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Cercasi giovani (disperatamente): l’Italia e i grandi paesi europei*

Oltre all’invecchiamento e al suo recente decremento, la popolazione italiana ha registrato negli ultimi quarant’anni una sensibile riduzione dei suoi giovani (under 15), oggi notevolmente meno numerosi rispetto ai loro coetanei che vivono in Germania, Regno Unito e Francia. Salvatore Strozza ne mostra le ragioni, tenendo conto dell’evoluzione della fecondità e della dimensione media delle generazioni riproduttive, e richiama schematicamente le strategie per favorirne un incremento futuro e per contenere lo svantaggio rispetto agli altri paesi europei di taglia demografica simile.

È noto come l’Italia sia uno dei paesi al mondo con i valori più elevati di sopravvivenza (la vita media alla nascita nel 2022 è stimata in 82,6 anni, 80,5 per gli uomini e 84,8 per le donne) e quelli più bassi di fecondità (il tasso di fecondità totale del momento è tornato dal 2019 sotto 1,3 figli per donna, sempre più lontano dalla soglia di sostituzione di 2,1), combinazione che ha determinato un intenso processo di invecchiamento (le persone di 65 anni e più sono ad inizio 2023 oltre il 24% della popolazione) solo in parte rallentato dall’immigrazione straniera. Molta attenzione è stata giustamente dedicata al tema della crescita in termini assoluti e relativi degli anziani, che richiede l’adozione tempestiva di politiche e misure specifiche volte a fornire opportunità e servizi necessari per garantire un invecchiamento attivo e in buona salute. Probabilmente minore attenzione è stata dedicata alle giovani generazioni che nel tempo hanno visto diminuire la loro consistenza numerica rispetto a quelle del passato, per effetto della bassa fecondità e, più di recente, anche per la riduzione della dimensione media delle coorti in età riproduttiva. Il confronto del caso italiano con quello dei paesi dell’Europa occidentale di taglia demografica simile consentirà di sottolineare lo svantaggio accumulato dall’Italia in termini potremmo dire di (riduzione di) giovani risorse umane.

Bambini e ragazzi sempre meno numerosi 

Sulla base delle stime delle Nazioni Unite (2022), l’Italia all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso aveva tra i paesi dell’Europa occidentale un numero di abitanti (56 milioni e mezzo) inferiore solo a quello delle due Germanie se considerate congiuntamente. Il Regno Unito aveva una dimensione demografica simile a quella italiana, la Francia 2,5 milioni e la Spagna quasi 19 milioni di residenti in meno (Tab. 1). Nell’arco di quarant’anni la situazione si modifica in modo rilevante. La Germania pur con un aumento contenuto (solo del 7,4%) vede la sua popolazione superare gli 83 milioni, il Regno Unito e la Francia con una crescita di oltre il 19% arrivano rispettivamente a 67,3 e a 64,5 milioni di abitanti, mentre l’Italia dopo aver superato i 60 milioni nel corso del decennio passato si attesta all’inizio di quello attuale a poco più di 59 milioni (incremento al di sotto del 5%). Solo la Spagna continua ad avere una popolazione meno numerosa nonostante la forte crescita registrata nel periodo (aumento di quasi il 26%) che l’ha portata a ridurre il divario dall’Italia (solo 12 milioni di differenza).

Tutti i paesi considerati hanno registrato negli ultimi quarant’anni un forte aumento del numero e del peso relativo degli anziani (popolazione con 65 anni e più). All’inizio degli anni ’80 erano 12 milioni (15,5% della popolazione) in Germania, 8,5 milioni (15%) nel Regno Unito e più o meno 7,5 milioni (intorno al 13,5%) in Italia e Francia (Tab. 2). Alla data più recente sono diventati 18,5 milioni in Germania, 14 milioni in Italia, 13,8 milioni in Francia e 12,7 milioni nel Regno Unito. La nostra penisola ha fatto però registrare la crescita maggiore del peso della popolazione over 65 che all’inizio di questo decennio sfiora il 24% dei residenti, valore maggiore di 1,5 punti percentuali rispetto alla Germania, di quasi 2,5 punti rispetto alla Francia, di quasi 4 punti rispetto alla Spagna e di poco meno di 5 punti rispetto al Regno Unito.

Ma oltre all’avvio del decremento della popolazione e ad un suo più intenso invecchiamento rispetto agli altri paesi europei di simili dimensioni, l’Italia ha sperimentato negli ultimi quarant’anni anche una notevole riduzione del numero e del peso dei giovani (popolazione con meno di 15 anni). All’inizio degli anni ‘80 gli under 15 erano nel Bel Paese 12,2 milioni, più numerosi di quelli residenti in Francia (12 milioni), nel Regno Unito (11,6 milioni) e in Spagna (9,6 milioni), e rappresentavano quasi il 22% della popolazione (Tab. 2). A distanza di 40 anni sono scesi a 7,5 milioni con una riduzione straordinaria di quasi 5 milioni. Oggi in Italia ci sono all’incirca 4 milioni di giovani in meno rispetto a quelli residenti in Germania, nel Regno Unito o in Francia. Un divario davvero straordinario che costituisce un punto di debolezza rispetto ai partner europei qui considerati. Lo stesso vantaggio rispetto alla Spagna legato alla diversa dimensione demografica complessiva è quasi sparito: se nel 1981 c’erano in Spagna 2,6 milioni di giovani in meno rispetto all’Italia, oggi il divario è di sole 700 mila unità. In tutti i paesi considerati la proporzione di giovani è diminuita in modo evidente, ma il nostro Paese ha registrato insieme alla Spagna il decremento più ampio (rispettivamente dal 21,6 al 12,7% e dal 25,5 al 14,1%), mentre Regno Unito e Francia quello più contenuto (oggi gli under 15 sono rispettivamente il 17,7% e il 17,4% dei residenti).

Le cause: bassa fecondità e riduzione della numerosità delle generazioni riproduttive

Naturalmente, la diminuzione dei giovani è dovuta al calo delle nascite. Fino più o meno alla metà degli anni ‘70 le nascite in Italia erano in linea con i numeri registrati in Francia e nel Regno Unito: in diminuzione rispetto al massimo di 10 anni prima ma comunque intorno a 850 mila nati all’anno. Negli anni seguenti si osserva un continuo declino fino alla fine degli anni ‘80 quando le nascite si attestano intorno alle 550 mila unità rimanendo su questi valori fino all’incirca al 2010, con più o meno 200 mila nati in meno rispetto a Germania, Regno Unito e Francia (Fig. 1a). Adottando la proposta del demografo francese Gerard Calot, che consente di ottenere le nascite (N=TFT*G) come prodotto tra il tasso di fecondità totale (TFT) e la dimensione media delle generazioni femminili in età feconda (G), è possibile osservare il ruolo svolto dalla fecondità e dalla dimensione delle coorti riproduttive nella determinazione delle nascite annuali. Appare evidente come il calo delle nascite in Italia sia dipeso dal crollo della fecondità, che dal massimo di oltre 2,6 figli per donna della metà degli anni ‘60 ha toccato trent’anni dopo il minimo di meno di 1,2 (Fig. 1b), in parte contenuto da un leggero aumento della dimensione media delle coorti femminili in età riproduttiva tra il 1975 e il 2000, rimaste più o meno della stessa dimensione di quelle britanniche e francesi (Fig. 1c). La prolungata bassa fecondità, di cui Antonio Golini segnalava i pericoli circa un quarto di secolo fa, ha però determinato negli ultimi vent’anni una continua diminuzione della dimensione media delle coorti feconde per l’uscita dall’età riproduttiva delle generazioni numerose degli anni ‘50 e ‘60, quelle del baby boom, e l’ingresso di quelle sensibilmente meno ampie degli anni ‘80 e ‘90. 

Il calo delle nascite degli ultimi 10 anni è dipeso contemporaneamente dalla diminuzione del TFT, dopo un quindicennio di leggera ripresa, e dalla continua diminuzione della dimensione media delle coorti riproduttive, oggi chiaramente meno numerose rispetto a quelle britanniche ma anche a quelle francesi.

Cercasi giovani disperatamente: cosa fare?

Misure volte a favorire la ripresa della fecondità sono necessarie, di difficile impatto e non sufficienti a determinare un aumento delle nascite nei prossimi decenni, a fronte di una continua diminuzione della numerosità media delle generazioni riproduttive. Occorrerà pertanto combinare la ripresa della fecondità con un’immigrazione capace di rispondere alle necessità del mercato del lavoro e, allo stesso tempo, compensare almeno in parte gli squilibri generati da un lungo periodo di bassissima fecondità. Il futuro della società italiana sarà comunque segnato da un numero di giovani minore che in passato e notevolmente più contenuto di quello dei giovani che vivono in Germania, nel Regno Unito e in Francia. Favorire la loro piena realizzazione formativa e professionale dovrà essere un impegno prioritario per continuare a competere sul palcoscenico internazionale in un mondo in rapido cambiamento.

Per saperne di più

Fonte tabella 1 https://population.un.org/wpp/Download/Standard/MostUsed/.

Nota* Riflessioni ed elaborazioni dell’autore scaturite nell’ambito delle attività collegate al cofinanziamento del Next Generation EU, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), Investimento PE8, Progetto Age-It: “Age Well in an Ageing Society” [DM 1557 11.10.2022].
Le opinioni espresse sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente quelle dell’Unione Europea o della Commissione Europea. Né l’Unione Europea né la Commissione Europea possono essere ritenute responsabili per esse.

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