuti l’esperienza all’estero come ancora non conclusa e voglia nuovamente investirvi, senza perdersi del tutto d’animo su un suo esito non soddisfacente.
La situazione cambia, però, quando una domanda di contenuto analogo è posta con riferimento al presente. In questo caso si nota come una parte di coloro che, al momento del ritorno, erano convinti di voler restare in patria in modo permanente abbia, invece, rivisto tale atteggiamento. Infatti, solo il 26% ha dichiarato con certezza di non voler più ripartire, e un altro 16% ha dichiarato di non voler di ripartire “per il momento”: anche sommando queste due categorie si arriva solo al 42%, cioè molto meno del 60% precedentemente osservato.
L’evoluzione di tale atteggiamento, oltre a incrinare il mito del ritorno a tutti i costi, induce ancora una volta a riflettere sull’importanza del processo di reinserimento nel paese di origine, in un contesto che talvolta è rimasto troppo statico, talaltra ha subito invece forti mutamenti rispetto alla situazione pre-migratoria. In entrambi i casi, ad assumere un ruolo di primo piano nella decisione, o nel desiderio, di emigrare nuovamente verso l’estero è la mancanza di prospettive, sottolineata soprattutto dai migranti di ritorno “forzati”.
Questi risultati invitano a riflettere sull’importanza della decisione individuale della migrazione di ritorno, da non confondere con il rientro cosiddetto «volontario», o «assistito», che, nel programma di azione per il ritorno dell’Unione Europea (Return Action Programme), è definito come “partenza assistita di una persona verso il proprio paese di origine, o verso l’ultimo paese di transito o un altro paese terzo”. In questo programma, la dimensione della sovranità della decisione individuale può risultare talvolta ambigua, mentre, come abbiamo visto, è proprio l’esistenza di tale decisione, e di ciò che ne discende, a fare la differenza.


[1]Il progetto MIREM – Migration de retour au Maghreb (http://www.mirem.eu/), ospitato presso il Robert Schuman Centre for Advanced Studies, è stato avviato nel dicembre 2005 grazie al cofinanziamento dell’Unione Europea e dell’Istituto Universitario Europeo.
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