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Il divario generazionale

Crisi di gioventù

Le nuove generazioni corrono il rischio concreto di un arretramento nelle condizioni di vita rispetto a quelle che le hanno precedute. La realizzazione delle necessarie riforme del sistema pensionistico ha generato significative disparità tra generazioni, anche contigue, di lavoratori, e il lungo periodo di transizione previsto per l’entrata a regime delle nuove regole ha aumentato il costo finale a carico di quelle più giovani (Rossi, 1997, Mazzaferro e Toso, 2006). Questa minor ricchezza pensionistica non sembra compensata da un maggiore successo nel mercato del lavoro. I lavoratori più giovani incontrano difficoltà crescenti nel costruirsi una carriera lavorativa che consenta il pieno sviluppo delle attitudini e delle capacità individuali, e consenta l’indipendenza dalle famiglie di origine (Livi Bacci, 2005). Tra i fattori penalizzanti vi sarebbero le riforme che hanno inciso prevalentemente sulle condizioni di ingresso nel mercato del lavoro e che avrebbero contribuito ad ampliare la frattura generazionale tra “giovani” e “vecchi” lavoratori.

Un gradino sotto
In un quadro di generale moderazione salariale, in cui la rapida crescita dell’occupazione si è accompagnata a un ristagno della produttività, a una modesta crescita del prodotto e a una sensazione di generale impoverimento che va oltre quanto indicato dall’evidenza empirica (Brandolini et al, 2006; Boeri e Brandolini, 2004), le difficoltà denunciate potrebbero essere generali, e riguardare l’intero mondo del lavoro. Ma i dati dell’indagine sulle famiglie della Banca d’Italia mostrano che il salario relativo dei lavoratori dipendenti più giovani si è effettivamente ridotto nel corso degli anni novanta. Alla fine degli anni ottanta le retribuzioni nette medie mensili degli uomini tra i 19 e i 30 anni erano del 20% più basse di quelle degli uomini tra i 31 e i 60 anni, e la differenza era salita al 35% nel 2004. Un andamento simile si osserva per le retribuzioni orarie, che non risentono della crescente diffusione del lavoro part-time, ed è riscontrabile a tutti i livelli di istruzione. L’evoluzione del divario, inoltre, non dipende neppure dai cambiamenti nella composizione settoriale dell’occupazione nell’arco di tempo considerato.
La dinamica del differenziale retributivo tra generazioni riflette essenzialmente il declino dei salari d’ingresso. La linea più spessa della figura 1 ne illustra gli sviluppi in due specifici gruppi di lavoratori dipendenti, tratti dalla banca dati dell’Inps: quelli entrati nel mercato del lavoro a 21-22 anni e a 25-26 anni. Nel decennio 1992-2002 il salario mensile iniziale ai prezzi del 2002 è diminuito di oltre 11 punti percentuali per i giovani entrati sul mercato del lavoro tra i 21 e 22 anni, presumibilmente diplomati (da 1.200 euro mensili a meno di 1.100). L’analoga diminuzione è stata di 8 punti percentuali per quelli tra i 25 e i 26 anni, potenzialmente laureati (da 1.300 a 1.200 euro mensili). Per entrambi i gruppi, i salari d’ingresso sono tornati nel 2002 sui livelli di venti anni prima.
La figura 1 illustra anche l’evoluzione del salario successiva all’ingresso nel mercato del lavoro (le linee più sottili) per varie coorti di individui[1]. Risulta evidente come la riduzione del salario di ingresso non sia stata controbilanciata da una carriera e quindi una crescita delle retribuzioni più rapida. La perdita di reddito nel confronto con le generazioni precedenti permane, almeno durante i primi anni di attività.

Alla ricerca delle cause
Perché è accaduto tutto ciò? Una prima possibile spiegazione si basa su considerazioni d’offerta: la teoria economica suggerisce che all’aumentare della disponibilità di un fattore della produzione il suo prezzo diminuisce. Le tendenze demografiche vanno, tuttavia, nella direzione opposta: il progressivo invecchiamento della popolazione avrebbe dovuto contribuire a sostenere i salari dei più giovani, diventati più scarsi e maggiormente istruiti. Né vi sono indicazioni che l’aumento della quota di giovani tra i lavoratori più istruiti (p.e. i laureati) abbia generato un eccesso di offerta e abbia frenato la crescita dei loro redditi.
Una seconda possibile spiegazione è che l’elevata moderazione salariale abbia consentito un più rapido ingresso rispetto al passato dei lavoratori meno abili, riducendo le retribuzioni medie dei nuovi assunti. Se il calo dei salari medi d’ingresso fosse attribuibile all’entrata di lavoratori meno qualificati con retribuzioni mediamente inferiori, si dovrebbe osservare un aumento della dispersione salariale. Ma questo non è il caso: sia per le persone occupate per la prima volta a 21-22 anni sia per quelle occupate per la prima volta a 25-26 anni, la dispersione dei salari d’ingresso, misurata dal coefficiente di variazione, si è ridotta fino ai primi anni novanta per poi tornare ad aumentare solo lievemente.
Sembra allora plausibile avanzare una terza ipotesi: in un quadro di generale moderazione salariale, l’aggiustamento delle retribuzioni potrebbe essere stato asimmetrico e aver penalizzato maggiormente le prospettive dei lavoratori neoassunti rispetto a quelle dei lavoratori già impiegati.

Per approfondire:

Boeri, T., Brandolini, A. (2004), The Age of Discontent: Italian Households at the Beginning of the Decade, Giornale degli Economisti e Annali di Economia, n. 3/4.
Brandolini A., Casadio P., Cipollone P., Magnani M., Rosolia A., Torrini R. (2006), Employment Growth in Italy in the 1990s: Institutional Arrangements and Market Forces, in Acocella N., Leoni R. (editori), Social Pacts, Employment and Growth. A Reappraisal of Tarantelli’s Thought, Physica-Verlag, in corso di pubblicazione.
Livi Bacci M. (2005), Il Paese dei giovani vecchi, il Mulino, v. 54, pp.409-419.
Mazzaferro C., Toso S. (2006), The effects of Social Security on the Distribution of Wealth in Italy, paper presentato alla conferenza IARIW del 2006, http://www.iariw.org/c2006.asp#S-8B
Rosolia e Torrini (2006), The Generation Gap: an analysis of the decline of relative wages of young Italian males, Banca d’Italia, manoscritto.
Rossi N. (1997), Meno ai padri più ai figli, Il Mulino, Bologna.

[1] Ciò è possibile perché il campione è longitudinale: gli stessi individui sono seguiti nel corso del tempo, e i loro salari rilevati in anni successivi.
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