Le famiglie italiane sono profondamente mutate negli ultimi vent’anni, sia quantitativamente che qualitativamente. Elena Pirani e Raffaele Guetto ci illustrano questi cambiamenti, soffermandosi anche sulle implicazioni in termini di disuguaglianze economiche che essi possono comportare, e offrendo spunti di riflessioni per le future politiche per le famiglie.
Oggi in Italia ci sono oltre 25 milioni di famiglie, quasi 4 milioni in più rispetto al 2000 (Istat, 2022b, Pirani et al., 2021). Oltre un terzo di queste sono persone che vivono sole – più di 8 milioni – in netta crescita rispetto a vent’anni fa (erano il 22% nel 2000, figura 1). Questo aumento ha riguardato soprattutto le fasce di età centrali (25-44), prevalentemente a seguito dell’aumento delle rotture coniugali, mentre si riduce la proporzione tra gli anziani e anche tra i giovanissimi.
Un altro 30% delle famiglie italiane è costituito da coppie con figli (erano il 43% venti anni fa), e sempre più spesso si tratta di coppie con un unico figlio: è così per più di cinque coppie su dieci, mentre circa 4 su 10 ne hanno due, e meno di 1 su 10 tre o più.
Un altro cambiamento di rilievo nel corso degli ultimi 20 anni riguarda le famiglie in cui un solo genitore vive con uno o più figli (oltre 2,5 milioni, il 10% delle famiglie italiane). Le famiglie mono-genitore continuano a essere costituite in prevalenza da madri sole (circa l’80%), ma gli ultimi vent’anni hanno visto una crescita importante anche di quelle in cui è il padre a vivere con almeno un figlio (da 340 a poco più di 530mila). Hanno inoltre visto una crescita di 7 punti percentuali le famiglie in cui l’unico genitore vive con almeno un figlio minore (quasi 900mila nel 2020).
Infine, le famiglie allargate – coppie, con o senza figli, con almeno un membro aggregato – e le persone che vivono insieme non legate da rapporti di genitorialità o affiliazione continuano a rappresentare forme familiari quantitativamente meno diffuse (fig. 1).
Famiglie e deprivazione economica
I mutamenti nelle strutture familiari hanno importanti implicazioni per l’andamento delle disuguaglianze economiche tra le famiglie e gli individui, soprattutto in un contesto di aumentate difficoltà. Le famiglie sotto la soglia di povertà assoluta nel 2021 erano il 7,5% (circa 2 milioni di famiglie e 5,6 milioni di persone), e se questo dato rispecchia un peggioramento dovuto alla pandemia (la povertà assoluta riguardava il 6,4% delle famiglie italiane nel 2019), il trend prosegue inesorabile da oltre un decennio: rispetto al 2007, quando le famiglie in povertà erano il 3,5%, la quota è oggi più che raddoppiata (per maggiori dettagli, si veda ad es., Istat 2022a).
Una analisi più approfondita1, basata sui dati delle indagini Aspetti della Vita Quotidiana dell’Istat, ci permette di meglio comprendere i fattori connessi ai livelli di difficoltà economica delle famiglie italiane, tenendo conto delle loro caratteristiche e di quelle dei loro componenti (Pirani et al., 2021).
I risultati mostrano che struttura e composizione familiare mantengono un effetto diretto sulla vulnerabilità economica delle famiglie, ma i livelli occupazionali e di istruzione dei membri della famiglia rappresentano variabili chiave nell’aumentarne la fragilità. La minore deprivazione economica delle famiglie a doppio reddito indica quanto sia fondamentale, in un’ottica anti-povertà, la continuità lavorativa di entrambi i partner e, di riflesso, il ruolo delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro nella protezione della capacità economica delle famiglie, soprattutto quelle con figli. In tale situazione, l’essere genitore solo rende ancor più impellente la necessità di una conciliazione tra lavoro e famiglia per evitare di cadere nella trappola della povertà (Guetto et al. 2021).
Quali politiche per le famiglie?
Secondo la definizione dell’Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico (OECD) rientrano nel novero delle politiche per la famiglia quelle misure e interventi che aumentano le risorse dei nuclei familiari con figli a carico; favoriscono lo sviluppo del bambino; rimuovono gli ostacoli ad avere figli e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; promuovono pari opportunità nell’occupazione. In questa prospettiva, le politiche rivolte alle famiglie dovrebbero essere inserite in un quadro organico, di lungo termine, e trasversale ai diversi aspetti della vita (ad es., istruzione e formazione, trasporti, fiscalità, salute, occupazione).
Il Family Act del 2020 rappresenta un primo, importante, tentativo di andare in questa direzione. In particolare, soffermandoci sulla misura di punta del Family Act, vale la pena di ricordare che con la previsione di un assegno unico per i figli sono state semplificate e razionalizzate le misure esistenti, con evidenti vantaggi pratici. La sua universalità, inoltre, rappresenta una innovazione culturale: per la prima volta il destinatario della politica è il bambino, il figlio, indipendentemente dalla condizione lavorativa e dalle caratteristiche dei genitori; le future generazioni non sono più considerate come responsabilità individuale e un costo privato a carico dei genitori, ma una risorsa per la collettività, meritevole di sostegno pubblico.
Secondo recenti stime INPS, a tutto aprile 2022 erano state presentate circa 4,5 milioni di domande per 7,5 milioni di figli, anche se non in modo omogeneo sul territorio nazionale. Se si considera che le famiglie potenzialmente beneficiarie ammontano a oltre 7 milioni (Maitino et al., 2021), manca ancora all’appello una quota considerevole di beneficiari.
È ancora presto per trarre un bilancio sull’efficacia di questa misura, ma alcuni aspetti dovranno essere valutati non appena i dati lo consentiranno. L’importo dell’assegno2 è tale da apportare realmente benefici alle famiglie? E sarà in grado di incentivare la fecondità? La previsione di un assegno minimo anche per i redditi più alti, se da un lato rispetta il principio di universalità, dall’altro non rischia di togliere risorse a chi ha redditi molto bassi? Considerando le caratteristiche delle famiglie italiane di oggi (ad es., pochi figli, famiglie mono-genitore), la definizione operativa della misura riesce a cogliere davvero le situazioni di fragilità economica, o rimane ancora troppo legata alla famiglia “tradizionale”?
Affinché l’assegno unico e universale possa davvero rappresentare non solo uno strumento di contrasto alla povertà ma più in generale una misura di sostegno a scelte e responsabilità famigliari, una valutazione di questi aspetti sarà necessaria nel prossimo futuro.
Per saperne di più
Guetto, R., Pirani, E., & Lodetti, P. (2021). The wellbeing of single parents in Italy before and after the covid-19 pandemic. Rivista Italiana di Economia, Demografia e Statistica.
Istat (2022a), Economia, Statistiche today, Istat, 8 marzo 2022
Istat (2022b), Rapporto Annuale 2022. La situazione del paese. Istat, Roma.
Maitino M.L., Ravagli L., Sciclone N. (2021), L’assegno unico e universale: quali effetti?, Note di lavoro, Irpet, n. 4, dicembre 2021Pirani E., Guetto G., Rinesi F. (2021), Le famiglie, in C. Tomassini e F.C. Billari (eds), Rapporto sulla Popolazione. L’Italia e le sfide della demografia, Il Mulino, Bologna
Note
1 Si è preso in considerazione un indicatore soggettivo di deprivazione economica, la percezione delle risorse economiche, considerando le famiglie con persona di riferimento in età 25-54 e focalizzandosi alternativamente sui tipi di famiglia e sulle coppie, distinguendo a seconda della presenza o meno di figli e del numero di percettori di reddito. Per maggiori dettagli, si veda Pirani et al., 2021.
2 La misura prevede ad oggi un massimo di 175 euro per i redditi più bassi – a cui si possono aggiungere eventuali maggiorazioni in presenza di condizioni specifiche – fino a un minimo di 50 euro per i redditi più alti. Per maggiori dettagli si veda ad es. Maitino et al. (2021).